Solo 5 brand italiani nella top 100 globale: quali sono gli errori?

I brand italiani del food che spiccano nel mondo sono pochi, si contano sulle dita di una mano. In cosa, dunque, si può migliorare?

E dire che di food & drink dovremmo saperne giusto qualcosina. Eppure nella top 100 del report Brand Finance Food & Drink 2022 I brand italiani sono solo 5.

In che cosa consiste esattamente questa classifica, prima di saltare alle conclusioni facili e scontate? La classifica viene calcolata sul valore del trademark, ovvero l’impatto finanziario generato da immagine e reputazione del brand. È quella potenza di comunicazione con cui il brand stesso ti fa cambiare idea mentre fai la spesa, facendoti ricorrere sempre al solito marchio – anche se ti era passato per la testa di cambiare.

Un brand forte e identitario, strutturato e ben chiaro nella mente dei consumatori, è un’influenza importante nella mente di chi consuma. Sarà più facile sceglierlo rispetto a brand meno forti o sconosciuti, e non importa se costa un pochino di più (il price premium).

Che cosa dice la classifica?

Innanzitutto bisogna dire che i marchi italiani non compaiono neanche nella top dieci. Al primo posto c’è Nestlé, la multinazionale più amata e odiata di sempre che, nonostante i suoi trascorsi eticamente non in discussione in questo articolo, conferma il suo brand a un valore complessivo di 20,8 miliardi di dollari. Seguono poi brand conosciuti al popolo italiano, ma non propriamente nostri: Danone, Quaker (quello delle granaglie), Kellogg’s e McCain.

Barilla arriverà solo in quattordicesima posizione, con un “valore del brand” di 3,8 miliardi di dollari, in peggioramento di una posizione rispetto al 2021. La Ferrero ha posizionato Kinder in 23esima posizione, Nutella alla 46esima e Ferrero Rocher alla 50esima. Amadori si è classificata invece 96esima.

Perché non riusciamo a emergere sul mercato globale?

Una simile domanda esula davvero dalle mie competenze, ma è importante provare a darsi una risposta e continuare a studiare, rimanendo aperti a possibili opinioni e idee. Il punto è che i brand italiani che spiccano davvero nel mondo ci sono, ma sono pochi e davvero troppo piccoli rispetto a certi colossi dell’alimentare come Hershey’s, Lay’s e Nestlé che fanno dei grandi volumi il loro pane quotidiano.

Molti brand italiani sono amati dal popolo dello Stivale per una ragione semplice: hanno attivamente lavorato sulla loro italianità per entrare nei carrelli dei consumatori nostrani. Ce l’hanno fatta, e ce l’hanno fatta bene. Del resto chi non acquista Barilla almeno una volta al mese?

Il problema è che la forza motrice dell’italianità, secondo molte fonti, non è sufficiente per proiettare i nostri brand verso l’iperspazio globale. Qualcuno afferma che dovrebbero differenziarsi meglio e studiare una gamma di prodotti capaci non solo di ingraziarsi l’esigente pubblico italiano, ma anche quello straniero, puntando su principi di consumo chiari, moderni, differenziati e condivisibili, come per esempio la sostenibilità. Voi che ne pensate?