Il valore economico di un profilo social

Il valore economico di un profilo social

Nell’ultima puntata di questo focus dedicato ai social media e agli effetti sulle vite personali di ciascuno di noi che questi strumenti portano con sé, abbiamo affrontato nel dettaglio la questione della privacy. Abbiamo visto in particolare quali regolamenti sono stati formulati da singoli paesi o intere unioni di stati (vedi l’UE) per legittimare e inquadrare la privacy delle persone sul web e sugli stessi social media. Da Facebook a Twitter, passando per Instagram, LinkedIn e Youtube, tutti i social media hanno dovuto rimodulare le proprie policy per garantire il rispetto della privacy degli utenti. Non bisogna tuttavia abbassare la guardia e pensare che i social siano luoghi sicuri. Occorre infatti distinguere fra violazioni palesi dei propri dati e valore economico di un profilo social nell’ecosistema del mercato online. Emblematico in proposito è stato lo scandalo Cambridge Analytica, scoperto da alcuni giornalisti a seguito del trattamento illegittimo delle informazioni e preferenze personali di milioni di persone da parte dell’omonima società in occasione dell’elezione del presidente Trump (e non solo).

Ma appunto, sono gli illeciti commessi da società terze esterne ai vari social media l’unico pericolo? O dobbiamo tenere alta la guardia ipso facto, proprio perché siamo fruitori di un servizio – almeno in apparenza – gratuito? La risposta più probabile sembra essere la seconda. E non siamo certo noi a sostenerlo. I social ormai hanno svelato i loro meccanismi più subdoli, oggetto di studio e analisi da parte di ingegneri “pentiti”, professori emeriti, esperti di marketing e personaggi influenti. Basta guardare con attenzione questo video, estratto dal documentario The social dilemma disponibile su Netflix:

https://youtu.be/Ko2YcD0iYpc

Ora è più chiaro chi è il vero prodotto nell’era dei social media?

If you’re not paying, you are the product

Se non stai pagando, il prodotto sei tu. In soldoni è questa la traduzione di una delle massime più famose nate intorno al fenomeno dei social media. La frase, pronunciata da uno dei testimoni più autorevoli nel documentario di cui sopra, era già di pubblico dominio prima dell’uscita di The social dilemma, segno che i tempi sono maturi per affermare una consapevolezza sempre più diffusa e tangibile. Tutti siamo al corrente che i social media “offrono” a imprese e aziende un servizio. Quale, esattamente? Anche qui la risposta non dovrebbe essere così oscura: il servizio che offre Facebook è lo stesso che offrono Snapchat, LinkedIn e i soliti noti, e può essere riassunto in una parola: profilazione. Attraverso la profilazione di un utente, il social media in questione garantisce in misura molto accurata la veicolazione della giusta pubblicità, al momento giusto, nella quantità richiesta dall’azienda.

Un sogno a occhi aperti per qualunque marketer con un minimo di competenza. Anzi, a dire il vero un sogno a occhi aperti per chiunque abbia dimestichezza con i social. Non a caso l’affidabilità della profilazione è andata di pari passo con il successo dei social media: quanto più è sicuro il sistema, tanto più è semplice da usare anche per chi non ha esperienza; quanto è più semplice da usare, tanto più sono le persone che investiranno in pubblicità. Da qui la crescita esponenziale di esperimenti spesso posticci, ma anche di campagne marketing di tutto rispetto, messe in piedi da imprenditori e professionisti che hanno studiato da autodidatti e che sono riusciti a destreggiarsi con le impostazioni e la creazione di annunci adeguati. Un lavoro non certo così facile come vorrebbe la retorica dei social media, dove ognuno è padrone delle proprie azioni e della propria fortuna. La verità è che la gran parte delle campagne fallisce in partenza perché male impostata, ma qui è anche inutile scendere nel dettaglio, corriamo il rischio di andare fuori tema. Torniamo invece a noi, ovvero all’uso che viene fatto dei nostri dati da parte dei social.

LE ABITUDINI, LE PREVISIONI, I VIZI: tutto in un algoritmo

Se non ti eri mai posto il problema del valore economico del tuo profilo all’interno di Facebook, Instagram e altri social, forse non ti sei mai nemmeno reso conto di cosa avvenga dietro le quinte. Innanzitutto, devi sapere che come per Google, anche per i social esistono algoritmi molto sofisticati, in grado di analizzare miliardi di informazioni ogni minuto, 24 ore su 24, senza interruzioni. Queste informazioni rispecchiano alla perfezione i nostri comportamenti. Qualche esempio?

  • Commentiamo un post o effettuiamo un’azione di qualche genere (mi piace, non mi piace e via dicendo)
  • Clicchiamo su un annuncio pubblicitario
  • Seguiamo una persona o un’azienda
  • Effettuiamo una ricerca all’interno del social media

Tutte queste attività delineano le nostre abitudini e vengono esaminate dall’algoritmo del social media utilizzato. Il resto è già scritto: l’azienda vuole intercettare l’interesse del pubblico, quindi crea annunci indirizzandoli al target prescelto. L’algoritmo pesca dal proprio database i dati disponibili a seconda della profilazione già effettuata, e in ultima istanza mostra gli annunci alle persone con identità sovrapponibili a quella selezionata dall’azienda. Si potrebbe sostenere che tutto questo sia poco etico, ma si potrebbe anche citare un altro aforisma celebre: è il mercato bellezza. La realtà è che i social chiedono l’autorizzazione alla profilazione già in fase di iscrizione. Solo che la gran parte degli utenti non legge nemmeno una riga del contratto – perché di questo si tratta – che va a sottoscrivere. Oppure, banalmente, non ha alcun interesse a diventare IL prodotto.

Nella prossima puntata vedremo come il profilo aziendale, per un business, possa diventare un asset nella strategia di comunicazione del marchio, ma a certe condizioni. Non perdertelo!