In morte di un Silvio Berlusconi pioniere dell’innovazione politica
Analisi storica di un epifenomeno della scena italiana capace di coniugare ante litteram le virtù dell’imprenditore e i nodi delle istituzioni
Tra santificazioni improbabili e banchetti di avvoltoi, una cosa è certa: Silvio Berlusconi è stato un personaggio storico.
Talmente storico da divenire eponimo di un’epoca: quella della TV privata, dell’imprenditoria che scende esplicitamente in politica, invece di pilotarla da dietro le quinte, del denaro come unità di misura esistenziale, della vita godereccia e un tantino volgare.
È innegabile, infatti, che egli abbia incarnato vizi e virtù, non tanto italici quanto lombardi: la fede nel lavoro e nella tenacia, ma anche un’antipatica aria da “cumenda”, che entra in un museo e domanda: “Sa custa?”.
Sarebbe, tuttavia, semplicistico e un po’ pilatesco ridurre la figura di Berlusconi a una caricatura o a un’oleografia: i meriti e i difetti del personaggio assurgono, certamente, a una dignità quasi metaforica, ma il patron di Mediaset è stato anche e soprattutto altro.
In primis, è stato un grande innovatore, il che lo consegna di diritto alle nostre pagine.
Per cominciare, oggi, che la televisione è diventata un fenomeno assai diverso da quello che era quarant’anni fa, appare difficile immaginare quello che abbia significato la cavalcata berlusconica, agli albori della nuova era televisiva: quel che diamo per scontato, allora, non lo era affatto.
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Passare dal mattone al tubo catodico non era per nulla operazione scontata
Passare dal mattone al tubo catodico non era per nulla operazione scontata: Berlusconi ebbe una visione e questa visione era un futuro che è diventato il nostro presente.
Come Goebbels aveva compreso il potere formidabile della radio, il tychoon di Arcore ha visto le gigantesche potenzialità della televisione: e, come Goebbels, ne ha compreso la titanica forza suadente.
È stato un bene? È stato un male?
Probabilmente, è stato un po’ l’uno e un po’ l’altro: ha aperto alle masse due occhi sul mondo e, al contempo, ha dato una spallata poderosa alla cultura tradizionale e, in qualche misura, al grado di civilizzazione degli Italiani, che, pure, erano usciti dall’analfabetismo anche grazie alla TV di Alberto Manzi.
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Club della politica, in antitesi alle sezioni del PCI, come azzardarono i giacobini
Ma Silvio Berlusconi, come innovatore, non si è fermato qui: anche la sua visione politica, con la creazione, in chiave anticomunista, di un partito-azienda, basato sui club e non sulle sezioni, ha rappresentato una novità, sebbene l’idea dei club fosse già venuta ai giacobini più di due secoli fa.
In quel partito, egli ha infuso la sua personalità e il suo dinamismo: Forza Italia ha rappresentato un coacervo molteplice, ma anche una nuova via, dopo la catastrofe ideologica e morale di Tangentopoli.
La sua visione, allora, è stata straordinariamente lungimirante: egli comprese che la sinistra, grazie alla sua struttura granitica, non avrebbe subito lo tsunami di Mani Pulite e si rese conto, con eccezionale prontezza, che bisognava creare subito delle contromisure per evitarne il dilagare.
Così, annunciò agli Italiani la sua discesa in campo, con tutti i crismi di una comunicazione all’americana, che, oggi, è diventata normale, ma che allora non lo era.
Non tutti, in Mediaset, la presero bene e va detto che Berlusconi, allora, rispettò le posizioni di tutti i suoi collaboratori, anche quando apparivano antipodiche alle sue, come nel caso di Gori o di Mentana.
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L’imprenditore paternalista e paterno, il project manager carismatico e avveduto
In questo e in molto altro egli incarnò, contemporaneamente, la figura dell’imprenditore paternalista e paterno e quella del project manager, carismatico e avveduto.
Poi, c’è chi dice che la mossa del 1994 fosse dovuta al periclitare delle sue aziende, ma, in Italia siamo così abituati al complotto, vero o presunto, che, senza pezze d’appoggio, lasciamo a Travaglio e a quelli come lui gli elzeviri incandescenti.
Straordinari fringe benefits che, talvolta, tracimavano dai confini del lecito o, almeno, dell’opportuno e uno spregiudicato amore per le belle donne e per atmosfere, diciamo così, non esattamente morigerate, hanno fatto di Berlusconi l’idolo di un certo tipo di Italiano, che gli preesisteva, ma che lui ha certamente sdoganato e glorificato.
Ma questa è storia del costume: una storia che, per sua natura, presto evapora.
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Un mito più forte della storia stessa, come la Chanson de Roland per Roncisvalle
Laddove, invece, la traccia del passaggio di Berlusconi su questa terra rimarrà a lungo è l’immaginario: la mitologia berlusconiana, più forte della storia stessa, esattamente come la Chanson de Roland travalica di gran lunga l’importanza storica dell’episodio di Roncisvalle.
E, nell’immaginario, Berlusconi è l’homo novus: il parvenu di straordinario successo e, insieme, un inventore eccezionale, un creatore di novità a getto continuo. Il mito brianzolo del self made man.
Così, in un modo o nell’altro, sia gloria a Berlusconi, uomo della novità e dell’invenzione, della perseveranza e della fiducia in se stessi.
Comunque vadano le cose, un gigante, rispetto alle legioni di nani che affliggono l’Italia. Ebbe certamente colpe e difetti, ma non per quello rimarrà nella storia.
Perciò, lasciamo cadere tanto il “servo encomio” quanto il “codardo oltraggio”, che sempre seguono la dipartita di un personaggio famoso e, forse, illustre.
Guardiamo, piuttosto, alla capacità di antivedere del politico e dell’imprenditore, che hanno fatto di lui un innovatore fuori del comune.
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