Onestà, la chiave per il brand: la lotta alle fake news e l’importanza di essere e non di apparire

Brand e onestà non sono due mondi incompatibili, e chi vuole rimanere rilevante nel mercato moderno sa che allearsi con la verità è la strada giusta

Questo titolo porta con sé grandi responsabilità che potrei immediatamente disattendere. Ciò detto, brand e onestà non si trovano per forza su due mondi diversi, paralleli e che non si toccheranno mai.

Ma un pover’uomo deve pur vendere il suo prodotto, e se per farlo è necessario che si presenti al meglio. Il più delle volte cambiare la narrativa intorno alla verità delle cose non è sufficiente, agli occhi di un consumatore moderno: bisogna cambiare anche il modo di fare industria. Solo così l’onestà è davvero tale.

Le bugie nel 2022 hanno le gambe in retromarcia, e se decidi di basarti su quelle stai pur tranquillo che non andrai lontano. I consumatori moderni non sono più quelli affabulati dallo spot televisivo di Wanna Marchi sullo sciolgipancia, ma sono persone che ne hanno viste di tutti i colori e forse la sanno anche più lunga di te, in termini di consumo.

Brand e onestà: confine tra bugia e verità

Alle bugie, il consumatore moderno, non ci sta più – per nessun motivo al mondo. Purtroppo però a volte la realtà è molto meno credibile di una pratica bugia. E poi, che cos’è la verità, se non un apostrofo rosa tra le parole “i poteri forti” e “non ce lo dicono”? A parte gli scherzi, la lotta alle fake news è un problema serio che comincia a riguardare anche i brand, che piaccia loro o meno.

Amol Rajan, giornalista inglese che ha lavorato sui network radiofonici della BCC e sul The Independent, ha espresso il problema in maniera assolutamente brillante:

«Stiamo vivendo nel mondo della post-verità popolato da fake news e fatti alternativi. Il pubblico crede in ciò che vuole e scarta tutto il resto. La verità è dura, costosa e noiosa. Le bugie sono facili, economiche ed elettrizzanti»

Secondo un sondaggio del The Guardian che ha riguardato 8mila utenti americani, sembra che sia molto più facile cadere vittima delle fake news quando si pensa di avere tutti gli strumenti mentali e digitali per poterle riconoscere. “La discrepanza tra la capacità percepita di una persona di individuare la disinformazione e la sua effettiva competenza potrebbe svolgere un ruolo cruciale nella diffusione di informazioni false. Le persone in media sono troppo sicure di sé,” spiega il Ben Lyons dell’Università dello Utah, e non ce la sentiamo di contraddirlo.

La sfida del marketing

Ecco perché la sfida del marketing moderno è quella di uscire dall’ambiguità, dalle false notizie e scoraggiare una volta per tutte la diffusione di fake news.

Quando il tuo brand appare su un sito di disinformazione attraverso le inserzioni, stai nutrendo un mercato corrotto fondato sulla fuffa. Si stimano 235 milioni di dollari su base annuale forniti dagli inserzionisti ai siti di disinformazione.

Accompagna questa informazione a un altro dato dell’analisi del Global Disinformation Index: circa l’85% delle persone intervistate smetterebbe di scegliere un marchio qualora i suoi annunci fossero associati a notizie false, clickbait o provocatorie. Paura, eh? Pensa cosa succederebbe se si scoprisse che la tua filiera non è tanto green quanto millanti sul tuo sito internet.

E il punto è che la responsabilità di non finire in questi postriboli dell’informazione è tua, che sei un brand onesto. Allontanarsi dalle fake news significa impiegare strumenti digitali sempre più all’avanguardia per tutelarsi dalla possibilità di essere associati in qualche modo alle fake news altrui. E poi?

Come si arginano le fake news?

Bella domanda. Se da una parte gli inserzionisti devono tenere sintonizzate le loro antenne sulle novità in materia di intelligenze artificiali e di black list, dall’altra purtroppo l’analisi umana dei brand e dei consumatori rimane ancora oggi uno strumento fondamentale per non farsi abbindolare.

Mentre i modi di comunicare crescono e si evolvono, spesso molto più in fretta di quanto non faccia il nostro modo di pensare individuale, dobbiamo tenerci al passo con le tecnologie e integrare al team nuove figure dedicate al fact-checking e alla costruzione di un’esperienza per l’utente che sia fatta di branding, sì, ma anche di verità presentate nel migliore dei modi possibili.

Se ti sembra una strada viabile, significa che stai conducendo un’azienda proiettata verso il futuro non solo del marketing. Ma anche del modo di fare industria. A noi, questo, piace.