Brand e umorismo: quanto conta davvero lo spirito per entrare nel cuore dei consumatori?

La comicità divide: quello che fa ridere me, potrebbe suscitare in te indifferenza, o addirittura indignazione. E l’indignazione non è qualcosa che si vuole sia associata al proprio brand. Dunque la domanda è: rischiare o no?

La strada più veloce per il cuore – e dunque il portafoglio – degli italiani è l’umorismo. A rivelarlo è il nuovo studio di Oracle Advertising and Customer Experience in collaborazione con Gretchen Rubin, autrice e podcaster cinque volte bestseller del New York Times, il 49% degli intervistati (tra cui anche gli italiani) sente che, negli ultimi due anni, complice la pandemia, non ha “più provato vera felicità”.

Parole importanti quelle che emergono dal The Happiness Report. Al tempo stesso, però, i lockdown ci hanno messo a dura prova in quanto animali sociali, e gli strascichi – possiamo già chiamarli così? – della pandemia lasciano presagire che l’economia non porterà buone notizie nei prossimi anni. Non ci resta che ridere?

The Happiness Report: brand e umorismo

Secondo i dati emersi dalla ricerca, il 78% dei consumatori sono dell’idea che i brand possano rendere le persone più felici. La locuzione inglese usata è “can do more to deliever happiness to their customers” – una frase che filosoficamente fa acqua da tutte le parti ma, di certo, la botta di piacere puramente consumista dovuta a un nuovo prodotto di un marchio che ci piace, può essere in qualche modo un palliativo a difesa di una brutta giornata.

Il 91% degli intervistati preferiscono i brand che offrono un approccio comunicativo divertente, e la percentuale sale al 94% quando si parla di Gen Z e Millennials.  Sempre il 90% degli intervistati afferma di ricordare meglio le pubblicità che l’hanno fatto ridere, sebbene molti business affermino di usare l’umorismo solo nel 20% della loro comunicazione offline, percentuale che scende a 18% quando si parla di comunicazione online.

Seguendo il miglior esempio di Taffo, il 75% delle persone ha dichiarato di essere disposta a seguire un brand sui social solo se la comunicazione è considerata divertente. Il 69% delle persone è più propensa ad aprire una newsletter se l’oggetto strappa un sorriso. Solo il 24% delle aziende intervistate, però, dichiara di scegliere l’umorismo come approccio di comunicazione.

L’umorismo fa staccare i dividendi?

Secondo The Happiness Report, le persone sono disposte a seguire e fidelizzarsi un brand che sceglie la comunicazione divertente. Al tempo stesso però i dati lasciano emergere che molti brand sembrano restii a usare troppo umorismo della loro strategia di comunicazione.

Sebbene l’80% degli intervistati affermi che, quando un brand sfrutta l’umorismo, è spesso disposta a fare più di un acquisto, la strategia della risata lascia ancora molte perplessità. Il 95% dei brand ha paura che l’humor possa influenzare negativamente le interazioni con i suoi follower. Uno dei motivi principali per cui si fatica a usare l’humor, dicono le aziende campione, è la mancata disponibilità di informazioni e strumenti atti all’uso di un’ironia di successo: il 32% del campione analizzato si sentirebbe più tranquillo se avesse a disposizione tecnologie evolute, quali l’Intelligenza Artificiale.

L’humor divide il pubblico

L’humor è molto soggettivo. Sfruttare il potenziale dello humor per fare leva su un target significa una potenziale riduzione delle possibilità di raggiungere un bersaglio interessato. La comicità divide: quello che fa ridere me, potrebbe suscitare in te indifferenza, o addirittura indignazione. E l’indignazione non è qualcosa che si vuole sia associata al proprio brand. Dunque, perché navigare in acque così pericolose?

L’umorismo è una linea sottile (eppure vastissima) che, in un’epoca così complicata, può essere etichettata come leggerezza o addirittura insensibilità nei confronti di persone o ideologie. Un umorismo pulito esiste, ed è possibile, ma quali sono le conseguenze di un errore?

Sinceramente non sono stupita dai dati emersi e, per quanto l’umorismo, in linea di massima, possa sembrare un’idea brillante nelle strategie di comunicazione, è importante comprenderne tutte le sue possibili sfaccettature e conseguenze sul pubblico. Non tutti capiscono le battute, e non tutti le capiscono sullo stesso piano. Eppure, la pubblicità dovrebbe essere rivolta a tutti.

La risata è uno strumento potentissimo, se lo si sa usare con maestria. La domanda, per l’appunto, è: sei capace di far ridere tutti senza offendere nessuno? Bada che non è impossibile, ma può essere più difficile dei quanto non si pensi.