“Ossigeno oscuro”: l’inedita scoperta sul fondo dell’Oceano

I noduli polimetallici sui fondali del Pacifico producono l’elemento O2: l’eclatante rivelazione solleva ulteriori domande sul Deep Sea Mining

I fondali dell'Oceano Pacifico producono ossigeno: la scoperta
Un granchio Parapagurus sp. con un corallo del genere Epizoanthus sul dorso si fa strada attraverso uno spettacolare e inaspettato campo di noduli di ferromanganese che ricopre il fondale di Gosnold Seamount (Foto: NOAA Ocean Exploration, 2021 North Atlantic Stepping Stones: New England and Corner Rise Seamounts)

Sui fondali dell’Oceano avviene un fenomeno a cui gli scienziati non credevano di poter assistere: nella completa oscurità degli abissi marini, a oltre 4mila metri di profondità, viene prodotto dell’Ossigeno.

La scoperta, che mette in discussione tutto quello che sappiamo sulla produzione d’ossigeno e sull’origine della vita sulla Terra, è avvenuta in un’area dell’Oceano Pacifico decisamente attenzionata: la Clarion Clipperton Zone, o CCZ, un delicato habitat sottomarino che si è scoperto ospitare enormi giacimenti minerari.

A produrre l’Ossigeno oscuro sarebbero proprio quei noduli polimetallici ricchi in Manganese, Cobalto e Nichel che sono diventati un obiettivo chiave dell’industria estrattiva, che vorrebbe sfruttare i preziosi metalli contenuti nei fondali marini per rispondere alla crescente richiesta di circuiti elettronici e batterie.

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I noduli di manganese dei fondali oceanici producono ossigeno
Noduli di manganese sul fondale marino nella zona di Clarion-Clipperton (Foto: ROV KIEL 6000, GEOMAR)

Quell’ossigeno dagli oscuri fondali dell’Oceano…

La ricerca del Professor Andrew Sweetman della Scottish Association for Marine Science (SAMS) ha una lunga storia: nel 2013, l’esperto dei fondali marini stava misurando la quantità di ossigeno consumata dagli organismi sul fondale marino della Clarion Clipperton Zone, un’area del Pacifico che ha acquisito una certa notorietà per via dei suoi giacimenti minerari, un obiettivo chiave per i soggetti impegnati nel Deep Sea Mining.

L’esperimento, a circa 4.000 metri di profondità, prevedeva di monitorare l’abbassamento dei livelli di ossigeno nell’acqua per misurarne il consumo da parte degli organismi dei fondali marini. Sorprendentemente, però, le rilevazioni non sono mai andate come previsto: i livelli di Ossigeno non sembravano affatto calare. Al contrario, aumentavano in modo significativo.

Quando abbiamo ottenuto questi dati per la prima volta abbiamo pensato che i sensori fossero difettosi, perché tutti gli studi condotti nelle profondità marine hanno rilevato solo il consumo di ossigeno e non la sua produzione”, spiega Sweetman, “tornavamo a casa e ricalibravamo i sensori, ma nel corso di 10 anni continuavano a comparire queste strani dati sull’ossigeno”.

Abbiamo deciso di adottare un metodo di back-up che funzionasse in modo diverso dai sensori optode che stavamo usando e quando entrambi i metodi hanno dato lo stesso risultato abbiamo capito che eravamo di fronte a qualcosa di rivoluzionario e impensabile”: la produzione di ossigeno può avvenire anche nella totale oscurità dei fondali marini.

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Ancora domande sul Deep Sea Mining: la nuova scoperta
La Zona di Clarion Clipperton (CCZ) è balzata agli onori della cronaca per la presenza di enormi giacimenti minerari sottomarini che hanno attirato l’attenzione delle compagnie estrattive (Foto: GEBCO/GEOMAR)

L’Ossigeno oscuro: andare oltre la nota fotosintesi?

Le implicazioni di questa scoperta sembrano mettere in discussione tutto quello che abbiamo sempre saputo sulla produzione d’ossigeno e sull’origine della vita sulla Terra.

Affinché la vita aerobica potesse iniziare sul pianeta”, spiega Sweetman, “doveva esserci l’ossigeno e, secondo le nostre conoscenze, l’approvvigionamento di ossigeno sulla Terra è iniziato con gli organismi fotosintetici”. “Ora però sappiamo che l’ossigeno viene prodotto nelle profondità marine, dove non c’è luce”.

Non è ancora del tutto chiaro come venga prodotto questo ossigeno oscuro. L’ipotesi degli scienziati, si legge nello studio pubblicato qualche giorno fa su “Nature Geoscience”, è che l’elettrolisi dell’acqua marina possa contribuire alla sua produzione.

Negli esperimenti, il Professor Sweetman e i suoi colleghi hanno scoperto che i noduli polimetallici della CCZ trasportano una carica elettrica molto elevata, che potrebbe portare alla scissione dell’acqua marina in idrogeno e ossigeno (un processo, spiegano gli scienziati, che richiede una tensione di soli 1,5 Volt, la stessa di una qualunque batteria AA).

Il team ha analizzato più noduli e ha registrato letture fino a 0,95 V sulla superficie di alcuni di essi, il che significa che si possono verificare tensioni significative quando i noduli sono raggruppati. Potrebbe bastare questa piccola corrente a cambiare profondamente il nostro modo di interpretare il mondo per come lo conosciamo: l’ossigeno del pianeta non viene prodotto soltanto dagli organismi fotosintetici illuminati dal sole, ma anche da quegli agglomerati di metalli preziosi che giacciono sul fondo dell’oceano e che hanno attirato le attenzioni delle compagnie estrattive.

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Ossigeno oscuro: la scoperta inattesa sul fondo del Pacifico
Un nodulo di manganese come quelli che si trovano nei fondali della CCZ: sulla loro superficie sono stati registrati fino a 0,95 volt (Foto: Koelle)

Clarion Clipperton Zone: i noduli e la biodiversità

Il legame tra questa scoperta e gli interessi dell’industria mineraria per i noduli polimetallici della CCZ non è casuale: il campionamento dei fondali della zona di Clarion-Clipperton è stato eseguito proprio per valutare i possibili impatti dell’estrazione mineraria in profondità, o Deep Sea Mining, che vorrebbe poter sfruttare quei noduli ricchissimi in metalli come Manganese, Nichel e Cobalto.

In verità, è stato proprio il crescente interesse dell’industria, in particolare dalla metà degli anni 2010, a spingere la comunità scientifica a studiare più da vicino un’area così inaccessibile e ricca di biodiversità.

Uno studio pubblicato a metà del 2023 afferma che il 90 per cento delle specie scoperte nella CCZ non sono mai state descritte in precedenza: parliamo di oltre 5.100 specie su un totale stimato di 6.000-8.000 specie, una ricchezza che potrebbe dipendere in maniera diretta dalla presenza di questi noduli metallici.

Lo stesso Professor Sweetman è stato coinvolto in passato nell’identificazione di aree marine protette intorno alla zona di Clarion Clipperton per valutare la biodiversità in alcune zone in cui dovrebbe essere evitato un potenziale sfruttamento minerario di acque profonde.

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Clarion Clipperton Zone: una scoperta sorprendente
Relicanthus, un’inedita specie di un nuovo ordine di Cnidaria, raccolta a 4.100 metri nella Clarion-Clipperton Fracture Zone, che vive su steli di spugna attaccati a noduli (Foto: Craig Smith and Diva Amon, ABYSSLINE Project/NOAA)

Noduli polimetallici, Deep Sea Mining e ossigeno

Quei noduli polimetallici, in qualche modo, producono ossigeno oscuro: la loro utilità per il genere umano potrebbe andare ben oltre la produzione di smartphone e auto elettriche. Secondo Andrew Sweetman, potrebbe essere necessario rivedere le precedenti valutazioni alla luce della nuova scoperta, poiché la produzione di ossigeno non era mai stata presa in considerazione.

Questi noduli sono davvero delle “batterie in una roccia”, come amano dire i principali investitori dell’industria estrattiva, capaci di agire come delle geobatterie naturali: quando il team scozzese ha analizzato questi agglomerati minerali, ha scoperto che sulla loro superficie c’era quasi un volt. Adesso non resta che verificare se disattivando la loro carica elettrica la produzione di ossigeno oscuro effettivamente si interromperà.

Secondo il professor Sweetman, sono necessarie ulteriori ricerche sulla produzione di ossigeno oscuro durante le indagini di base per il Deep Sea Mining, nonché una valutazione di come il soffocamento dei sedimenti durante l’estrazione possa alterare il processo.

Grazie a questa scoperta abbiamo generato molte domande senza risposta”, ha affermato lo scienziato, “e credo che abbiamo molto da pensare in termini di come estrarre questi noduli, che sono effettivamente batterie in una roccia”.

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Sul fondo dell'Oceano di produce ossigeno oscuro
Il Deep Discoverer prende un campione di roccia incrostata di manganese vicino a una stella marina a circa 2400 metri di profondità, nelle vicinanze delle Isole Cook (Foto: NOAA Office of Ocean Exploration and Research, Mountains in the Deep: Exploring the Central Pacific Basin)