Rischio chimico: conoscerlo, prevenirlo e curarlo...
Sostanze e composti sul luogo di lavoro: la normativa vigente e le buone pratiche da adottare, a partire dalla scelta degli “ingredienti”
Con l’espressione rischio chimico ci si riferisce alla possibilità che alcune sostanze chimiche presenti sul luogo di lavoro possano provocare incidenti o danni relativi alla salute dei lavoratori che vi sono esposti.
La sua definizione si trova nel Testo Unico sulla Salute e Sicurezza sul Lavoro (Decreto Legislativo 81/2008), che stabilisce anche gli obblighi del datore di lavoro e le misure di prevenzione e di protezione da adottare in presenza di agenti chimici. a cominciare da una adeguata valutazione preliminare dei rischi.
Quando nell’ambiente di lavoro sono presenti agenti chimici pericolosi il datore di lavoro è tenuto a fare la valutazione del rischio chimico, deve cioè determinare il grado di esposizione dei lavoratori a tali sostanze e di stabilire le misure preventive o correttive da mettere in atto. Tutto inizia dalla prevenzione, e cioè dall’analisi dettagliata dei singoli pericoli presenti sul luogo di lavoro.
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Cos’è il rischio chimico sul lavoro, per i lavoratori e sul posto di lavoro
La definizione di rischio chimico si trova all’Articolo 221 del Decreto Legislativo 81/08, che definisce il campo di applicazione della normativa in materia di protezione da agenti chimici. I rischi chimici sono definiti come
“i rischi per la salute e la sicurezza che derivano, o possono derivare, dagli effetti di agenti chimici presenti sul luogo di lavoro o come risultato di ogni attività lavorativa che comporti la presenza di agenti chimici”
Il rischio chimico riguarda anche la possibilità di arrecare danni all’ambiente, per esempio in seguito a incendi o sversamenti di materiale, ma quest’aspetto non viene trattato nel Testo Unico, che riguarda esclusivamente il rischio chimico nell’ambiente di lavoro.
Limitandosi a quello che riguarda la tutela dei lavoratori esposti ad agenti chimici, si possono distinguere due tipologie di rischio chimico:
- rischi per la salute: cioè la possibilità si sviluppare malattie professionali in seguito all’esposizione ad agenti chimici cancerogeni o che possono risultare tossici, corrosivi, irritanti, sensibilizzanti o tossici per il ciclo riproduttivo;
- rischi per la sicurezza: ovvero infortuni derivanti da incendi o esplosioni di materiali pericolosi, quali sostanze e miscele infiammabili, esplosivi e comburenti.
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Rischio chimico, la normativa vigente italiana e dell’Unione Europea
Oltre al Decreto Legislativo 81/2008, concorrono alla definizione e la gestione del rischio chimico sui luoghi di lavoro due diversi regolamenti comunitari, il Regolamento REACH (Registration, Evaluation, Authorization of CHemicals) e il Regolamento CLP (Classification Labelling Packaging), che trattano rispettivamente le regole di produzione e di etichettatura delle sostanze chimiche.
Nello specifico, il Regolamento (CE) 1907/2006, o REACH, determina l’obbligo di registrazione delle sostanze chimiche commercializzate in Europa presso l’Agenzia Europea delle Sostanze Chimiche. Tali sostanze, secondo la normativa vigente, devono essere accompagnate da tutte le informazioni che permettono di usare il prodotto senza incorrere in rischi per la salute e la sicurezza.
A questo punto interviene il Regolamento CLP, che fornisce le indicazioni comunitarie per la classificazione, l’etichettatura e l’imballaggio delle sostanze chimiche potenzialmente pericolose e definisce le sigle e i pittogrammi da riportare sulle etichette dei prodotti chimici.
La normativa comunitaria e nazionale integra in tal senso quanto riportato dal GHS, il Sistema di classificazione ed etichettatura degli agenti chimici approvato alla Conferenza dell’ONU di Rio De Janeiro del 1992, che per la prima volta ha armonizzato in un unico codice internazionale i diversi sistemi di classificazione nazionali.
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La valutazione del rischio chimico per fugare i pericoli latenti e cogenti
La valutazione del rischio da esposizione ad agenti chimici pericolosi negli ambienti di lavoro spetta al datore di lavoro, che è tenuto ad aggiornare periodicamente tale valutazione e a modificarla nel caso di cambiamenti rilevanti o “quando i risultati della sorveglianza medica ne mostrino la necessità”.
Come previsto dall’Articolo 223 del Decreto Legislativo 81/08, nella valutazione del rischio chimico il datore di lavoro deve tenere in considerazione:
- le proprietà pericolose dei singoli agenti chimici, che devono essere comunicate dal produttore tramite la relativa scheda di sicurezza e idonea documentazione;
- il livello, il modo e la durata dell’esposizione, per cui vanno analizzate in primo luogo le principali vie di introduzione degli agenti chimici nel corpo umano, cioè quella per inalazione e quella per assorbimento cutaneo;
- i valori limite di esposizione professionale (VLEP) o i valori limite biologici relativi alle singole sostanze, che indicano il limite di concentrazione media di agenti chimici, cancerogeni e mutageni nell’aria rilevabili nella zona di respirazione di un lavoratore in un certo periodo di tempo;
- gli effetti delle misure preventive e protettive adottate ed eventuali conclusioni utili tratte dalle attività di sorveglianza sanitaria già avviate nell’azienda.
La corretta gestione del rischio chimico dipende essenzialmente dalla valutazione preliminare, che include sempre la descrizione dettagliata delle misure preventive e di protezione adottate: lo scopo non è quello di saper gestire un’emergenza in maniera efficiente, ma quello di limitare o eliminare le possibilità di incidenti e danni alla salute dei lavoratori.
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La gestione del rischio chimico: le misure di prevenzione e protezione
La gestione del rischio chimico si gioca soprattutto sul terreno della prevenzione: quando un datore di lavoro si trova a verificare il rispetto dei valori limite VLEP, significa che la valutazione preliminare del rischio ha registrato la possibilità di pericoli per la salute dei lavoratori.
Se il rischio è irrilevante, si legge nel Manuale Operativo dell’INAIL, vanno applicate le misure generali di prevenzione elencate all’Articolo 224 del Testo Unico, e cioè:
- organizzazione dei sistemi di lavorazione sul luogo di lavoro;
- fornitura di attrezzature idonee;
- riduzione al minimo del numero di lavoratori esposti al rischio;
- riduzione al minimo della durata e dell’intensità dell’esposizione;
- riduzione al minimo della quantità di agenti pericolosi presenti sul luogo di lavoro;
- adozione di misure igieniche adeguate e metodi di lavoro appropriati.
In tutti gli altri casi vanno individuate delle misure specifiche di prevenzione e protezione dei lavoratori che includono le misure di protezione individuali e in alcuni casi la sorveglianza sanitaria dei lavoratori.
Esistono poi delle misure correttive, che devono essere tempestivamente adottate nel caso in cui si superino i valori limite di soglia, tra i quali la sostituzione dei prodotti usati nel processo lavorativo, la predisposizione di misure per la gestione delle emergenze e un’adeguata formazione degli operatori.
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“Curare” il rischio chimico: la sostituzione delle sostanze pericolose
Evitare l’uso di sostanze pericolose è chiaramente la via più efficace per evitare rischi chimici: la sostituzione degli agenti chimici nocivi per la salute dei lavoratori con altri meno pericolosi è una misura di prevenzione spesso risolutiva, ed è per questo indicata come prioritaria sia dalla normativa italiana sia dai regolamenti comunitari.
La stessa Agenzia Europea per le Sostanze Chimiche mette a disposizione un intero portale dedicato alla sostituzione delle sostanze pericolose con composti più sicuri, ed esistono diversi database europei dedicati a esaminare i possibili candidati a sostituire cloroalcani, parabeni e altri agenti chimici potenzialmente dannosi.
Una ricerca di Elisabetta Barbassa e Maria Rosaria Fizzano presentata al convegno REACH del 2016 cita il caso esemplare della sostituzione degli ftalati, usati soprattutto nella produzione di oggetti in PVC, tra cui giocattoli per bambini e dispositivi medici.
Cercando tra i diversi database pubblici online, è possibile ottenere in pochi istanti almeno 20 possibili sostituti del bis (2–etilesil)ftalato, tra cui oli vegetali e il triacetato di glicerile, un liquido incolore molto usato nell’industria alimentare.
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Come sottolinea lo studio dell’INAIL è ancora complicato verificare la compatibilità delle proposte comunitarie con la realtà produttiva delle PMI italiane, ma l’eliminazione delle sostanze pericolose dai processi di produzione resta la soluzione più efficace per l’eliminazione del rischio chimico, dentro e fuori il luogo di lavoro.
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