Alberto Forchielli: “Manca un mercato unico del venture capital...”

Chiacchierata ad angolo giro con il noto imprenditore, economista e scrittore originario di Bologna che dagli Anni 80 cavalca l’innovazione

Alberto Forchielli: imprenditore, economista e scrittore originario di Bologna che dagli Anni 80 cavalca l’innovazione
Alberto Forchielli, nato a Bologna nel 1955, si è laureato in Economia e Commercio nella propria città e ha poi conseguito un MBA presso la Harvard Business School di Boston, grazie a una borsa di studio

Imprenditore ed opinionista italiano, è un grande esperto di affari internazionali, consulente di multinazionali, imprese statali e della Banca Mondiale, nonché fondatore di una importante società di private equity.

Di chi scriviamo? L’identikit è naturalmente quello di Alberto Forchielli, nato a Bologna nel 1955.

Si è laureato in Economia e Commercio nella sua città e ha conseguito un MBA presso l’Harvard Business School di Boston, grazie ad una borsa di studio.

Dopo le prime esperienze internazionali, dal 1992 al 1994 ha contribuito alla liquidazione della Cassa del Mezzogiorno per conto del Ministero del Bilancio, è stato consulente in programmi di ristrutturazione per il Ministero degli Affari Esteri e ha lavorato per l’IRI come Segretario Generale per le Privatizzazioni.

Dal 1994 al 1998, è stato Presidente di Finmeccanica nell’area Asia-Pacifico.

È stato Senior Advisor della Banca Mondiale, dalla quale nel 2000 è stato distaccato da Washington a Città del Lussemburgo presso la Banca Europea per gli Investimenti per seguire la ristrutturazione finanziaria del settore privato e lo sviluppo delle infrastrutture nell’area dei Balcani.

Nel 2004, ha fondato il think tank “Osservatorio Asia” con lo scopo di analizzare e promuovere i rapporti economici tra l’Italia e i mercati orientali.

Naturalmente, Alberto Forchielli ha fondato, lavorato e amministrato diverse società italiane e straniere.

Nel 2007 ha lanciato Mindful Capital Partners (già Mandarin Capital Partners), un fondo di private equity radicato in Lussemburgo che investe in aziende europee.

È altresì autore di diversi libri ed è stato ospite di numerose trasmissioni televisive italiane, per questo scherzosamente imitato da Maurizio Crozza nel proprio show.

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Lei viene indicato come imprenditore, economista e scrittore. Sono definizioni che la rappresentano? E in quale ordine?

“Sì, mi rappresentano nel loro insieme, ma certo sono più un imprenditore che si è divertito con i social e che ha delle idee, che ha pubblicato scrivendo libri, quando avevo la vena. Adesso la vena si è esaurita e quindi sono un ex scrittore”.

Da esperto di geopolitica, quale è l’area geografica di potenziale sviluppo che lei vede più alla portata delle piccole e medie imprese manifatturiere italiane?

“Si tratta di Stati Uniti, area NAFTA (acronimo di North American Free Trade Agreement, una convenzione internazionale fra USA, Canada e Messico, ndr) ed Europa. L’Asia è in grande sviluppo, ma la mancanza di dimensione si paga…”.

Alberto Forchielli: imprenditore, economista e scrittore originario di Bologna che dagli Anni 80 cavalca l’innovazione
Dopo le prime esperienze internazionali, Alberto Forchielli fra il 1992 e il 1994 ha contribuito alla liquidazione della Cassa del Mezzogiorno per conto del Ministero del Bilancio della Repubblica Italiana

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Per queste aziende ritiene ancora possibile “fare da soli” oppure è necessario trovare forme di aggregazione? E in caso affermativo, quali?

“Piccolo non è più bello. In questo mondo qui, con l’Asia che avanza in modo così prepotente e che fa il 50 per cento del PIL mondiale, noi siamo un po’ tagliati fuori. Non abbiamo legami ex coloniali e non c’è stata emigrazione italiana verso quelle aree. Dove questa emigrazione c’è stata, come in Venezuela, Argentina, Brasile, Canada, eccetera, si sono saldati anche ottimi rapporti commerciali, ma in Asia facciamo fatica ad inserirci. Per le piccole aziende quei grandi mercati sono un po’ fuori portata”.

Presto noi cittadini dell’Unione Europea saremo chiamati al voto, ma i partiti politici si comportano come se fosse l’ennesima campagna elettorale nazionale. Dal suo punto di osservazione. ha visto cambiamenti nei comportamenti delle imprese? Ci sono collaborazioni e forme di aggregazione spontanea?

“Il mercato unico è stato uno dei pochi grandi successi dell’Unione Europea e l’interscambio sta funzionando bene. Le collaborazioni tra imprese avvengono prevalentemente per acquisizione. I francesi, in particolare, stanno comprando moltissimo in Italia. Altre forme di aggregazione non ne vedo. Anche noi italiani stiamo comprando aziende, prevalentemente in Francia e in Spagna, ma il problema è sempre dimensionale. Noi Italiani siamo sub standard e quindi siamo prevalentemente passivi in questo gioco. Compriamo sì, ma poco…”.

Alberto Forchielli: imprenditore, economista e scrittore originario di Bologna che dagli Anni 80 cavalca l’innovazione
Alberto Forchielli è stato consulente in parecchi programmi di ristrutturazione della pubblica amministrazione per il Ministero degli Affari Esteri e ha lavorato per l’IRI come Segretario Generale per le Privatizzazioni

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Come valuta la politica di incentivi alle startup? Perché molte di queste non riescono a superare la fase iniziale e diventare delle vere e proprie imprese?

“In Italia c’è il problema che una startup che ha come riferimento il mercato interno nasce zoppa. Ci sono diversi casi di startup italiane di successo negli Stati Uniti. Magari mantengono la base operativa nel nostro Paese, ma la parte di sviluppo commerciale la vanno a fare in America. I greci, per esempio, hanno fatto un ‘business’ di questa roba qui. Creano le startup e poi, attraverso il loro network, che coinvolge anche il Consolato locale, portano le sedi commerciali negli USA, raggiungendo in breve una crescita esponenziale che le porta ad essere interessanti per gli investitori americani che le comprano. Se si ha una ambizione, bisogna nascere internazionali”.

Abbiamo parlato dell’America, ma ci sono altre aree del mondo interessanti per le startup?

“Un mercato enorme di startup è la Cina. Presto sarà agli stessi livelli degli Stati Uniti. La differenza è che incentivano soltanto startup cinesi e con fondi a dismisura. In Europa c’è un po’ l’Inghilterra, che fa leggermente meglio degli altri. Però occorre tenere conto che gli investimenti, pubblici e privati, non sono paragonabili. Il Regno Unito investe cinque miliardi, l’Italia uno, gli Stati Uniti tra cento e centocinquanta. Questo gioco delle startup è confinato ai due grandi colossi: Cina e USA”.

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Dal 1994 al 1998, Alberto Forchielli è stato Presidente di Finmeccanica nell’area Asia-Pacifico e nel 2004 ha fondato “Osservatorio Asia” per studiare e promuovere i rapporti economici con l’Italia

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L’Europa ha qualche possibilità di recuperare un proprio ruolo?

“È molto indietro l’Europa. Per le startup europee il mercato unico non funziona. Hanno possibilità troppo limitate per poter anche soltanto pensare di andare dall’Italia alla Germania, per esempio. Tutte le startup del nostro continente fanno fatica, perché non esiste un mercato unico del venture capital”.

Più del 90 per cento delle aziende italiane ha meno di 50 addetti, e molte sono alle prese con problemi di continuità aziendale, principalmente per l’età avanzata degli imprenditori: quali scelte strategiche consiglia, in questi casi?

“Non dovrei dirlo perché sono in conflitto di interessi, però un ruolo molto importante lo svolgono i fondi di investimento, perché essi aggregano e valorizzano…”.

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Presso la Banca Europea per gli Investimenti à Città del Lussemburgo, Alberto Forchielli ha seguito la ristrutturazione finanziaria del settore privato e lo sviluppo delle infrastrutture nell’area dei Balcani

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Legami “di filiera” con grandi aziende clienti li vede come una possibile prospettiva?

“Mi sembra una soluzione poco diffusa e un termine un po’ abusato. A me piace di più ‘distretto’ perché ha più significato. È un luogo dove ci sono competenze che si scambiano, imprese che partoriscono altre aziende, persone che escono e fondano nuove attività e così via. Ecco perché a me piace di più il concetto di ‘distretto’ rispetto a quello di filiera…”.

Lei mi ha fatto un assist per l’ultima domanda. Chi scrive è di Mirandola, nella provincia italiana di Modena, cittadina che ha dato il nome al distretto del settore biomedicale. La nascita e la crescita del nostro distretto sono dipese dalla capacità di attrarre investimenti e competenze. In particolare sulle competenze, ritiene che strategicamente le aziende dovrebbero impegnarsi maggiormente per formare giovani con standard adeguati ai loro bisogni?

“Io penso che la formazione sia fondamentale: non c’è crescita senza educazione e senza istruzione specifica. La nostra produttività dipende dalla capacità della nostra gente di fare di più e meglio. Per un Paese come il nostro, che demograficamente è in calo, la sola speranza di crescita è aumentare la produttività e questo vuol dire uno sforzo educativo molto importante. Ci sono tante scuole semi-private che sono eccellenti e atenei che hanno creato Business School di valore, come l’Università di Bologna. Personalmente ritengo molto importante imparare un mestiere e per questo anche gli ITS (Istituti Tecnici Superiori, ndr) sono fondamentali. Credo nel rapporto scuola-impresa, nell’immissione di fondi privati, da parte delle fondazioni bancarie e da enti para-governativi. La Business School di Bologna, che citavo prima, il grande salto lo ha fatto andando a raccogliere fondi anche dai privati e dalle aziende della città…”.

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