Perché il naming è importante: Il Principe Harry contro Invicta
Perché il naming è importante per il brand: il caso del Principe Harry contro Invicta
Dove inizia e dove finisce il naming del proprio brand? Se il punto di inizio è facile da tracciare, il più delle volte – e neanche sempre – il futuro non è mai di facile lettura.
Sì, è vero, come abbiamo già detto e ripetuto il naming è il primo elemento su cui si imbatteranno i tuoi futuri clienti. Il nome dei brand ci circonda, ci asfissia e spesso, piano ma neanche troppo, entra a far parte del gergo comune. Dico bene, tu, con quella biro in mano?
Se da una parte il naming dev’essere di presa, di peso ed essere capace di trasmettere i tuoi valori, le tue idee e il perché della tua attività, nel 2022 ci sono anche altri elementi da considerare. Mentre il mercato si espande e cresce, infatti, è assai probabile che le possibilità di utilizzare un naming che ti piace davvero si riducano ogni giorno che passa. Del resto, se si sono ridotte per il duca del Sussex, di sicuro si sono ridotte anche per te.
Per farti capire quanto il naming è importante possiamo rimanere sulla teoria per ore, pagine, articoli, mesi interi. Per fortuna (tua e mia) la cronaca giunge in nostro soccorso con un esempio lampante di quanto il naming sia non solo un’idea, ma anche una prerogativa essenziale e un territorio da difendere con le unghie e con i denti.
Zainetto 1 – Principe 0
A inizio giugno 2022 tutti i giornali e i rotocalchi italiani si sono affrettati a battere la stessa notizia: il tribunale di Londra ha stabilito che la fondazione creata da Harry, duca di Sussex, che prende il nome di Invictus Games Foundation, dovrà rinunciare all’uso del marchio invictus per il suo merchandising – ovvero gadget e magliette.
La battaglia legale è stata la conseguenza di una causa intentata dalla azienda piemontese Invicta, con sede a Leinì, nella provincia di Torino. Eri giovane negli anni ’80 se… Anche tu eri per lo zainetto scolastico Seven o per l’Invicta, senza troppo margine per marchi alternativi. Uno zaino era per la vita: non si è mai visto né sentito nessuno che, dopo essere entrato nell’una o nell’altra setta, abbia cambiato sponda senza essere ricoperto di disonore. Non chiedetemi perché, era così e basta.
Adesso i tempi sono strani, diversi. Le mezze stagioni non ci sono più, e facendo un balzo nel presente, Invicta fa parte del Gruppo Seven (tradimento), ed è un marchio storico piemontese controllato al 55% da un fondo di private equity denominato Green Arrow Capitale. La rimanente quota di minoranza è di proprietà dei fratelli di Stasio, originari fondatori dell’azienda.
Ed è stato proprio Aldo di Stasio, amministratore delegato, a mobilitarsi contro la troppa vicinanza del marchio del duca del Sussex con quella della storica azienda italiana. Invictus contro Invicta. “Un marchio pressoché identico al nostro”, ha precisato l’ad. “Ciò ha reso inevitabile l’intervento di Invicta Spa presso l’ufficio marchi inglese. Abbiamo dovuto tutelare gli interessi del nostro brand storico”.
Per quanto Invictus sia nato, nel 2014, sotto i migliori auspici possibili, con una associazione dedicata alla promozione della competizione sportiva per veterani con disabilità, nulla ha potuto contro la potenza di un’azienda che desidera ardentemente tutelare il suo naming. Il tribunale di Londra ha infatti stabilito che “la registrazione avrebbe generato confusione tra il pubblico internazionale, ormai abituato a collegare la parola Invicta con il brand italiano produttore degli zainetti”. È importante capire che anche Harry, con il suo marchio Invictus, avrebbe posto il suo nome su zainetti dedicati.
Non solo: sono state giudicate troppo simili anche alcune lettere del logo Invictus a quelle del logo storico Invicta. Due parole che, a voler essere quasi pignoli, identificano una formula alternativa per indicare la medesima parola.
Per Invicta, si è trattata di una “questione di carattere distintivo del marchio” e nient’affatto di una critica aggressiva nei confronti del lodevole progetto benefico del principe, al quale i Di Stasio augurano tutta la fortuna e per cui ha dichiarato il massimo rispetto. Niente di personale, dunque, ma il naming è il naming, e nessuno, neanche i principi, lo devono toccare. Neanche a fin di bene.
Nessuno mi fraintenda: Invicta ha esercitato un suo diritto e ha ottenuto ciò che desiderava. Se non bastasse, questa causa ha insegnato qualcosa anche a noi comuni mortali: il naming va difeso, sempre, e tutelato al meglio delle proprie possibilità.
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