Valter Fraccaro: “L’AI senza etica non è vera intelligenza”

Valter Fraccaro: “L’AI senza etica non è vera intelligenza”

Ricognizione sullo stato dell’arte e il futuro dell’Artificial Intelligence nel mondo con l’esperto manager veneto al vertice di SAIHub a Siena

Valter Fraccaro, Presidente di SAIHub, acronimo di Siena Artificial Intelligence Hub, è spesso l'ospite di eventi pubblici in materia di Intelligenza Artificiale
Valter Fraccaro, Presidente di SAIHub, acronimo di Siena Artificial Intelligence Hub, è spesso l’ospite di eventi pubblici in materia di Intelligenza Artificiale

È nato a Torino, le sue radici familiari affondano nell’altopiano di Asiago, ma ha scelto la Toscana per vivere e lavorare; è considerato uno dei massimi esperti mondiali di Intelligenza Artificiale, però di sé Valter Fraccaro preferisce raccontare ciò che gli preme davvero: “Sono uno che va in bici, che legge anche la carta del formaggio, che pensa che se quel giorno non hai imparato niente hai fatto male ad alzarti, che se abbiamo tanti verbi come studiare, imparare, sapere, capire e spiegare è perché ognuno si basa su quello precedente, che ha 56 anni e che apprezza più i giovani di quelli della sua età…”.
Presidente di SAIHub, acronimo di Siena Artificial Intelligence Hub, polo di rilievo mondiale nel campo delle Life Sciences, è convinto che le Scienze della Vita siano fondamentali per raggiungere gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile definiti dall’ONU, e pertanto “lavoro per favorire l’uso sempre più diffuso dell’Intelligenza Artificiale nelle aziende e per organizzare attività di orientamento per i giovani, affinché possano appassionarsi alla scienza e sceglierla come professione”.


In qualità di consulente, da sempre dà una mano alle aziende nella definizione di progetti di Intelligenza Artificiale volti a creare un reale vantaggio competitivo, curandone gli aspetti tecnologici, etici e sociali, con particolare riguardo alla Sostenibilità. Svolge altresì l’attività di advisor per aziende private, fondazioni e società di consulenza aziendale nel campo dell’Intelligenza Artificiale applicata alla R&D, la cosiddetta Research and Development. In questo contesto, ha scritto sei progetti in materia di Life Sciences, ciascuno dei quali ha ottenuto contributi e finanziamenti pubblici e privati.
Nella sua traiettoria professionale, ha incrociato varie aziende e località italiane, sempre in posizioni di grande responsabilità, alcune ancora attuali, altre afferenti il passato, il tutto in un lasso di tempo coincidente con gli ultimi due lustri: Fondazione Monte dei Paschi di Siena, bba Delivering The Biotech Promise, Parolin Legal, AchilleS Vaccines, Fondazione Vita, 4Sciences, Dedagroup ICT Network e la prestigiosa Università degli Studi di Padova.

La più celebre definizione di Intelligenza Artificiale, in lingua italiana, è quella dell’ingegner Marco Somalvico, uno dei pionieri della materia. Dice: “È disciplina appartenente all’informatica che studia i fondamenti teorici, le metodologie e le tecniche che consentono la progettazione di sistemi hardware e sistemi di programmi software capaci di fornire all’elaboratore elettronico prestazioni che, a un osservatore comune, sembrerebbero essere di pertinenza esclusiva dell’intelligenza umana”. È una frase ancora attuale o sarebbe meritevole di un “tagliando”? E quale è la “spiegazione” che un esperto come Valter Fraccaro dà dell’IA?
“È una definizione che, con quel ‘sembrerebbero’, centra il punto. Noi siamo abituati ad attribuire intelligenza a chi riesce a risolvere problemi complessi e, dunque, quando vediamo un computer battere un campione di scacchi, pensiamo che stia esercitando una qualche forma di intelligenza, e da qui nasce l’equivoco. Sebbene non si possa escludere che in futuro si riesca a trasferire ad una macchina la capacità biologica del cervello di produrre intelligenza, oggi siamo molto distanti da qualcosa di simile. La grande potenzialità dell’AI è quella di poter correlare tra loro molti dati diversi, cosa impossibile per le capacità umane, ma tipica di un computer. Insomma, noi umani abbiamo delle abilità mentali di tipo qualitativo (percepiamo il piacere che può darci la Nona di Beethoven), il calcolatore è molto più bravo di noi sul piano quantitativo (può analizzare centinaia o anche migliaia di fattori e, ad esempio, indicarci tra le 10 alla sessantesima molecole possibili quelle 10 su cui concentrare gli sforzi per giungere a curare una certa malattia). Quanto alla definizione di Intelligenza Artificiale, credo sia meglio adottarne una standard, così da non incorrere in difficoltà quando si lavora insieme. Quella data dall’Unione Europea sarà anche un po’ prolissa, ma garantisce di durare negli anni. Quanto a me, uso spesso l’espressione ‘strumenti matematico-digitali’ per riepilogare tutti i tools che adoperiamo per realizzare soluzioni di AI”.

Chi è Valter Fraccaro? E come descriverebbe se stesso in generale nonché in rapporto alla sua attività nell’ambito sviluppo della “Artificial Intelligence”?
“Mi riesce molto più facile descrivere l’AI! Diciamo che tutta la mia carriera professionale, ormai quasi quarantennale, si è svolta nell’Information Technology. Sono partito da apprendista, sono diventato dirigente privato prima e pubblico poi, ho fondato due aziende del settore. Più di tutto, sono stato molto fortunato nel lavorare con grandi maestri, persone che mi hanno spinto ad esercitare un certo senso critico e a risolvere i problemi cogliendone il punto nevralgico. In questo senso, e per fare un solo nome, cito il professor Gianfranco Bilardi, con cui ho avuto il piacere di lavorare quotidianamente durante i tre anni in cui sono stato dirigente dell’Università degli Studi di Padova: con l’esempio, mi ha insegnato ad usare la logica in maniera profonda e acuta. Resta da vedere se ho imparato abbastanza! Lui è una di quelle persone che non ama la luce dei riflettori, ma nel settore dell’informatica teorica, quella che spinge avanti la tecnologia e richiede massimo impegno logico, è conosciuto in tutto il mondo, avendo aperto al pensiero porte che sembravano resistere ad ogni sforzo della mente umana. Quanto all’Artificial Intelligence, ci sono arrivato partendo dalla mia professione, l’ICT, e dalla mia passione, la scienza. L’applicazione dell’Intelligenza Artificiale alla ricerca scientifica è il risultato di punta ottenuto nei diversi decenni passati, da quando quella espressione è stata inventata, quando voleva dire qualcosa di diverso da oggi. Oggi metto insieme queste esperienze con i tanti anni trascorsi nel progettare e fornire soluzioni informatiche ad aziende di ogni tipo, grandezza e settore, così da sfruttare al meglio l’AI, che è uno strumento, per migliorare le imprese, che resta l’obiettivo. E oggi, mai come prima, migliorare le imprese vuol dire migliorare il mondo: se vogliamo la Sviluppo Sostenibile, dobbiamo far nostro questo semplice concetto”.

Che cosa può dirci del SAIHUB “Siena Artificial Intelligence Hub”? Qual è la sua mission istituzionale, nonché quella dei partner e soci fondatori, e come si collocano tutti loro nella traiettoria di crescita dell’AI?
“A Siena esiste un distretto economico legato alle Life Science che non ha pari in Europa quanto a concentrazione di conoscenze e capacità nella ricerca e sviluppo di nuovi farmaci, dispositivi medici, metodi e tecnologie per il settore agri-food. Inoltre esiste una università che ha livelli di eccellenza nelle stesse aree e nell’Intelligenza Artificiale. È da questa base che un paio di anni fa la Fondazione Monte dei Paschi di Siena ha cominciato a pensare alla costituzione di un centro dedicato all’AI per favorire l’introduzione di queste metodologie nel settore delle Life Science, così da rafforzare l’economia locale attraendo nel territorio persone, aziende e capitali in grado di garantire anche in futuro la posizione di preminenza internazionale dell’ecosistema senese e toscano. Una volta che l’idea è stata proposta da FMPS, hanno subito aderito l’Università di Siena, la Fondazione Toscana Life Sciences, il Comune di Siena e Confindustria Toscana Sud. A quel punto e con lo stesso ruolo fondativo è stata costituita la Rete d’Impresa SAIHub, cui oggi appartengono una trentina di aziende provenienti da tutta Italia, e non solo: recentemente ha aderito anche la ticinese Moresi.com che, con un socio italiano, hanno creato Tecnoscientia, che ha sede presso SAIHub. Ci dedichiamo a diverse attività rivolte ai giovani e alle imprese. Quest’estate abbiamo realizzato la prima Summer School italiana su Intelligenza Artificiale e Life Science: novanta tra ragazze e ragazzi che avevano appena completato il Quarto Anno delle Superiori hanno potuto gratuitamente partecipare a cinque giorni di orientamento su queste materie. Il nostro intento era quello di creare innanzitutto consapevolezza sociale e, secondariamente, far appassionare i giovani alla scienza, cosicché si iscrivano magari all’Università di Siena e siano i ricercatori di domani. Riproporremo questa iniziativa anche la prossima estate e ci attendiamo almeno 200 ragazzi e ragazze. Inoltre, abbiamo finanziato con diverse centinaia di migliaia di Euro borse di studio per i migliori talenti universitari e, infine, abbiamo creato dei premi economici (fino a 10.000 Euro a testa) per coloro che, ottenuta la laurea magistrale o il dottorato, entrino a far parte dei team delle aziende della ‘rete’ e restino lì almeno un anno. Questa ultima iniziativa mira a far capire a questi giovani che a Siena esistono possibilità di sviluppo delle proprie conoscenze scientifiche e di carrier, che non sono inferiori a quelle che trovano all’estero. Così possono scegliere di andare fuori d’Italia, ma sanno di non esservi costretti e, comunque, che quando vorranno tornare potranno trovare un terreno pronto a far fiorire le loro capacità. Abbiamo poi cominciato ad aiutare finanziariamente i progetti di AI presentati dalle diverse aziende della ‘rete’ in collaborazione tra loro. Sette di questi progetti sono condivisi con l’Università di Siena e si sono meritati il finanziamento regionale di parecchi Assegni di Ricerca. Siamo soltanto all’inizio, ma considerando quanto possa essere difficile attivare un’entità associativa come SAIHub in una situazione così condizionata dal COVID, penso sia stato un buona partenza”.

E l’Italia dà il la al piano per l’intelligenza artificiale

Valter Fraccaro è Presidente di SAIHub, acronimo di Siena Artificial Intelligence Hub, polo di rilievo mondiale nel campo delle Life Sciences
Valter Fraccaro è Presidente di SAIHub, acronimo di Siena Artificial Intelligence Hub, polo di rilievo mondiale nel campo delle Life Sciences

Qual è il “punto più alto” attualmente raggiunto dall’Intelligenza Artificiale, il traguardo oltre il quale finora non si è stati capaci di andare? La domanda è applicabile al mondo intero e all’Italia…
“La risposta non può che essere soggettiva, in questo caso. Intanto, potremmo partire dai massimi valori: salvare vite umane, ad esempio. In questo caso, è giusto pensare a quanto è stata rilevante l’AI nella ricerca e sviluppo dei vaccini contro il COVID e dei farmaci per combatterli. Creare vaccini efficaci in meno di un anno sarebbe stato impossibile senza l’apporto dell’Intelligenza Artificiale. Come ha detto Rino Rappuoli, straordinario scienziato italiano e riferimento della vaccinologia mondiale, semmai un prossimo virus minacci l’umanità come sta facendo il Coronavirus, grazie all’AI saremo in grado di identificare le caratteristiche del vaccino necessario entro le 24 ore successive al momento in cui conosceremo il suo DNA. Sempre restando nel campo della salute, proviamo a pensare a cosa vuol dire ‘medicina personalizzata’. Oggi usiamo tutti gli stessi farmaci, uomini e donne, giovani e anziani, in qualsiasi parte del mondo si viva (almeno là dove le medicine sono disponibili…) e indipendentemente dalle nostre abitudini, alimentazione, ambiente. Così ci capita di andare dal medico, quello ci ordina una cura di due pastiglie per sette giorni e poi andiamo in farmacia e compriamo una confezione che ne contiene 30. Puro spreco per produrle, impacchettarle, distribuirle, smaltire quelle in eccesso. La medicina personalizzata, disponibile entro pochi anni grazie all’AI, ci curerà meglio perché il farmaco sarà realizzato per il singolo paziente, nella misura e nella forma a lui più adatto. Curare così darà migliori risultati, che vuol dire minori probabilità di finire in ospedale e, se occorre andarci, starci meno tempo, dunque riducendo la necessità di edifici enormi da scaldare d’inverno e raffreddare d’estate, con costi spaventosi di manutenzione, inquinamento, utilizzo del suolo, eccetera, eccetera. Le spese sanitarie valgono il 10 per cento del PIL mondiale, dunque ogni risparmio vale miliardi: con l’AI possiamo risparmiare moltissimo, nonché curare meglio molte più persone. Dico ‘AI’ per semplicità, ma ricordiamoci sempre che è un mezzo: i risultati li colgono gli umani, applicando ingegno e coscienza. Né l’Intelligenza Artificiale né l’uomo fanno miracoli, ma se gli uni usano bene l’altra, allora si possono raggiungere grandi traguardi. Oggi l’intera popolazione mondiale, nelle sue componenti economiche, sociali e politiche, è impegnata nella ‘transizione’, cioè il percorso per giungere ad un sistema che realizzi, attraverso la sostenibilità, una condizione in cui la vita umana sia migliore senza che questo significhi peggiorare quella dell’intero pianeta, come abbiamo fatto nell’ultimo secolo e mezzo. L’AI è uno strumento che può aiutare moltissimo in questo tragitto”.

Che cosa pensa del Programma Strategico per l’Intelligenza Artificiale 2022-2024, frutto del lavoro congiunto del Ministero dell’Università e della Ricerca, del Ministero dello Sviluppo Economico e del Ministero per l’Innovazione Tecnologica e la Transizione Digitale italiani, lanciato nei giorni scorsi da Palazzo Chigi? È convinto di tutti i ventiquattro punti programmatici comunicati al pubblico, del rapporto fra mezzi e obiettivi, o avrebbe apportato aggiustamenti a qualcuno di essi?
“Prima di tutto va detto che scrivere quel Programma non deve essere stato per niente facile e bisogna tenerne conto quando lo si critica, perché si sottostima spesso il lavoro degli altri, pensando che sarebbe stato semplice farlo meglio. Detto questo, io credo che quel documento, essendo di indirizzo, vada nella giusta direzione. Sarà poi compito del legislatore fare in modo che la sua applicazione favorisca davvero lo sviluppo delle aziende che si occupano di creare soluzioni di AI e di quelle che le utilizzeranno. Rispetto al Programma, credo sarebbe stato ancora migliore se avesse incluso il dibattito internazionale sulle questioni etiche riguardanti l’Intelligenza Artificiale. Sono convinto, dopo anni di lavoro e continuo confronto con tanti operatori, esperti e imprese, che il reale successo di qualsiasi progetto di AI sia strettamente legato alla profondità dell’analisi etica del contesto in cui si colloca e dei suoi possibili esiti”.

Un forum di qualità per intelligenza artificiale e imprese

Umberto Eco e Valter Fraccaro in un evento pubblico del 1989
Umberto Eco e Valter Fraccaro in un evento pubblico del 1989

Allo stato dell’arte, quanta “intelligenza” e quanto “artificio” ci sono veramente nell’IA? È ancora l’uomo allo stesso tempo il limite e il motore del tentativo di riproduzione delle sinapsi del cervello, la misura di tutto?
“Risposta breve: ‘se è intelligente, non è artificiale; ‘se è artificiale, non è intelligente’, come dice Luciano Floridi. Risposta più lunga: ‘se parliamo consapevolmente di intelligenza, allora serve una definizione precisa almeno di quella umana, e ancora non l’abbiamo’. È difficile determinare che cosa sia l’intelligenza se non in relazione con la coscienza e così la cosa si complica ancora di più. Poi dovremmo metterci di mezzo i desideri, che creano gli obiettivi. Una cosa possiamo dire: ad oggi, le macchine non hanno coscienza, desideri, obiettivi, dunque niente intelligenza. Resta lo ‘artificio’, quello sì. Dante Alighieri usava questa parola per dire di qualcosa di grande pregio nei materiali e nell’abilità del suo costruttore, completo nella sua osservabilità. Chissà se gli piacerebbe vedere come abbiamo plasmato matematica ed elettroni per arrivare a risolvere problemi troppo estesi per la nostra mente. L’AI resta un fenomeno decisamente umano e temo che attribuirle tanto potere da poterci spaventare sia un modo per nascondere le nostre responsabilità. Come ogni tecnologia inventata dall’uomo, fosse anche il primo bastone con cui un nostro antico predecessore ha fatto scappare un animale della savana, siamo noi i responsabili del suo utilizzo. E meglio l’utilizziamo, più diventiamo ‘sapiens’. Quanto alla sinapsi, mi pare che il sogno novecentesco di usare l’elettronica per simulare il cervello non sia più l’obiettivo dell’Artificial Intelligence, almeno non della sua forma pratica e industriale. Si chiamava ‘cibernetica’, ricordate? Era come aver fatto il giro della nostra storia culturale: per i greci Kybernetes era colui che conduceva la nave e, per estensione, anche la città… ora scriviamo cybernauta, con quella y che ci sembra inglese, e invece è l’impronta digitale dei nostri avi. Stiamo sempre guidando la nave ma, a volte, ci fa più paura la nave stessa che il mare. L’AI è soltanto il modello più nuovo di imbarcazione: di fronte sta l’oceano delle cose che non sappiamo e della nostra coscienza. Per quello ci serve l’etica, la bussola per sapere dove siamo e decidere dove andare. Siamo la ‘misura di tutto’ non perché siamo meglio di altre creature, ma perché non abbiamo altra scelta. Possiamo guardare all’universo soltanto con tutti i nostri limiti e, questo si può dire, siamo la specie che più ha saputo utilizzare la tecnologia per andare oltre a quelli”.

Che cos’è l’apprendimento automatico (detto altresì “machine learning” in inglese) è perché è una branca dell’Intelligenza Artificiale che sta acquisendo sempre maggiore importanza? Dalla programmazione si è passati all’addestramento, con il risultato di rendere la robotica il vero campo di applicazione di queste tecnologie?
“Cominciamo dalla fine. Robot viene dal ceco ‘Robota’, che vuol dire ‘lavoro pesante’ e, prima ancora, voleva dire ‘servitù, schiavitù’. Quando tengo i miei seminari nelle aziende, chiedo sempre a chi mi ascolta quale lavoro che la tecnologia ci ha consentito di affidare alle macchine si vorrebbe tornare a fare a mano. Nessuno, in fondo. Perché a noi, a noi umani, il lavoro inteso come fatica obbligata mica ci piace. Nella Bibbia, il lavoro è la pena che Dio infligge ad Adamo e nelle diverse lingue la parola che vuol dire ‘lavoro’ ha sempre una radice che parla di schiavitù. Alla fine, il ‘machine learning’ è il modo che abbiamo ideato per trasferire alle macchine quella che noi chiamiamo ‘esperienza’. Ad un bambino basta osservare tre gatti per chiamare ‘gatto’ il prossimo che vede; ad un computer serve mostrare migliaia e migliaia di foto di mici prima che ne riconosca uno e lo identifichi come ‘gatto’. Soltanto che migliaia o milioni di foto, il computer le esamina in pochi secondi e lo stesso è capace di fare con enormi quantità di dati numerici o con libri e testi scientifici: non ci è utile per distinguere i gatti, ma ci interessa il fatto che possa aiutare un ricercatore perché ha potuto leggere in un attimo una quantità di informazioni che l’umano non avrebbe potuto nemmeno sfogliare vivendo centinaia di anni. In sintesi, facciamo in modo che il lavoro pesante, quello che non ci piace e per cui non siamo neanche tanto bravi, sia affidato ad una macchina e usiamo il ‘machine learning’ (e tecniche simili) per fargli maturare l’esperienza che serve per farlo bene. Lui lavora, noi pensiamo”.

I supercomputer quantistici e la fisica dei quanti imprimeranno una svolta decisiva alla crescita teorica e pratica dell’Artificial Intelligence oppure la strada da percorrere è un’altra? E perché?
“I supercomputer quantistici hanno possibilità del tutto peculiari e sono e saranno usati per risolvere un altro ordine di problemi, solo raramente simili a quelli che affrontiamo con l’AI. Probabilmente potranno esserci utili un giorno per simulare il cervello, che ha un funzionamento biologico ed elettrico sicuramente più simile a quello di un computer quantistico che a quello di uno convenzionale, ma l’AI a cui pensiamo oggi e per il prossimo futuro è legato alle forme di computazione ordinaria che usiamo nei nostri smartphone o personal computer. E anche così di strada ne abbiamo ancora molta davanti”.

Rete svizzera di competenze per l’intelligenza artificiale

Valter Fraccaro, Presidente di SAIHub, acronimo di Siena Artificial Intelligence Hub, è spesso l'ospite di eventi pubblici in materia di sostenibilità del pianeta
Valter Fraccaro, Presidente di SAIHub, acronimo di Siena Artificial Intelligence Hub, è spesso l’ospite di eventi pubblici in materia di sostenibilità del pianeta

L’implementazione dell’IA o AI, che dir si voglia, deve realmente essere soggetta a limiti etici e morali oppure la possibile concorrenza delle macchine all’uomo è una falsa questione? L’homo sapiens troverà nell’Artificial Intelligence l’alter ego in grado di riequilibrare i conti con la natura?
“Belle domande, soprattutto se poste in successione! La ‘possibile concorrenza delle macchine all’uomo’ non è il punto focale di quella che chiamiamo AI Ethics. Nello specifico, l’etica, cioè le regole intorno a cui conveniamo per ottenere benefici e non danni dal nostro comportamento individuale e sociale, ci serve per poter analizzare il contesto in cui applichiamo l’Intelligenza Artificiale, così da poterne prevedere gli esiti finali ed evitare quelli negativi. L’AI ha molti aspetti etici che vanno amministrati. Uno, il più noto ma anche il più discusso e rispetto al quale abbiamo già a disposizione mezzi e comportamenti adeguati, è la privacy. In sintesi, non deve essere possibile consultare i dati in modo da distinguere quelli che descrivono una specifica persona, tranne che in condizioni particolari, controllate e accettate dall’individuo. Ci sono però aspetti più sottili. Dobbiamo, ad esempio, evitare che un computer agisca sui dati usando le maniere difettose degli umani, come la tendenza a usare pregiudizi nelle proprie scelte. Ancora, dobbiamo evitare che l’applicazione di Artificial Intelligence, che gode di una sua propria autonomia nel trovare il modo per dare risposte ai problemi posti, non esponga chiaramente il percorso logico che l’ha guidata e ha portato ad un determinato risultato. Si può continuare, ma il punto resta quello: più è grave il danno che la macchina può realizzare nell’applicare automaticamente un risultato della sua analisi, tanto più è importante che vi sia una persona a deciderne l’esecuzione. Alla macchina possiamo chiedere di spiegarci ‘come’ ha raggiunto una certa decisione, ma la responsabilità della sua applicazione deve essere sempre riportabile ad un umano. Si può creare sempre questa condizione? No. Dunque, dobbiamo essere disposti a considerare gli errori della macchina come responsabilità umane. Non è una grande novità: non è forse quello che facciamo quando un dispositivo di fabbrica ferisce un operaio, ad esempio? Ci spaventa il fatto che di una pressa non temiamo la volontà, mentre ad una macchina che reputiamo abbia ‘intelligenza’ attribuiamo anche quella: non ha senso, e lo abbiamo spiegato sin qui, ma ci viene naturale pensarlo perché nella nostra esperienza intelligenza e volontà coincidono. Homo sapiens, alter ego, natura… Ci vorrebbe qui Maurizio Ferraris a rispondere! Io mi limito a dire che l’aver preso globalmente coscienza che il nostro modo di creare progresso, che ci ha portato a far sì che le ultime tre o quattro generazioni umane vivano in condizioni grandemente migliori delle migliaia che le hanno precedute, è incompatibile con la salvaguardia del pianeta e del futuro dei nostri discendenti è il primo grande accadimento di questo secolo. Dobbiamo concentrarci sulle nostre capacità scientifiche e, per derivazione, tecnologiche per cambiare questa rotta. Sappiamo che abbiamo gli strumenti per migliorare le condizioni di vita umane senza sacrificare ulteriormente quelle di altre specie e della Terra stessa, e che alcune tecnologie ancora acerbe presto ci daranno ulteriori possibilità. Su questa base, attraverso gli SDG dell’ONU, abbiamo stretto un grande patto tra oltre 190 Paesi, e non era mai successo. In questo quadro, l’AI è uno dei tool di maggior valore di cui disponiamo: già funzionale ma ancora, appunto, acerbo e che quindi diventerà tanto più ponente con il passare degli anni”.

Entro il 2030, la Cina sarà il primo attore nel campo dell’Intelligenza Artificiale, superando Europa e Stati Uniti d’America: quale sarà l’impatto di questa trasformazione sulla geopolitica e l’economia del mondo? La “caccia” alla massima sostenibilità ambientale e il contrasto al riscaldamento terrestre, l’individuazione di nuove fonti d’energia, passeranno attraverso questi studi?
“Domanda giusta, che parte da termini quantitativi. Leghiamo sempre molto queste analisi a quando i diversi Paesi (o ‘Imperi’, come li chiama un filosofo veneziano oggi molto contestato, ma che su questo tema fa una analisi corretta) stanno investendo in Intelligenza Artificiale. Sembra come se fossimo al tempo delle cannoniere, dove comandava il mondo chi aveva quelle più grandi. Non sono sicuro che le cose funzionino così oggi e ancora meno che questa visione valga per i prossimi anni. Mi sembra che competenze e capacità di metterle a frutto non siano una questione semplicemente quantitativa. Lavoro molto a Siena, un centro di 50.000 abitanti difficile da raggiungere persino in treno, eppure lì esiste un tessuto culturale, imprenditoriale e scientifico per cui quella piccola città medievale resta uno dei centri mondiali della ricerca nelle Life Sciences. In quanti altri posti del mondo c’erano condizioni più favorevoli? Moltissimi, ma Siena è lì e lavora per rimanere in cima. Si può ricreare qualcosa di simile mettendo sul tavolo miliardi di Euro, di Dollari o di Yuan? Forse sì, ma forse conviene di più prendere una frazione di quei soldi e venirci, a Siena, invece che sperare di ricrearla in pochi anni. L’AI è uno strumento, dirompente e dalle grandi possibilità: per questo ne parliamo tanto. È stato così per l’elettricità, per il treno, per Internet: qualche Paese ha investito di più di altri, ma non mi pare che oggi, decenni o secoli dopo l’avvento di quelle tecnologie, gli altri non ne dispongano. Capisco da solo che è una lettura che ha un certo grado di ingenuità, ma mi sembra ancora più ingenuo, visto che non li abbiamo, dire ‘dovremmo investire milamila miliardi, come fa la Cina’ o, peggio, dire che allora dovremmo farci da parte, trasformare l’Italia in un vacanzificio e diventare, come scrisse nel 2012 Marco Cattaneo, direttore di ‘Le Scienze’, un ‘paese di camerieri’. Quanto agli ultimi quesiti, la mia opinione è che proprio per quanto abbiamo detto sino qui l’Italia (e anche la Svizzera, per analoghi motivi) ha tutta la possibilità di avere un posto considerevole nel futuro mondiale. Non come potenza politica, ma come influsso culturale. Quanto prima la sostenibilità prenderà piede, tanto più forza acquisirà la conoscenza e la capacità di creare nuovi modi per utilizzarla, in particolare nelle Life Sciences che restano il settore scientifico-economico che può più facilmente aiutarci nel raggiungere gli SDGs, o Sustainable Development Goals, dell’Organizzazione delle Nazioni Unite…”.

Il futuro è già qui: sempre da capire, mai da sprecare…

Valter Fraccaro è Presidente di SAIHub, acronimo di Siena Artificial Intelligence Hub, polo di rilievo mondiale nel campo delle Life Sciences
Valter Fraccaro è Presidente di SAIHub, acronimo di Siena Artificial Intelligence Hub, polo di rilievo mondiale nel campo delle Life Sciences