Gino Gerosa: “In due anni il prototipo del cuore artificiale su misura"
A tu per tu con il cardiochirurgo dell’Università di Padova che gestirà medici, ingegneri, biologi, esperti dei materiali e un budget di 50 milioni
Il problema è noto, ma non per questo meno meritevole di rapida, definitiva e puntale soluzione. Anzi.
Ci sono sempre meno cuori da trapiantare: devono essere infatti perfetti, senza alterazioni strutturali, e non sempre nella realtà è così.
Soltanto in Italia sono in lista d’attesa circa 750 pazienti, il 30 per cento dei quali rischia di morire prima di arrivare al trapianto.
La questione sta particolarmente a… cuore, è il caso di dirlo, a un cardiochirurgo su tutti, un vero e proprio luminare della materia: si tratta di Gino Gerosa, Professore Ordinario di Cardiochirurgia all’Università degli Studi di Padova, Direttore Scientifico del Consorzio per la Ricerca Sanitaria della Regione Veneto e, nel novembre 2018, eletto anche Presidente della Società Italiana di Cardiochirurgia.
Nato a Rovereto in provincia di Trento il 27 ottobre 1957 e già allievo della Scuola militare Nunziatella di Napoli, si è laureato in Medicina e Chirurgia presso l’Università degli Studi di Verona, per poi specializzarsi in Cardiochirurgia e lavorare a Londra per due anni sotto la guida del cattedratico britannico Donald Ross.
Per contrastare l’incresciosa situazione della penuria di organi cardiaci, Gino Gerosa ha realizzato, per la prima volta in Italia, il trapianto di un cuore fermo da 20 minuti. Nel caso in esame, l’équipe patavina da lui diretta aveva fatto ricorso a un donatore che era già in morte cardiocircolatoria e per il quale non è stato necessario fermare il cuore ma, al contrario, farlo ripartire. Una volta che è tornato a battere, è stata seguita la consueta procedura di trapianto.
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Nel 2007 il medico di origine trentina aveva eseguito anche il primo impianto totale in Italia di un cuore artificiale, indicato come Total Artificial Heart, in sigla TAH.
Il dispositivo, denominato “CardioWest 70cc”, consisteva di due camere di poliuretano, ciascuna delle quali divisa in due da un setto elastico che, grazie a un sistema pneumatico, pompava il sangue nelle arterie al posto dei ventricoli nativi del paziente, malfunzionanti. Anche per il forte impatto emotivo, l’intervento fu ripreso dalla stampa e dalle televisioni nazionali con grande e giustificata enfasi.
Il 12 settembre 2011 il team di Gino Gerosa ha praticato la rimozione del cuore artificiale “Cardiowest”, dopo 1300 giorni dall’applicazione dell’impianto, per sostituirlo con un vero cuore umano, proveniente da un donatore.
Nel 2015 a Padova è stato realizzato anche, per la prima volta al mondo, un intervento microinvasivo di bioprotesi valvolare aortica e riparazione della valvola mitralica a cuore battente. L’operazione chirurgica, eseguita entrando dalla punta del cuore, ha consentito il completo recupero del malato e la risoluzione totale dei suoi problemi cardiovascolari.
In questo contesto e sulla base di queste straordinarie competenze ed esperienze maturate nel corso dei decenni, è partito il progetto di realizzare un nuovo cuore artificiale italiano, affidato sempre al team di Gino Gerosa, il quale è intervistato dalla redazione di Innovando.News unitamente a quella italiana di Biomednews.it.
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Professore, ci conferma che entro due anni sarà pronto il prototipo del primo cuore artificiale italiano?
“Lo confermo, sì. Lo studio costerà 50 milioni di euro e durerà cinque anni, ma tra due avremo il prototipo. Per realizzarlo sarà necessario il contributo di medici, ingegneri, biologi ed esperti di materiale biocompatibile. Abbiamo trovato solide basi finanziarie per dare corpo al progetto e dovremmo essere ad un punto di svolta. I primi due anni serviranno per riuscire a produrre il prototipo con il quale, poi, procederemo con i test da banco e, se questi saranno soddisfacenti, alla sperimentazione preclinica”.
In cosa si differenzia dagli altri cuori artificiali già utilizzati?
“Abbiamo cercato di dare una risposta a tre quesiti: ottimizzare la biocompatibilità del sistema per garantire la miglior qualità di vita per il paziente, ridurre le dimensioni per poter garantire il suo impiego in tutti i pazienti, indipendentemente dal genere e dalla taglia corporea, e intenderlo non più come ponte al trapianto, ma come sostituzione definitiva dell’organo cuore. Quindi come alternativa al trapianto di cuore, in modo tale da avere un cuore artificiale totale a disposizione. Il paziente che si presenta con una necessità terapeutica di quel tipo non dovrà attendere un potenziale donatore, ma si potrà avere a disposizione la soluzione immediatamente sullo scaffale della sala operatoria”.
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È possibile fare una stima di quanti dispositivi potrebbero servire ogni anno, una volta che il cuore sarà industrializzato?
“In Italia, ci sono circa 750-800 pazienti in lista d’attesa per trapianto di cuore e a questi diamo una risposta all’incirca nel 35 per cento dei casi. Una volta industrializzato, il nuovo cuore artificiale potrà dare una risposta al 60 per cento. Va tenuto conto, però, che per essere messi in lista d’attesa per il trapianto non bisogna avere controindicazioni che, molto probabilmente, non varrebbero per un cuore artificiale totale”.
Si tratta di un dispositivo personalizzato, “su misura”, o si prevede invece una standardizzazione?
“È personalizzato, nel senso che è un dispositivo che dovrebbe prevedere il fatto che la superficie interna dei ventricoli artificiali venga ripopolata dalle cellule endoteliali del potenziale ricevente. In questo caso sarebbe, di fatto, una personalizzazione. Dal punto di vista, invece, del comparto meccanico-elettrico è standardizzato”.
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Dal punto di vista produttivo, dove sarà realizzato?
“Questi sono step successivi che inizieremo a prendere in considerazione quando i primi device saranno testati nel modello preclinico animale e avremo più chiare le idee sulla fattibilità industriale del progetto stesso”.
Da quanti anni sta lavorando al progetto? Quali sono gli ostacoli ancora da superare per realizzarlo?
“Sono almeno dieci anni che stiamo pensando al cuore artificiale totale. Il più grosso handicap, precedentemente, era la mancanza di risorse finanziarie stabili. Oggi che abbiamo queste risorse finanziarie, e possiamo sviluppare il progetto, ci siamo dati una tempistica di due anni per produrre il prototipo. Al momento non ci sono ostacoli, il risultato dipende esclusivamente dalla nostra capacità di saper correre per dare corpo alle nostre idee”.
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Dieci anni per trovare risorse finanziarie stabili ci portano ad una semplice domanda: era necessario tutto quel tempo?
Con risposte più tempestive oggi potremmo già avere i primi cuori artificiali impiantati.
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