Giovanni Zappatore: “È il MedTech che dà aiuti concreti”

Il CEO di BionIT Labs ha partecipato alla "Swiss Tech Experience": “Non si disegna la tecnologia per la tecnologia in sé, ma per servire...”

Giovanni Zappatore, CEO di BionIT Labs, sullo sfondo del Reno a Basilea
Giovanni Zappatore, CEO di BionIT Labs, sullo sfondo del Reno a Basilea, durante la “Swiss Tech Experience” in cui ha preso contatto con l’hi-tech elvetico

Il riferimento biblico è intuitivo e, se così non fosse, è il payoff a svelarlo: “The first of its kind”, la prima del suo genere. E tale in effetti è Adam’s Hand, la prima mano bionica al mondo completamente adattiva, ideata, sviluppata e realizzata da BionIT Labs, start-up salentina fondata nel 2018 da Giovanni Antonio Zappatore, classe 1991, CEO dell’azienda che oggi conta una trentina tra dipendenti e consulenti, con sede a Soleto, nel Leccese.

“The first of its kind”, appunto: non stupisce allora che BionIT Labs sia stata selezionata da una qualificata giuria per prendere parte alla “Swiss Tech Experience Week”, tra il 27 giugno e il primo luglio scorsi, e mostrare in Svizzera il frutto del proprio ingegno, la propria tecnologia e la filosofia aziendale che, in quattro anni, ha portato BionIT Labs dov’è ora, in una tappa cruciale della propria evoluzione, alla vigilia dell’ingresso sul mercato.

Che cos’è Adam’s Hand? Una protesi mioelettrica poliarticolata per amputati di arto superiore: una tecnologia che nasce per un bisogno quasi etico, quello di essere d’aiuto, di tendere una mano. Giovanni Antonio Zappatore, padre medico e madre farmacista, è ingegnere meccanico di formazione e su questo insiste: “Non è disegnare la tecnologia per la tecnologia in sé, è un modo di renderla un aiuto concreto, accessibile”…

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Adam’s Hand è la prima mano bionica completamente adattiva
Adam’s Hand, la prima mano bionica completamente adattiva, è stata congegnata dalla BionIT Labs di Soleto (Lecce)

Giovanni Zappatore, quale è l’intuizione di Adam’s Hand?
“Deriva dal fatto che, allo stato dell’arte, esistono sostanzialmente due tipi di protesi mioelettriche, cioè controllabili tramite la contrazione dei muscoli presenti sull’arto residuo del paziente: quelle tridigitali e quelle poliarticolate. Le prime sono quelle più robuste, più utilizzate, meno costose e più semplici da controllare: i sensori ‘leggono’ gli input dei muscoli estensori e flessori del polso e possono chiudere in un movimento unico indice e medio contro il pollice, mentre un guanto simula le altre due dita. Le poliarticolate, invece, sono molto più costose, più tecnologiche, antropomorfe e più destre: utilizzano in genere cinque-sei motori per muovere le cinque dita e le prese vengono selezionate attraverso schemi di presa scelti a priori, che l’utente deve imparare a memoria. Noi ci posizioniamo in mezzo, con una protesi poliarticolata semplice da controllare come una tridigitale, avendo sviluppato un meccanismo che demanda alla distribuzione automatica di forze che si ottiene quando si afferra un oggetto la decisione stessa su come muovono le dita; l’utente non deve scegliere quale presa attivare, aspetto spesso complicato e fonte di un elevato carico psicologico, ma deve solo aprire e chiudere la mano: è poi quest’ultima che si adatta alla forma e alla dimensione degli oggetti impugnati”.

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Giovanni Zappatore, CEO di BionIT Labs, all'EPFL di Losanna
Giovanni Zappatore, CEO di BionIT Labs, al Politecnico Federale di Losanna, durante la quale ha preso contatto con l’ecosistema hi-tech elvetico

Tecnologia innovativa e intelligenza artificiale al servizio della persona con disabilità. La propriocezione nel futuro della protesica.
“La tecnologia, in questi campi, deve essere accessibile nei costi e facile nell’utilizzo. Chi ha una disabilità deve percepire la protesi come propria, e in questo senso il continuo feedback con gli utenti è fondamentale: ascoltare le loro necessità raffina il lavoro. La nostra non è un’innovazione incrementale, ma radicale: è un’innovazione nel modo in cui ottenere il risultato”.

Nello specifico?
“Adam’s Hand ha due motori: uno controlla la flesso-estensione del pollice, l’altro la flesso-estensione delle dita da indice a mignolo, ma tra le quattro dita e il motore è posizionato un meccanismo differenziale che abbiamo brevettato che ci consente di suddividere in automatico la coppia del motore su tutte e quattro le dita. Questo consente di ottenere una presa estremamente salda in qualsiasi condizione, facendo in modo che la mano ‘scelga’ autonomamente il modo in cui afferrare gli oggetti, senza che sia necessario per l’utente selezionare alcuno schema di presa preimpostato. Abbiamo inoltre implementato un algoritmo di calibrazione automatica, basato su algoritmi di intelligenza artificiale, che guida l’utente in una procedura una tantum di 15 secondi: attraverso l’input dei sensori elettromiografici, la mano si adatta al tono muscolare di ogni utente, perché non è detto che tutti abbiano innervazioni o muscoli sviluppati allo stesso modo”.

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Adam’s Hand è la prima mano bionica completamente adattiva
Adam’s Hand, la prima mano bionica completamente adattiva, è stata congegnata dalla BionIT Labs di Soleto (Lecce)

Di che materiali è composta?
“Il meccanismo in acciaio e alluminio aeronautico molto resistente ma leggero, dal momento che siamo in una bassa fascia di peso anche per favorire l’embodiment del dispositivo, poi tecnopolimeri molto resistenti. Il guanto è in silicone di grado medico”.

A che punto dello sviluppo siete?
“Siamo nella fase di industrializzazione-ottimizzazione, proseguendo i test di robustezza e durability. Dopo la fase iniziale in cui l’utilizzo della stampante 3D ci ha aiutato, principalmente nella fase di prototipazione, ora ci affidiamo a produttori esterni che lavorano su nostra specifica. In quattro anni abbiamo imparato tanto dai nostri errori!”.

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Prossimo passo?
“L’ingresso nel mercato tramite vendita diretta business-to-business a centri e officine ortopediche o tramite distributori, a seconda del Paese e della relativa politica di rimborso: la maggiore barriera all’ingresso è infatti il rimborso, diverso da Stato a Stato e basato su logiche differenti. È su questa base che stiamo definendo il pricing del dispositivo”.

Perché un’idea del genere viene a una start-up e come ci si può proteggere dai grandi player?
“Le multinazionali impiegano in genere molto più tempo e risorse per ottenere gli stessi risultati, soprattutto quando si tratta di attività di ricerca e sviluppo che richiedono interazioni veloci con soggetti diversi: sono modelli di scala diversi e questo conta. La velocità di innovazione fa la differenza: abbiamo presentato cinque brevetti tra metodi di calibrazione, meccanismi e sistemi meccatronici complessi. Stiamo per presentarne un sesto, con l’obiettivo di costruire un ‘castello di brevetti’ efficace, in grado di tutelare al meglio la nostra proprietà intellettuale”.

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Adam’s Hand è la prima mano bionica completamente adattiva
Adam’s Hand, la prima mano bionica completamente adattiva, è stata congegnata dalla BionIT Labs di Soleto (Lecce)

Un passo indietro. Si parte da soli, poi?
“Ho presentato il primo progetto di Adam’s Hand e il primo brevetto a una competizione Intel dopo la tesi di laurea triennale, ma a questo progetto non potevo lavorare da solo. Mi sono ritrovato con due colleghi, Matteo Aventaggiato, ingegnere biomedico, e Federico Gaetani, ingegnere informatico, e abbiamo iniziato a lavorare sodo e insieme. Ci siamo trovati bene, abbiamo proseguito con lo sviluppo e presentato una domanda al bando PIN, Pugliesi Innovativi. Lì sono arrivati i primi 30 mila euro a fondo perduto. Da allora siamo cresciuti piuttosto velocemente, e senza nemmeno il tempo per voltarci indietro”.

Che cosa serve a una start-up per sopravvivere?
“Per quanto appaia banale, servono i finanziamenti. Inoltre, quello che per noi ha fatto davvero la differenza è stata una filosofia di base comune e forte, che nel tempo abbiamo affinato e ci ha integrato. Dopo quattro anni è facile dire che le persone sono il segreto, ma è davvero così: l’idea non deve fare acqua, il mercato deve essere potenzialmente rilevante, ma fino ad un certo stadio di sviluppo del progetto i finanziatori investono principalmente sul team. Riuscire a gestire le persone nel migliore dei modi fa quindi la differenza sull’outcome”.

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Il team di BionIT Labs, start-up salentina del settore Med Tech
l team di BionIT Labs, start-up salentina del settore Med Tech, che ha realizzato con Adam’s Hand la prima mano bionica completamente adattiva

All’inizio però i soldi non ci sono.
“Per due anni nessuno di noi ha preso lo stipendio: abbiamo lavorato in ‘work for equity’, cedendo quote societarie per lavoro. Da un lato ciò ci ha consentito di risparmiare risorse finanziarie, dall’altro ha legato molto le persone l’una con l’altra e all’azienda”.

Lavorare in “work for equity” può rivelarsi frustrante?
“È lì che si vede la differenza, per questo parlo di team. Qui le persone si sono integrate creando un codice morale spontaneo e non imposto, che genera un set di valori equo per tutti. Una questione di coerenza, che rende il lavoro appassionante e soddisfacente anche quando non è immediatamente disponibile una remunerazione prettamente economica”.

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Oggi, dopo un round seed da 3,5 milioni di euro, siete ancora in Italia, a Soleto. Perché?
“E perché no? Mi ripeto, ma mi piace ragionare in ottica di team: se le singole persone vivono bene in un luogo, perché hanno una buona qualità della vita e si realizzano, ottenendo di conseguenza migliori risultati sul lavoro, che senso avrebbe spostarle e rischiare magari anche di perderne alcune? Qualche investitore potenziale ci ha chiesto se fossimo disposti a trasferirci al Nord per essere finanziati, ma non abbiamo mai considerato questa possibilità. Ovviamente un’ulteriore crescita comporterebbe prendere alcune decisioni, soprattutto in termini di internazionalizzazione, ma cercherò di fare in modo che il centro ricerca e sviluppo di BionIT Labs resti sempre qui, in Puglia. Per far crescere un luogo e un distretto serve anche che qualcuno crei occasioni e opportunità…”.

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Giovanni Zappatore, CEO di BionIT Labs, al Politecnico Federale di Losanna, durante la quale ha preso contatto con l’ecosistema hi-tech elvetico

Perché allora l’Italia resta indietro in termini di innovazione e tecnologia rispetto ad altri Paesi?
“Credo che in Italia vi sia una bassa propensione al rischio e, di conseguenza, una ‘cultura del fallimento’ sbagliata. C’è la paura di come verrai giudicato se fallisci, che spesso porta a rifiutare a prescindere qualsiasi tentativo di cambiare le cose. Ma l’obiettivo è cercare di raggiungere quel cambiamento, l’obiettivo è il percorso. E, a mano a mano che si avanza, crescono le responsabilità, che inevitabilmente ti rafforzano: se all’inizio, magari, per un progetto perdi ore e ore di lavoro senza ottenere il risultato che speri, ma vai avanti solo per una spinta personale, quando hai venti dipendenti, venti famiglie che dipendono dal lavoro che svolgi giorno dopo giorno, non puoi più rinunciare così facilmente, e questo ti spinge in misura ancora maggiore a dare sempre il massimo”.

Come valutate l’esperienza della “Swiss Tech Experience Week”?
“Un percorso estremamente interessante, che ci ha fornito degli spunti sull’ecosistema svizzero che probabilmente non avremmo potuto cogliere in altro modo. Ci stiamo già impegnando per metterla a frutto con collaborazioni, e questo sia in ambito di ricerca che industriale”.

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