Brand risk, trasparenza prima di tutto: come evitare gli effetti collaterali del branding

L’Italia vanta un primato importante nella lotta al brand risk, ma per sapere contro cosa stiamo combattendo dobbiamo prima analizzare la situazione generale

Secondo le ultime statistiche riportate dal Media Quality Report di Integral Ad Science (IAS) la pubblicità digitale presenterebbe un livello di brand risk sempre più basso negli ultimi anni. Percentuali che si abbassano in tutto il mondo e in particolare in Italia, che per una volta si guadagna il primato indiscusso in un ambito relativamente prestigioso.

Il Media Quality Report prende in analisi miliardi di impression pubblicitarie (alcune vere, altre di bot) per analizzarne la qualità che la trasparenza sulle performance, e considera un periodo di annunci pubblicitari apparsi nel primo semestre del 2022.

Cos’è i brand risk?

Il rischio del marchio riguarda tutte quelle pagine che sono o possono essere identificate con vari livelli di rischio per l’immagine stessa del brand o per la sua reputation. In altre parole, tutte pagine possono presentare un certo livello di “pericolo” per il brand che può essere gestito attraverso operazioni di derisking come quelle di cui abbiamo parlato la scorsa settimana.

La brand safety in alter parole prevede tutte quelle buone pratiche di pianificazione ed esecuzione di una campagna pubblicitaria che permettono alle tecnologie di allocare correttamente le unità pubblicitarie di un marchio. Il punto sta tutto nell’evitare che le proprie pubblicità vengano accostante a fake news, contenuti violenti o di natura razzista, sessista o più in generale inopportune.

Compreresti il dentifricio apparso accanto all’articolo di un giornale online che parla di un maxi sequestro di dentifrici contaminati?

Acquisteresti quello che ti vende un sito dove stai leggendo una notizia poco accreditata che qualche strano personaggio su Facebook ti ha consigliato?

L’accostamento tra il messaggio promosso e il contesto nel quale il contenuto pubblicitario fa una bella differenza, e può creare un effetto – dal comico all’estraniante – sul consumatore che si trova a vedere dei prodotti pubblicizzati in maniera davvero infelice, nel peggior accostamento possibile.

Cosa dice il report?

Rispetto al 2021, il brand risk della pubblicità online è diminuito nella prima metà del 2022 e, a livello mondiale, è al di sotto del 2,5%. In altre parole, la maggior parte degli annunci che portano a siti pericolosi o potenzialmente non sicuri per il brand sono molto basse.

A dare prova di sicurezza sono in particolare gli annunci display e video in ambiente desktop, i quali si sarebbero dimostrati più sicuri con un tasso dell’1,6% a livello globale. Le campagne su mobile presentano un brand risk del 2,4%. Le percentuali scendono a 0,5% e 1,3% se si parla in generale degli annunci in Italia.

Contextual targeting per ridurre il brand risk

Non solo: il report rileva anche che nonostante l’impatto delle notizie globali, i tassi di rischio per il brand sono rimasti su una traiettoria discendente, mentre l’adozione di strategie basate sul contesto continua a crescere.

I dati del MQR danno prova che la diffusione del contextual targeting (ovvero la pratica di distribuire le ads sulla base dei contenuti del sito che le ospiterà) in sostituzione del behavioral targeting ha reso quasi obsoleto il keyword blocking. Il calo, spiega il report, sarebbe inoltre giustificato dall’uso di tecnologie di brand safety in pre-bid, le quali filtrano le impression non sicure prima che venga fatta l’offerta (bid).