Il Santuario Marino nel cuore del Pacifico minaccia la... pesca?

L’area del Monumento Nazionale del Mare delle Isole Remote del grande oceano potrebbe arrivare a coprire due milioni di chilometri

Pesca nel Pacifico: il nuovo Santuario è una vera minaccia?
La proposta dei nuovi confini del Santuario delle Isole Remote del Pacifico mostrata con le zone economiche esclusive a 200 miglia di distanza dalle altre Nazioni (Foto: NOAA)

Nel marzo del 2023, l’Amministrazione Biden ha annunciato di voler istituire un grande santuario marino nelle Isole Remote del Pacifico.

L’area protetta, che avrebbe un’estensione pari a quasi due milioni di chilometri quadrati, includerebbe il Monumento Nazionale Marino di Papahānaumokuākea, a nord-ovest delle Hawaii, ma anche le aree ancora non protette nei dintorni delle Isole Howland e Baker, dell’atollo di Palmyra e del Kingman Reef, tra le Isole Hawaii e le Samoa Americane.

Non è la prima volta che si pensa di espandere l’area del Monumento Marino Nazionale delle Isole Remote del Pacifico, e ora come allora le preoccupazioni non mancano: una delle criticità più sentite riguarda il potenziale impatto del Santuario sulle attività legate alla pesca, a cominciare dagli effetti sul conservificio di tonno di Pago Pago, nelle Samoa Americane, fonte di lavoro e reddito per buona parte della comunità locale.

Le balene ambasciatrici dell’Oceano all’ONU: la proposta dei Maori
La pesca uccide sempre più squali: l’esito dello studio shock…

Pesca di tonni e Santuari marini sono incompatibili?
Il Santuario Marino Nazionale delle Isole Remote del Pacifico verso l’estensione: un habitat straordinario nel programma 30 by 30 (Foto: NOAA)

Il Monumento Nazionale Marino delle Isole Remote del Pacifico

Il Monumento Nazionale Marino di Papahānaumokuākea è stato dichiarato monumento nazionale degli Stati Uniti il 15 giugno 2006.

Quattro anni dopo, nel 2010, l’UNESCO lo ha dichiarato Patrimonio dell’umanità, sottolineando che “l’area ha un profondo significato cosmologico e tradizionale per la cultura autoctona hawaiiana, come ambiente naturale ancestrale, come incarnazione del concetto hawaiiano di appartenenza dell’uomo al mondo naturale, e come luogo dove si crede che la vita abbia inizio e vi ritorni dopo la morte” (Papahānaumokuākea significa “luogo dove nascono le isole”).

Le acque protette di Papahānaumokuākea fanno oggi parte del Monumento Nazionale Marino delle Isole Remote del Pacifico, un’area tutelata che ospita alcune delle più straordinarie forme di vita dei mari tropicali del pianeta, minacciate dai cambiamenti climatici, dalle specie invasive e dall’inquinamento.

Il Monumento Nazionale Marino delle Isole Remote del Pacifico è un’area marina protetta tra le più vaste del mondo, ed è composto da habitat pelagici e acque profonde, con caratteristiche tipiche come lingue di terra affioranti o sommerse, estesi banchi corallini e lagune.

L’atollo di Palmyra e il Kingman Reef, per esempio, ospitano quasi 200 specie di coralli , un tasso di biodiversità superiore a qualsiasi altro atollo o isola della barriera corallina del Pacifico centrale. Tra gli habitat dell’area, inoltre, prosperano numerose specie minacciate e in pericolo di estinzione, tra cui tartarughe marine verdi (Chelonia mydas), tartarughe embricate (Eretmochelys imbricata), squali pinna bianca oceanici (Carcharhinus longimanus), stenelle (Stenella longirostris) e peponocefali (Peponocephala electra).

L’inquinamento nascosto che sta distruggendo i nostri Oceani
La Grande Barriera Corallina soffre. Il problema? Gli esseri umani…

Monumento Nazionale delle Isole Remote del Pacifico: la proposta
Monumento Nazionale Marino delle Isole Remote del Pacifico ospita alcune delle specie tropicali più straordinarie, alcune delle quali a rischio di estinzione (Foto: Courtney Couch /NOAA)

Un santuario da due milioni di km in un oceano immenso

L’area protetta istituita nel Pacifico sotto la presidenza di George Walker Bush aveva un’estensione pari a 210.000 chilometri quadrati. Fu il Presidente Barack Obama, nel 2014, a estenderla per la prima volta, portando il Monumento a un’estensione di oltre 1 milione e 200mila chilometri, sei volte la dimensione originale del Monumento. Nel settembre 2017, sotto la presidenza di Donald Trump, si era fatta avanti l’idea di ridurre l’area protetta, ma le raccomandazioni in tal senso non ebbero alcun seguito.

Al contrario, l’amministrazione Biden ha recentemente proposto di estendere ulteriormente la zona protetta gestita dalla National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA), in accordo con il programma “30 by 30”, portandola a due milioni di chilometri quadrati e rivedendo i nomi di riserve e dei monumenti naturali che entreranno a far parte del nuovo Santuario. La proposta, discussa a settembre 2023 dal comitato di controllo del Congresso americano, si trova ora nella fase di revisione pubblica: il programma prevede di elaborare i documenti finali entro l’autunno di quest’anno.

Il nuovo Santuario Marino delle Isole Remote del Pacifico, stando ai progetti in campo, includerà le aree marine del già esistente Monumento Nazionale, ma anche molte aree non protette nella Zona Economica Esclusiva degli Stati Uniti, toccando le isole Baker, Howland e Jarvis, il Kingman Reef e gli atolli di Palmyra, Johnston e Wake (senza coinvolgere le aree terrestri al di sopra della linea di alta marea media).

Innovazioni e tutela: Ocean Cleanup per mari liberi dalla plastica
Un inedito Atlante degli Habitat Marini per la tutela degli oceani

Un Santuario Marino da due milioni di chilometri nel Pacifico
I progetti di espansione del Monumento Nazionale Marino delle Isole Remote del Pacifico e i timori per la pesca nelle Samoa Americane (Foto: NOAA)

Santuario delle Isole Remote del Pacifico: i timori per la pesca

L’audizione del Comitato per le Risorse Naturali della Camera dei Rappresentanti dello scorso settembre ha sollevato diversi dubbi, soprattutto per quanto riguarda i potenziali limiti alla pesca nella regione da parte delle navi battenti bandiera statunitense. Come ha dichiarato Aumua Amata Coleman Radewagen, delegata al Congresso delle Samoa Americane, la proposta potrebbe “spazzare via l’intera ZEE (Zona Economica Esclusiva) delle Samoa”. Una prospettiva allarmante, per un Paese che dipende strettamente dalla pesca e dalla lavorazione del tonno.

Secondo chi si oppone all’estensione del Santuario, la Legge Magnuson-Stevens sulla conservazione e la gestione della pesca, con i suoi otto consigli regionali, è all’altezza del compito di conservazione, e non servono ulteriori operazioni potenzialmente destabilizzanti.

Durante l’audizione si sono espressi anche i sostenitori del nuovo Santuario, che hanno sottolineato il fatto che la legge Magnuson-Stevens del 1976 dimentica da sempre l’aspetto culturale ed ecologico del mare, con cui i pescatori nativi hanno un rapporto ancestrale.

I timori per il destino della pesca, però, si sono fatti sentire: Bill Gibbons-Fly, direttore esecutivo dell’American Tunaboat Association, ha dichiarato che i pescherecci cinesi sono pronti a lavorare appena oltre la linea di confine del futuro santuario: la pressione per i pescatori di tonno del Pacifico, insomma, non proviene solo da una normativa che va stringendo le maglie. Come ha ricordato il lobbista, la flotta di palangari delle Hawaii ha già perso il 22 per cento della sua area di pesca negli ultimi anni, con un impatto non trascurabile sul comparto locale.

Sovrapesca, nell’Atlantico si rischia il collasso di interi stock ittici
Blue Hole: il dramma della pesca selvaggia nel mare conteso

Pesca, un nuovo Santuario Marino USA distante migliaia di chilometri dagli USA
Il Porto di Pago Pago, sull’Isola di Tutuila, nelle Samoa Americane: le attività connesse alla pesca sono cruciali per il tessuto economico del territorio non incorporato Usa (Foto: Tavita Togia, National Park Service/Wikipedia)

L’impatto del Santuario sulla pesca nelle Samoa Americane

Una delle preoccupazioni per l’espansione del Santuario è il potenziale impatto sul conservificio di tonno di Pago Pago, nelle Samoa Americane, uno dei più grandi conservifici di tonno degli Stati Uniti che fornisce posti di lavoro e reddito alla comunità locale.

Una recente indagine dell’emLab dell’Università della California si pone alcune domande fondamentali in tal senso, che riguardano l’entità dello sforzo di pesca delle navi statunitensi nell’area e la provenienza dei tonni lavorati a Pago Pago.

Storicamente, si legge nell’analisi, “lo sforzo di pesca delle navi statunitensi all’interno dell’area di espansione è stato relativamente basso”: negli ultimi 5 anni, la flotta statunitense con reti a circuizione ha speso lo 0,52 per cento del proprio sforzo di pesca nel Pacifico all’interno dell’area di espansione. Un dato che per i palangari si ferma allo 0,00 per cento. La maggior parte dello sforzo di pesca statunitense con ciancioli e palamiti “avviene in alto mare (60,24 per cento) o all’interno di ZEE non statunitensi (33,54 per cento)”.

Secondo l’analisi dell’Università della California, “la maggior parte delle bordate di pesca statunitense con palangari sbarcate a Pago Pago deriva dall’area ZEE delle Samoa Americane (98,28 per cento)”. Per le bordate di Pago Pago, i pescherecci statunitensi con reti a circuizione e i palangari hanno speso all’interno della zona di espansione, rispettivamente, il 4,16 e lo 0,00 per cento del loro sforzo di pesca nel Pacifico.

Trattato ONU per gli Oceani: il Cile è il primo Paese a firmare
“Controlla il tuo pesce!”: la pesca sostenibile vista dai consumatori

Pesca nel Pacifico: il nuovo Santuario è una vera minaccia?
Specie di coralli Porites e Acropora nella barriera corallina nel Parco Nazionale delle Samoa Americane a Ofu, Gruppo delle Isole Manuʻa (Foto: Curt Storlazzi/USGS Pacific Coastal and Marine Science Center)