La Bossa Nova come l’AI esito di un ingegno antico e diffuso

La Bossa Nova come l’AI esito di un ingegno antico e diffuso

Proprio come la musica tropicalista, l’Intelligenza Artificiale non si trova in confezione o in purezza, né alcuno può dire di esserne l’autore

Vari interpreti della Samba da Roda in un'affollata città del Brasile
Vari interpreti della Samba da Roda in un’affollata città del Brasile

In una data imprecisata dei primi Anni 60, Carlos Coqueijo Costa regala al grande poeta e intellettuale Vinícius de Moraes “Sambas de Roda e Candomblés da Bahia”, un disco appena uscito, antico e innovativo allo stesso momento.
Coqueijo è di Salvador de Bahia, mentre de Moraes è nato a Rio de Janeiro undici anni prima di lui. Le due città distano 1.200 chilometri e rappresentano due culture diverse che Carlos Heitor Cony, romanziere carioca, pare riassumesse dicendo che “Bahia è poesia, Rio è bellezza”.
I due vengono da ottime famiglie e, contrariamente ad ogni previsione, le loro vite si sono svolte in maniera contrapposta: Carlos è nato da madre musicista e padre medico, ma sarà ricordato soprattutto come giurista, diventando persino ministro; Vinícius è un viveur come pochi, toccato dal genio della parola, formidabile poeta e creatore di musica, capace di qualsiasi cosa, anche di diventare ambasciatore del Brasile, governativo e fuggiasco insieme.
Quando ascolta quella musica bahiana, “VdM” è già un uomo di grande successo sia in patria che all’estero: nel 1958 è stato pubblicato “Canção do amor demais”, disco nel quale Elizete Cardoso interpreta canzoni di cui lui è autore dei testi e Antonio Carlos Jobim della musica, battesimo più che nascita della “Bossa Nova”, un genere musicale che segnerà la seconda parte del secolo, influenzando in maniera perenne lo sviluppo del jazz e dell’arte.
“Sambas de Roda e Candomblés da Bahia” è tutt’altro, distante dalla “Bossa” quanto Salvador da Rio: una raccolta di brani religiosi, di una religiosità particolarissima legata all’origine africana di molti abitanti del Bahia.

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Antônio Carlos Jobim e Vinícius de Moraes al pianoforte nel Brasile degli Anni 70
Antônio Carlos Jobim e Vinícius de Moraes al pianoforte nel Brasile degli Anni 70

Fra il cristianesimo portoghese e l’animismo degli schiavi africani

Sono canti che celebrano le divinità animistiche di un credo particolare sospeso tra cristianesimo della cultura portoghese e fede degli schiavi neri. “VdM” percepisce istantaneamente la profondità e il fascino di quel disco e lo fa ascoltare a Baden Powell de Aquino, un brillante chitarrista che subito, insieme a de Moraes stesso, concepisce “Os Afro-sambas” un’opera che cambierà ancora una volta e per sempre la musica brasiliana.
Forse un giorno potremo scrivere la storia dell’Intelligenza Artificiale allo stesso modo e così, come per “Sambas de Roda e Candomblés da Bahia” dimenticarci persino chi fossero gli interpreti di quei brani (un grande lottatore di capoeira e una schiava nata nel Benin), confusi nell’origine popolare di quella musica. Sebbene per l’IA non manchino riferimenti e autori ben precisi, è proprio una delle sue caratteristiche non avere eroi, non averne creati, non averne bisogno.
Ad oggi, l’Intelligenza Artificiale non è riconoscibile in ben precisi prodotti che si possano comprare via e-commerce e scaricare in pochi secondi. Esattamente come la “Bossa Nova” o la musica tropicalista non la si trova in confezione o in purezza, né alcuno può dire di esserne l’inventore e nemmeno il primo autore.
Questa mancanza di padri e dati anagrafici precisi non dipende nemmeno dall’essere una metodologia anziché una tecnologia poiché ve ne sono i cui fondatori sono precisamente noti e questi l’hanno definita con precisione in libri e articoli, basta pensare ai tanti modelli di conduzione dei progetti di ricerca e sviluppo che si sono succeduti negli ultimi sessant’anni.

Un forum di qualità per intelligenza artificiale e imprese

Un cartellone celebrativo del secolo dalla nascita di Alan Turing a Berlino nel 2012
Un cartellone celebrativo del secolo dalla nascita di Alan Turing a Berlino nel 2012

Da Alan Turing a noi, un percorso carsico, cangiante e tortuoso

L’IA non ha un’origine popolare, almeno non nel senso più comune di questo aggettivo, ma è un lungo percorso intellettuale che emerge dal suo stato carsico con i lavori di Alan Turing e poi, con cambi di direzione, anse e rapide arriva al giorno d’oggi, tanto differente da com’era partita decine di anni prima. Come quella dell’acqua sotterranea, l’origine dell’IA è molto antica ed ha a che fare con il concetto di macchina ben più che con quello di intelligenza, giacché l’idea di automatizzare viene da un tempo in cui l’intelligenza era concepita come caratteristica esclusivamente umana e, dunque, nemmeno si pensava di renderla propria di un qualche oggetto.
La riproduzione con altri mezzi dell’intelligenza della specie umana corrisponde oggi ad una parte degli studi descrivibili come “intelligenza artificiale”, mentre la parte più facilmente applicabile in ambito economico è quella legata all’abilità delle macchine di compiere analisi matematiche che non sono alla portata della nostra mente. Accade così quel che è accaduto in passato: trovata una tecnologia, la adoperiamo per le sue caratteristiche non umane. Se ci pensate, è quel che è avvenuto con ogni strumento primordiale: col sasso si poteva colpire ciò che era troppo distante per il braccio, con la leva sollevare ciò che era troppo pesante per la forza umana, con un mulino macinare granaglie ben oltre la soglia della fatica di un mulo e della pazienza della nostra specie.

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Un'illustrazione che rappresenta il concetto di Intelligenza Artificiale
Un’illustrazione che rappresenta il concetto di Intelligenza Artificiale

Una relazione fra dati semplicemente fuori portata per il cervello

Oggi l’AI è, nei suoi usi più comuni e diffusi, esattamente la possibilità di costruire relazioni tra dati semplicemente fuori dalla portata del nostro cerebro.
C’è “intelligenza” in questo? No, esattamente come non l’avevano il sasso, la leva, il mulino. Quel che ci appare è però diverso da un tempo: quei primi attrezzi realizzavano meglio azioni che noi stessi potevamo compiere, l’AI invece ci stupisce perché ci dà risposte che la nostra mente non è in grado di formulare, soprattutto in termini di precisione e tempo di esecuzione del calcolo.
Vediamo oggetti inanimati compiere azioni che per secoli abbiamo associato all’intelligenza. Come dubitare che un campione di scacchi sia tale in virtù di una sua particolare intelligenza? Ora però è sufficiente il nostro smartphone per dare scacco matto senza fatica alla stragrande maggioranza dei giocatori del pianeta ed è questo a confonderci, a farci chiamare “intelligenza” ciò che non lo è e, per conseguenza, a farcela temere.
E se temiamo quell’apparenza, come non temere ancor più quel potere inanimato e numerico, che sembra estendersi sempre più, lunghe dita digitali che ci indicano ogni giorno cosa fare, come farlo, quando farlo? Prendete un semplice GPS e la sua fantastica precisione di azzeccare al minuto il tempo che impiegheremo per il nostro viaggio, magari lungo molte ore.

Rete svizzera di competenze per l’intelligenza artificiale

Un satellite NASA per il Global Positioning System terrestre
Un satellite NASA per il Global Positioning System terrestre

In un banale GPS la brutta sensazione di una conoscenza del futuro

Non solo ci indica la strada da prendere, ma in quella accuratezza c’è qualcosa di ancora più sconvolgente, che si insinua fastidioso nella nostra mente: la sensazione che quello strumento conosca il futuro, sappia in anticipo cosa ci capiterà in quel viaggio, la coda che incontreremo in tangenziale, l’incidente che ci rallenterà sull’Appenino o sul San Gottardo. Sembra dirci che il futuro è già programmato e l’intera AI ce lo comunica con sempre maggior precisione: ad ogni nuovo dato che si dà in pasto a quegli strumenti, la previsione cresce in credibilità.
È, questa sensazione, più realistica di quella del nostro telefonino che ci batte a scacchi con irrisoria facilità facendoci pensare che “lui” (ormai lo chiamiamo con questo pronome un tempo riservato ai soli umani) sia “intelligente”? Quando quell’aggeggio ci sembra un prodigioso indovino, conscio degli eventi futuri, quanto siamo vicini al reale?
Ecco, quando viene questo pensiero, questa brace rovente magari tra veglia e sonno, forse attizzata da un film di fantascienza di quelli in cui gli automi prendono il sopravvento, prendiamone le distanze pensando che tutto quello che l’AI fa oggi è prodotto dalla “nostra” capacità e razionalità; che essa, come la leva, ha bisogno del nostro genio inventivo per esistere, del nostro sforzo per muoversi, della nostra delega per agire.
Quando diciamo “digitale” e intendiamo calcolo e silicio, ricordiamoci della sua origine: il “cervello sociale”, la capacità della nostra comunità di avanzare man mano nei secoli aumentando le proprie conoscenze e poi farne un uso sempre più sofisticato. L’AI non ha eroi perché non ce ne sono e nemmeno ce n’è necessità. Essa è frutto di un lavoro comune di tante persone normali, del loro sapere, della loro coscienza, della loro creatività.

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La pittoresca città di Salvador de Bahia, capitale dell'omonimo Stato nordorientale del Brasile
La pittoresca città di Salvador de Bahia, capitale dell’omonimo Stato nordorientale del Brasile

Se il “potere degli algoritmi” è la foglia di fico delle decisioni altrui

Non facciamoci convincere da una comunicazione che ci parla di “potere degli algoritmi” perché dietro a quella attribuzione di un qualche intento all’automa c’è ben di peggio, il peggio che è in noi: farsi scudo di decisioni di un essere inanimato ed elettrico per lasciar commettere ciò che la nostra coscienza ripudia.
Ogni atto che la macchina compie è sempre delega umana, sempre vi è qualcuno che la ordina, la commissiona, la vuole, la permette: qui sì si deve fare attenzione ed è per questo che in ogni parte del mondo organizzazioni, stati, governi, associazioni si impegnano per definire regole comuni, così da evitare che l’AI sia strumento di alcuni contro altri o, più banalmente, che si riduca la prudenza e si rimuovano quei meccanismi che la rendono docile, come accade in certe fabbriche dove si contravvengono le misure di sicurezza per aumentare la produzione a discapito della vita di chi lavora.
In questo senso, bisogna applicarsi sempre più per rendere trasparente l’AI, cioè perché i risultati delle analisi che essa produce siano sempre chiari nel loro formarsi e non vi siano “black box”, aree oscure di formazione di un risultato che impediscono di capirne l’origine.

Il consumo del parco auto svizzero si calcola grazie all’AI

Secondo la definizione dell’esperto ingegnere Marco Somalvico, l'intelligenza artificiale è una disciplina appartenente all'informatica che studia i fondamenti teorici, le metodologie e le tecniche che consentono la progettazione di sistemi hardware e sistemi di programmi software capaci di fornire all'elaboratore elettronico prestazioni che, a un osservatore comune, sembrerebbero essere di pertinenza esclusiva dell’intelligenza umana
Secondo la definizione dell’esperto ingegnere Marco Somalvico, l’intelligenza artificiale è una disciplina appartenente all’informatica che studia i fondamenti teorici, le metodologie e le tecniche che consentono la progettazione di sistemi hardware e sistemi di programmi software capaci di fornire all’elaboratore elettronico prestazioni che, a un osservatore comune, sembrerebbero essere di pertinenza esclusiva dell’intelligenza umana

Cesura netta fra trasparenza del calcolo e responsabilità dei fatti

Dobbiamo dividere la trasparenza del calcolo dalla responsabilità degli esiti: la prima va garantita “nella macchina”, operando in modo che essa dia conto di come opera; la seconda invece è sempre umana e deve avere nome e cognome, perché dire “è stato il computer” non solo è tecnicamente una falsità ma, soprattutto, è un fallimento nostro, il tradimento di millenni di cultura, del lavoro fatto da migliaia di generazioni per definire concetti come etica o giustizia.
Come le parole di un grande poeta si sono appoggiate a quei suoni che mischiavano lotta di strada e numi africani per farne una musica meravigliosa e profonda, così abbiamo l’occasione un’altra volta ancora di ricreare il bello e il giusto, diffidando con saggezza del fragile spirito umano più che delle capacità degli automi.
Una visione ragionevole dell’Intelligenza Artificiale, di questo fenomeno pervasivo dei nostri tempi, non ci conduce verso la paura, piuttosto ci fa capire come si debba pensare al suo uso migliore, all’etica a cui dobbiamo ispirarci nel suo utilizzo perché ci aiuti a migliorare questo mondo, perché sia mezzo di quella lunga strada che, mai successo prima, oltre 190 Paesi hanno scelto di percorrere insieme e che riassumiamo nell’espressione “Sviluppo Sostenibile”, il traguardo più importante della nostra specie per queste e le prossime generazioni…

E l’Italia dà il la al piano per l’intelligenza artificiale

Secondo la definizione dell’esperto ingegnere Marco Somalvico, l'intelligenza artificiale è una disciplina appartenente all'informatica che studia i fondamenti teorici, le metodologie e le tecniche che consentono la progettazione di sistemi hardware e sistemi di programmi software capaci di fornire all'elaboratore elettronico prestazioni che, a un osservatore comune, sembrerebbero essere di pertinenza esclusiva dell’intelligenza umana
Secondo la definizione dell’esperto ingegnere Marco Somalvico, l’intelligenza artificiale è una disciplina appartenente all’informatica che studia i fondamenti teorici, le metodologie e le tecniche che consentono la progettazione di sistemi hardware e sistemi di programmi software capaci di fornire all’elaboratore elettronico prestazioni che, a un osservatore comune, sembrerebbero essere di pertinenza esclusiva dell’intelligenza umana