Quei tre obbiettivi di salvataggio di Internet da… se stessa

Quei tre obbiettivi di salvataggio di Internet da… se stessa

Esame di “pro” e “contro” delle idee di contrasto al cosiddetto “algoritmo della stupidità sociale”, mina vagante di ogni società democratica

Irrobustire le istituzioni, riformare i social media e rivedere i principi educativi: ecco tre possibili soluzioni per combattere le minacce di un Web "deviato" alle società democratiche
Irrobustire le istituzioni, riformare i social media e rivedere i principi educativi: ecco tre possibili soluzioni per combattere le minacce di un Web “deviato” alle società democratiche

“Nel XX secolo, l’America ha costruito le istituzioni produttrici di conoscenza più capaci della storia umana. Negli ultimi dieci anni, sono diventati più stupidi in massa”.
Queste parole sono riportate testualmente dall’articolo “Who the past 10 years of American Life have been uniquely stupid – It’s not just a phase” (“Perché gli ultimi 10 anni della vita americana sono stati straordinariamente stupidi – E non è solo una fase”) di Jonathan Haidt, psicologo sociale presso la Stern School of Business della New York University, uscito sulla autorevole rivista americana “The Atlantic”.
Del cosiddetto “algoritmo della stupidità sociale”, ho già scritto su Innovando.News un personale contributo.
Ma che cosa si intende per “istupidimento” e come si manifesta? Esso non riguarda singoli o particolari gruppi, bensì attiene a una stupidità generalizzata, per così dire, del sistema.
Che così, perdonate il bisticcio, dà sempre più visibilità alle stupidaggini e agli stupidi che le propinano.
Questo fenomeno purtroppo non è delimitato agli Stati Uniti, che lo hanno esportato insieme alla democrazia. Così oggi una guerra come quella scatenata dalla Russia in Ucraina è diventata una guerra di propaganda e disinformazione come mai si era visto nella storia.
Ma già era successo lo stesso con il COVID, e in precedenza con altri “argomenti del momento”.

L’algoritmo della stupidità sociale non è frutto dei Social

"L'uomo in fuga" ("The Running Man" il titolo originale) è un romanzo di fantascienza scritto da Stephen King e pubblicato con lo pseudonimo di Richard Bachman nel 1982: cinque anni più tardi, dal libro è stato liberamente tratto un film, "L'implacabile", con protagonista Arnold Schwarzenegger
“L’uomo in fuga” (“The Running Man” il titolo originale) è un romanzo di fantascienza scritto da Stephen King e pubblicato con lo pseudonimo di Richard Bachman nel 1982: cinque anni più tardi, dal libro è stato liberamente tratto un film, “L’implacabile”, con protagonista Arnold Schwarzenegger

I troppi limiti dei sistemi di fact checking

I tentativi di creare un sistema di fact checking delle notizie false sui Social Media (ad esempio su Facebook) stenta a decollare per diversi motivi, primo fra i quali l’incapacità di creare un’intelligenza artificiale realmente semantica, ovvero in grado di capire contesto e significato di un discorso.
Il tentativo di limitare i post aggressivi o violenti sta fallendo miseramente, sempre grazie alla stessa incapacità delle attuali AI, causando allo stesso tempo delle situazioni paradossali che ho vissuto sulla mia pelle, trovandomi l’account bloccato per tre giorni (e limitato per un mese) per avere commentato scherzosamente “ti strangolerei” sotto il post di un amico.
In compenso i video dove si vedono animali che combattono fra di loro oppure uccisi brutalmente non vengono cancellati perché “non violano le regole”.
In pratica il sistema ci sta spingendo, in questo modo, verso una idiocrazia, la morte perfetta di ogni democrazia.
E la situazione non migliorerà se non vengono presi provvedimenti, anzi è certo che peggiorerà in modo esponenziale (letteralmente), perché le stesse intelligenze artificiali come GPT-3 sono già in grado di produrre milioni di contenuti di disinformazione perfettamente credibili, scritti con un lessico elegante e dotati di coerenza interna.

Realtà Virtuale e Metaverso in due scuole del ciclo Inspired

Un bot automatico costruito secondo i paradigmi dell'intelligenza artificiale di tipo GPT-3
Un bot automatico costruito secondo i paradigmi dell’intelligenza artificiale di tipo GPT-3

Verso fake news a gogò per colpa di GPT-4?

Con la prossima versione GPT-4 (si tratta di intelligenze artificiali soltanto apparentemente capaci di discernimento semantico, ma in realtà “non sanno quello che scrivono”) la potenza di fuoco aumenterà ulteriormente.
Se a questo aggiungiamo i deep fake, ovvero i video dove vengono ricostruiti al computer personaggi famosi che compiono atti o dichiarazioni improbabili, capiamo bene che il livello della “guerra di disinformazione” potrebbe arrivare a livelli mai visti prima (qualcuno di voi ha visto “The Running Man”, film del 1987 con Arnold Schwarzenegger?), fino a mettere in serio pericolo la stessa sopravvivenza di società e istituzioni politiche.
È quello che Steve Bannon, ex consigliere di Donald Trump, definisce “Inondare di merda la Rete, una tattica che si è più volte dimostrata più che efficace. Le prossime battaglie si combatteranno a colpi di sciocchezze credibili.
Appurato che a questo punto non è più possibile tornare indietro, ovvero alla situazione precedente l’avvento dei Social Media, quali strategie potremmo mettere in atto per correre ai ripari?

Della genesi del “metashopper”, il consumatore del futuro…

Nella King's InterHigh, totalmente online, e nella Saint Louis School di Milano gli studenti sperimenteranno il frutto della trasformazione digitale: entrambe gli istituti, appartenenti al gigante britannico della formazione Inspired Education Group, le lezioni faranno ricorso al Metaverso e alla Realtà Virtuale
Nella King’s InterHigh, totalmente online, e nella Saint Louis School di Milano gli studenti sperimenteranno il frutto della trasformazione digitale: entrambe gli istituti, appartenenti al gigante britannico della formazione Inspired Education Group, le lezioni faranno ricorso al Metaverso e alla Realtà Virtuale

Nel mirino istituzioni, Social e formazione

Il menzionato articolo di Jonathan Haidt individua principalmente tre contromisure al problema: irrobustire le istituzioni, riformare i Social Media, ripensare i principi educativi.

a) Web: irrobustire le istituzioni

La tendenza verso la polarizzazione delle posizioni è un dato di fatto. Quindi vanno riformate le istituzioni chiave in modo che possano funzionare anche in mezzo alla “tempesta”.
Riducendo l’influenza degli posizioni estreme ed emotive sui legislatori, in modo che possano fare il loro lavoro senza esserne ricattati in alcun modo. La parola ai costituzionalisti e ai legislatori.

b) Web: riformare i Social Media

L’obbiettivo in questo caso dovrebbe essere quello di limitare le frange più aggressive e dare allo stesso tempo più voce alla “maggioranza esausta”, quella che adesso si sta arrendendo.
Una possibile soluzione contro gli eccessi di “viralità” dei post potrebbe essere il rallentamento della condivisione. Dopo tre livelli di condivisione dello stesso post, ad esempio, costringere chi vuole ulteriormente condividerlo a copiarlo e incollarlo in un post nuovo, riducendo così la troppa semplicità del cliccare su un pulsante senza pensarci troppo.
Già l’atto di copiare e incollare implica una maggiore convinzione nell’amplificare una specifica tesi; e magari può indurre un inizio di rielaborazione, di riflessione su quanto stiamo ripubblicando.
Altra possibile soluzione, ma allo stesso tempo un problema sensibile, è la verifica dell’utente: se esiste come persona, se utilizza il suo vero nome, quale sia la sua vera età.

C’è una Internet innovativa per gli enti di ricerca svizzeri

Si tratta di un problema sensibile perché tocca i diritti e la libertà di espressione di chi vive ad esempio in Paesi non democratici. In diversi casi nascondersi dietro un nickname diventa una questione di sopravvivenza; ma molto più spesso diventa un modo per permettersi di insultare e aggredire impunemente il prossimo.
D’altronde, come una banca ha il diritto e il dovere di conoscere il proprio cliente, anche un Social Media dovrebbe avere la stessa impostazione, visto che oggi le informazioni non valgono meno dei soldi; quindi perlomeno la società tecnologica dovrebbe sapere chi è in effetti a scrivere, come condizione basilare per poter ottenere la visibilità offerta dagli algoritmi.
Ultima proposta ma non meno importante, costringere le società che sviluppano i Social Media a condividere i loro dati e i loro algoritmi con il mondo accademico.
Esistono modi per farlo senza danneggiare i loro interessi o rivelarne i segreti industriali.

c) Web: rivedere i principi educativi

La terza soluzione proposta è sostanzialmente la più importante, ma anche la più difficile da mettere in pratica.
Le ultime generazioni sono sempre più “digitalizzate” ma non in quanto “nativi digitali”, quanto in realtà “passivi digitali”.
I “veri” nativi digitali sono coloro che hanno utilizzato i primi personal computer, scrivendo i primi listati di codice copiati da una rivista di settore, che hanno vissuto tutto il faticoso ma rapido passaggio dall’analogico al digitale: insomma, i geek della mia generazione, noi che ora veniamo definiti “boomer” da chi magari non conosce neppure la differenza fra una applicazione e un sistema operativo.
Chi invece è nato con lo smartphone in mano, a meno di non essere circondato da adulti particolarmente illuminati, lo utilizza senza alcun criterio, spesso non ha neppure una vaga idea di come funzioni, del lavoro che ci sta dietro e dei rischi insiti in un suo uso indiscriminato.

Il videoallarme di un adolescente contro l’abuso di Internet

La cosiddetta "Generazione Z" è formata, per così dire, da "passivi digitali" anziché da "nativi digitali"
La cosiddetta “Generazione Z” è formata, per così dire, da “passivi digitali” anziché da “nativi digitali”

“Z”, la generazione dei “passivi digitali”

La “Generazione Z” (dal 1997 in poi), colpita in pieno anche dalla pandemia, è la prima ad avere passato più tempo online che a giocare in giardino, salvo eccezioni.
Quindi tutta una seria di dinamiche sociali che venivano imparate dalle generazioni precedenti attraverso il “gioco libero” ora o non vengono imparate del tutto, o vengono mediate dai videogame e dai luoghi di ritrovo sulla Rete, che hanno un funzionamento diverso.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti, ma soprattutto di noi docenti: classi con un numero sempre maggiore di alunni incapaci di concentrazione, di auto-controllo; menti iper-stimolate che fanno fatica a seguire la trama di un film o di un libro senza lasciarsi distrarre continuamente dagli stimoli esterni.
Con un aumento dei casi di ansia, depressione e autolesionismo iniziato nei primi anni 2010 contemporaneamente fra gli adolescenti americani, canadesi e britannici.
Forse da noi in Europa l’effetto è arrivato con qualche anno di ritardo, ma ora siamo investiti dalla stessa ondata, rinforzata dagli ultimi due anni di pandemia (e “No”, non è affatto a causa della DAD o Didattica a Distanza, che anzi in molti casi ha smussato gli angoli).
Contemporaneamente, nelle università è aumentato il rifiuto del confronto con idee diverse dalle proprie, quindi sempre più spesso gli studenti cercano di impedire l’accesso ai relatori che secondo loro non seguono il giusto pensiero. L’ansia scoraggia il confronto e incoraggia la chiusura in ben delimitate tribù.

Fotogallery, le vignette che esorcizzano le paure della rete

“Gek” è l’alter ego di Filippo Forte, il diciannovenne studente liceale barese autore di un cartone animato sull’alienazione da Internet
“Gek” è l’alter ego di Filippo Forte, il diciannovenne studente liceale barese autore di un cartone animato sull’alienazione da Internet

Innalzare l’età di accesso al Web non si può

Il Dottor Haidt suggerisce di innalzare l’età di accesso ad Internet, ma francamente mi pare una soluzione improponibile.
I ragazzi e le ragazze troveranno sempre il modo di accedere, anzi si rischia di rendere Internet sempre più simile a un frutto proibito e quindi più attraente per loro.
Piuttosto è consigliabile limitare il tempo di navigazione e di utilizzo dei mezzi digitali, spiegandone loro il motivo, e usando i sistemi di controllo parentale messi a disposizione dai sistemi operativi.
Questo ovviamente implica una maggiore consapevolezza nell’utilizzo del mezzo digitale da parte degli adulti, che come ho già scritto altrove è a sua volta un problema non ancora risolto.
Altro suggerimento dato dal Jonathan Haidt è quello di lasciare maggiore libertà di interazione ai ragazzi, di diminuire la supervisione assillante degli adulti.
Ma questo è più un problema americano: in Europa nessuno rischia di vedersi portare via i figli dai servizi sociali perché a 8-9 anni vanno da soli a giocare al parco pubblico e i genitori vengono conseguentemente accusati di “mancata sorveglianza”.
Molti dei nostri ragazzi, fortunatamente, vanno a scuola a piedi, a meno che i loro genitori non posseggano un SUV.

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Il Web 3.0 e il Metaverso rappresenteranno davvero il futuro dell'uomo tecnologico e l'avvenire di Internet
Il Web 3.0 e il Metaverso rappresenteranno davvero il futuro dell’uomo tecnologico e l’avvenire di Internet

Bonus: perché occorre una soluzione Down-Up

Una rete Internet dominata da poche, enormi aziende tecnologiche è ovviamente facile preda di fenomeni come quelli descritti in questo articolo.
A meno che non si torni lentamente a una Rete diversa, più democratica, più localizzata e allo stesso tempo più diffusa.
La rivoluzione potrebbe partire dal basso: una Internet meno centralizzata, una Internet più peer-to-peer è possibile.
A livello accademico si va proprio in quella direzione con lo studio dei protocolli per il Web 3.0, di cui scriverò più approfonditamente presto, naturalmente su Innovando.News.
Una soluzione down-up, ovvero dal basso verso l’alto, implica però una rivoluzione culturale che per adesso sembra lontana.
Occorre puntare tutto sulle nuove generazioni ma attraverso la scuola e le famiglie, non trattando il mondo digitale come un serpente velenoso ma insegnando loro come muovercisi senza rischi e non più come semplici utenti, ma come creatori di contenuti e di nuove opportunità.

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