Nulla cambierà finché a... cambiare non saranno gli Italiani
Il popolo tricolore ha indicato una donna, anziché un uomo, “della Provvidenza”, cui va un solo consiglio: progettare la scuola del 2040
Nel commentare l’esito delle elezioni degli italiani, dopo averne viste tante, verrebbe da chiosare, alla meneghina: “dura minga, dura no!”.
Troppe volte, abbiamo assistito a trionfi effimeri, determinati più dalla pulcinellesca tendenza dell’elettorato a rimbalzare da un lato all’altro dell’emiciclo, che da serie e ragionate scelte programmatiche.
L’Italiano è così: si affida a uomini della Provvidenza e, ritenendola ondivaga, si fa ondivago a sua volta.
Un giorno crede che la propria salvezza risieda nelle mani di Berlusconi o di Prodi, la volta dopo inneggia a Conte, poi scopre Draghi e, oggi, indentifica in Giorgia Meloni la possibile svolta.
Svolta che non svolta mai, hèlas! Perché, se ci fate caso, cambiano le chiacchiere, le facce, gli slogan: ma l’Italia non cambia. O, meglio, sono gli Italiani a non cambiare.
Perché puoi fare tutte le leggi possibili ed immaginabili per migliorare la pubblica amministrazione, ma, se l’impiegato non si dà una sveglia, la solfa rimarrà sempre la stessa. Così gli italiani.
Si possono promulgare leggi meravigliose contro la corruzione, ma, se quella corruzione è, per così dire, incistata in intere fasce sociali e antropologiche, queste resteranno lettera morta.
Dunque, direte voi, cosa suggerisci, furbacchione? Ovviamente, non ho nessun rimedio miracoloso per una situazione tanto complicata ed ingarbugliata: tuttavia, un’ideuzza o due per sdipanare un pochino il gomitolo mi balena per la testa.
Innovare è azzeccare le soluzioni, non inveire contro il passato
Al Ministero dell’Istruzione, affatto residuale, adesso serve una persona degna
La prima cosa che suggerirei alla Meloni (e diversi segnali mi dicono che, invece, lei stia guardando da tutt’altra parte) è quella di non ragionare pensando al prossimo futuro, ma di pensare in grande, come fanno gli statisti veri: progettare l’Italia del 2040, oggi.
E questo vuol dire non affidare il Ministero dell’Istruzione alla solita mezza calzetta, cui tocchi un dicastero residuale, in virtù della lottizzazione ministeriale, ma a persona degna, solida, preparata e, soprattutto, decisa a mettere mano al verminaio, ribaltandolo.
Impresa titanica, ma che darebbe il via a una vera e propria rivoluzione etica e culturale: altro che Mao Dse Dong! Perché i mali atavici della nostra gente provengono anche e soprattutto dal sistema educativo: è la scuola che dovrebbe contrastare, da subito, l’insorgere di certi difettacci, che divengono atavismi.
Viceversa, la scuola li veicola, li corrobora: fa l’esatto contrario di ciò che dovrebbe fare in un Paese civile.
Innovazione è non contrapporre cultura tecnica ed umanistica
“Formazione, università, famiglia” la dirimente trimurti del Centrodestra vincitore
Scuola, università, famiglia: questa dovrebbe essere la trimurti del Centrodestra: non il consunto motto mazziniano, che qualche bestia ignorante attribuisce a Mussolini, di Dio, Patria e Famiglia.
Dio sta benissimo nelle chiese, alla messa grande. La Patria è la terra dei nostri padri: che si rivoltano nella tomba a vederci ridotti così.
La famiglia è il primo nucleo educativo e non solo il primo mattone della società: sarebbe meglio non dimenticarselo. Quindi, certamente, la famiglia va aiutata, sostenuta, con ogni energia.
Ma è a scuola che si forma il cittadino. Invece, di scuola, non si parla proprio, nei penetrali dei vincitori: solo il solito vaniloquio, che porterà a scelte disastrose e perniciose. Così, la scuola non cambierà.
La società non cambierà. E, la prossima volta che si voterà, cambierà solo il nome dell’uomo della Provvidenza. Eppure, sarebbe bastato leggere “I vicerè” di Federico De Roberto: lì c’è già scritto tutto.
Già, leggere, scrivere e far di conto. Come se fosse facile…
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