Copyright sul web: come fare per non sbagliare

Tutto quello che bisogna sapere in merito al copyright dei contenuti

Il copyright sul web è materia discussa già agli albori di Internet. Da una parte troviamo chi – come il genio della programmazione Sam Williams, autore del libro profetico e visionario Codice Libero – vorrebbe una rete priva di copyright, dove i contenuti, e in particolare i software, rimangono liberi di circolare e di essere condivisi. Dall’altra abbiamo invece artisti, case discografiche, multinazionali e autori che invece pretendono l’applicazione di tutele e normative a protezione di canzoni, immagini, libri e così via. La questione non è affatto semplice: se nell’era analogica controllare la pirateria e la duplicazione dei contenuti era tutto sommato banale (si pensi alla pratica goffa e ormai obsoleta di “masterizzare” in casa i DVD), il digitale, per sua stessa natura, ha dato uno scossone al concetto stesso di copyright, mettendo in difficoltà non pochi player del settore, grandi o piccoli che fossero. 

E così ci siamo trovati di fronte a un mondo completamente diverso, dove la separazione fra ciò che è legale e ciò che è illegale si è fatta estremamente labile. Oggi come oggi il copyright assume diverse sfumature a seconda del paese in cui ci troviamo e delle normative a cui dobbiamo attenerci. È chiaro però che anche sotto questo punto di vista Internet ha scombinato le carte, abbattendo di fatto i confini geografici e perfino temporali. Quello che prima era possibile in un paese ora non lo è più perché la fruizione del contenuto viene estesa a dismisura grazie alla rete. Non a caso molti governi con classi dirigenti militari o retrograde al potere prevedono forme di censura sui contenuti spacciate come tutela del diritto d’autore. Cose dell’altro mondo? Purtroppo no: la riforma dell’Unione Europea sul copyright, secondo alcuni, potrebbe aprire le porte a una svolta simile a quella già avvenuta in Cina e altri paesi in odore di dittatura. Prima di esaminare questo rischio, faremo però un passo indietro cercando di comprendere a fondo l’attuale scenario digitale in materia di copyright.

L’IDEA DEL CREATIVE COMMONS PER UN COPYRIGHT ETICO

Se è vero che il copyright online si presenta come qualcosa di molto più complesso e fumoso rispetto al tradizionale diritto d’autore “cartaceo”, è anche vero che qualcuno, e non parliamo di politici, ha capito queste criticità e ha deciso di proporre una strada alternativa. Sono nate così nel 2002, su proposta del professore di diritto all’Università di Harvard Lawrence Lessig, le licenze Creative Commons, via di mezzo fra il copyright completo e il pubblico dominio. In sostanza si tratta di un insieme di licenze che illustrano in modo chiaro e immediato quali libertà ha deciso di concedere l’autore di una certa opera e quali condizioni ha posto per l’utilizzo dell’opera stessa, non solo online ma anche offline.

Qualunque produttore di contenuti (blogger, copywriter, grafico, ecc) può decidere quale licenza applicare, senza passare per alcuna registrazione o deposito. Un po’ come se la persona apponesse in autonomia un marchio virtuale condiviso, in grado di segnalare al resto della comunità i diritti e i doveri inerenti alla propria opera intellettuale. Un meccanismo intuitivo, basato sull’etica e la trasparenza come valori cardini della rete. E infatti il successo dei Creative Commons è stato rapido e inarrestabile: in un decennio il numero di licenze si è moltiplicato all’infinito, e oggi a utilizzare il simbolo CC sono realtà come il CERN, l’INSTAT, la Casa Bianca (quantomeno per una parte dei contenuti del sito), senza contare piattaforme con milioni di visitatori al giorno come Wikipedia. Rimane però un problema: se uno decide di violare le licenze Creative Commons lo può fare senza troppi problemi. Per fortuna i rimedi ai copioni della rete esistono, vediamo quali sono.

STRUMENTI E SOLUZIONI PRATICHE PER FERMARE I COPIONI

Chi non ricorda gli esami a scuola e l’immancabile copione di turno? In rete il fenomeno dilaga e non c’è giorno che passa senza una violazione del copyright. Le licenze Creative Commons sono strumenti validi per dimostrare i possibili utilizzi di un’opera, ma non per bloccare i malintenzionati. I proprietari di un ecommerce, i blogger, gli editori e chiunque produca contenuti si trova di conseguenza a vivere nel timore di vedersi scopiazzare il frutto del proprio lavoro senza alcuna ricompensa e riconoscimento. Come dicevamo, esistono diverse soluzioni per tutelarsi. Alcune sono preventive: ad esempio il plug in Wp Content Copy Protection, il cui obiettivo è impedire agli utenti di utilizzare il tasto destro per copiare il contenuto evidenziato. Oppure il watermark da apporre alle immagini, in modo da scoraggiare il riutilizzo indesiderato. Va da sé che i più abili sapranno aggirare anche questi ostacoli, per cui è bene attuare ulteriori strategie complementari di monitoraggio e controllo. Suggeriamo di provare fra gli altri Report Scaper di Google o il famoso e apprezzato Copyscape. Si potrà così verificare se un contenuto è stato duplicato, evitando fra l’altro pericolose penalizzazioni da parte di Google. 

LA RIFORMA SUL COPYRIGHT APPROVATA DAL PARLAMENTO UE

Fotografato lo stato dell’arte, è doveroso affrontare ora con un breve excursus quella che, in linea teorica, potrebbe diventare la più grande (e per alcuni grave) rivoluzione in ambito di copyright, se non altro all’interno dell’ecosistema digitale dell’Unione Europea. Si tratta di una riforma che punta, nelle sue intenzioni, a tutelare il copyright dei singoli, ma che finisce per colpire al contrario i piccoli pesci, a vantaggio dei grandi editori e di multinazionali come Facebook e Google. Questo il parere di una larga fetta di chi lavora nel web tutti i giorni. Perché una conclusione del genere? Il motivo va ricercato negli articoli 11 e 13 della riforma, dove si parla di quella che è stata subito ribattezzata la “tassa sul link” (art. 11) e di ipotetici “filtri” da applicare in qualunque piattaforme vengano caricati contenuti (art. 13), a partire dal colosso Youtube per finire con il più piccolo esperimento universitario di sito sviluppato per la condivisione di video, canzoni e altro materiale pubblico.

Più nello specifico, in base all’articolo 11, chiunque condivida un estratto di un articolo (vedi gli aggregatori di notizie come Google News) dovrà pagare un contributo all’autore di quell’articolo. Questo però rischierebbe di danneggiare non tanto Google, ma la schiera di piccoli blog, portali e magazine che grazie a Google News ricevono ogni giorno traffico in target. L’articolo 13 potrebbe avere conseguenze altrettanto nefaste: in questo caso si parla di censura, nel senso che pensare di imporre dei filtri preventivi per valutare l’originalità del contenuto (e per contenuto si intendono in particolare i video) finirebbe per mettere a repentaglio la libertà di parola, in quanto si affiderebbe a robot e software il compito di analizzare (anche) la parte creativa di opere difficili da inquadrare perché ad esempio artistiche o satiriche. Un comico che legge le dichiarazioni di un politico usando le sue stesse parole per costruire il suo sketch o un videomaker che rielabora le musiche di un film per girare un documentario di avanguardia finirebbero, a seguito dell’approvazione definitiva di questa riforma, per essere esclusi da qualsivoglia canale di comunicazione digitale in quanto violatori del copyright altrui.

Non è detto che andrà a finire così: la legge dovrà passare ora al Consiglio Europeo ed essere approvata da ciascun paese, quindi si passerà al voto finale di tutto il Parlamento. Fino ad allora rimaniamo con il fiato sospeso in attesa degli eventi.