Quando è la terza età il discrimine fra buona e cattiva tecnologia
Un esempio tratto dalla vita quotidiana illustra come non ci sia vera trasformazione digitale senza un apparato burocratico altrettanto smart
Anche quando si è da tempo superata l’età del baliatico, ci si deve confrontare con un’annosissima dicotomia: tradizione-innovazione.
Si potrebbe dire che questo non è un Paese per vecchi, e chiuderla qui. Però, forse forse, vale la pena di fare una minima riflessione su che cosa significhi, per un anziano, avere a che fare con la tecnologia.
E, naturalmente, distinguere, come è nostro costume, tra tecnologia buona e tecnologia cattiva.
Voglio farvi un esempio concreto. Anzi, ben più che concreto: un esempio che mi coinvolge personalmente.
Dovete sapere che io ho una madre che conta, ancorché piuttosto arzilla, 101 primavere. È di razza buona: è una Mazzelli e credo che ciò basti.
Per quanto lucida e presente, la mamma, naturalmente, è rimasta alquanto indietro sul versante tecnologico e, segnatamente, su quello informatico: per lei, Internet è una specie di fenomeno miracoloso e una applicazione le ricorda più i cataplasmi che un programma.
A parte questo, se la cava benino: ha letto tre volte tutta la “Recherche” e sa a memoria i “Canti” del Leopardi: una vecchina in gamba, insomma.
Tuttavia, anche le vecchine in gamba devono, talvolta, misurarsi con la tecnologia: e, se si tratta di tecnologia cattiva, sono guai seri.
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Si dà il caso che, qualche tempo fa, il suo medico di base sia andato in pensione: non vorrei che vi immaginaste pianti greci per la giubilazione del dottore, giacché mia madre lo teneva in nulla considerazione, considerandolo un incapace dulcamara fanigottone.
Però, quale che sia lo spessore clinico del giubilato, è sorta la necessità di sostituirlo: ed ecco la tecnologia irrompere nella quieta esistenza della vegliarda.
L’Azienda Sanitaria ha subito inviato a mia mamma un dettagliato comunicato in ciclostile, in cui le si comunicavano i sistemi per provvedere alla nomina di un sostituto del suo medico.
Il sistema più semplice è quello di passare attraverso il fascicolo sanitario regionale, accedendo al proprio account con lo SPID o con la TSR, tramite apposito lettore.
Mia madre non ha uno SPID e, naturalmente, non ha nemmeno l’apposito lettore: posso farlo io, ma mi è consentito, ovviamente, l’accesso esclusivamente al mio fascicolo, non al suo.
Lo stesso dicasi nell’ipotesi due, ovvero quella di inviare ad un sito dedicato una richiesta in PDF insieme a copia della carta d’identità: naturalmente, al sito si accede con lo SPID, eccetera eccetera.
Rimane la terza ipotesi, ovvero quella di recarsi personalmente allo sportello della AST e provvedere alla scelta del medico.
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L’imperativo di SPID e TSR, ma nessuno fa menzione di un semplice obbligo di delega
Infatti, ho optato per quella soluzione e mi sono disciplinatamente recato in loco: aggiungo che io abito in pieno centro, mentre il loco suddetto è in estrema periferia, e che l’orario di apertura è dalle 14 alle 15:30, ovvero quando, per solito, la gente lavora.
Ma non sottilizziamo: mi presento all’usciere col mio miglior sorriso e gli spiego tutta la faccenda.
Desolatissimo, egli mi rimbalza, dicendomi che ci vuole la delega di mia madre.
Gli comunico che ho in mano la TSR della mamma e che, perciò, posso agire del tutto in sua vece. Niente da fare: senza delega non si puote!
Con le orecchie a mezz’asta, me ne torno verso casa: io ho buttato il mio tempo e mia madre dovrà pagare di tasca propria il prossimo giro di medicine.
Poi, rileggo il papiro con le istruzioni: quello inviato a suo tempo, in ciclostile. E lì ci sono dettagliatissime indicazioni su tutto: sembra Internet spiegato a un minorato mentale.
Tranne la questione della delega! Di quella non c’è menzione: neppure una glossa a fondo pagina, nulla di nulla. Dunque, non sono io lo sprovveduto: sono loro gli incapaci.
Ne traggo una serie di dolorose riflessioni.
La prima è che chi si occupa di servizi tecnologici nell’ambito pubblico spesso non ha la minima idea della varietà di soggetti e di problematiche che ciò comporta.
A seconda del suo grado di digitalizzazione, ritiene più o meno digitalizzati gli utenti: flessibilità zero.
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Se lo strumento è buono, però il timoniere è un cretino, i problemi si… complicano
La seconda è che una tecnologia dedicata ad un servizio ai cittadini che non sia abbastanza smart da poter essere spesa felicemente da tutti non è una buona tecnologia per la comunità.
La terza è che, pur con tutte le procedure a posto, con tutti i link appropriati, con ogni forma di canale d’accesso informatico, senza un briciolo d’intelligenza e di buonsenso, un certo tipo di servizi è lettera morta.
Insomma, una volta di più, se lo strumento è buono, ma il timoniere è un cretino, l’innovazione, anziché risolvere i problemi, li peggiora.
La macchina più imperfetta, ahimè, è sempre l’uomo.
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