Se è la mobilità davvero dolce a lasciare un po’ d’amaro in bocca...

Il monopattino sarebbe il mezzo ideale per spostamenti rapidi, facili, economici e green, ma a "umiliarlo" è l’uso scriteriato degli uomini

Mobilità dolce: la grande sostenibilità del monopattino è valida finché non se ne fa un uso pericoloso e maleducato
La grande sostenibilità del monopattino è valida finché non se ne fa un uso pericoloso e maleducato

La mobilità dolce è una bellissima cosa: è un’innovazione intelligente, che, sulle brevi e brevissime distanze, permette ai cittadini di arrivare puntuali, senza rischiare una crisi isterica, e, talora, perfino godendosi l’arietta.
È un’idea che, se applicata con i dovuti criteri, può davvero rivoluzionare la vita nelle metropoli, insomma.
Ma, per ogni innovazione, apparentemente perfetta, c’è sempre una gabola, nascosta dietro l’angolo: è un po’ la morale di questa rubrichetta, cercare di dimostrare che innovare, in sé per sé, è azione neutra.
Dipende dal chi e dal come far sì che quest’azione, da neutra, diventi profittevole oppure perniciosa.
Prendiamo il monopattino elettrico, che, dai Paesi del centro Europa, ha gradatamente preso piede ovunque, fino a diventare il protagonista indiscusso della viabilità urbana in tantissime città.
L’idea, in sé, è validissima: un mezzo di locomozione lento ma non troppo, agile, a impatto ambientale zero, facilmente utilizzabile e abbandonabile, grazie alla sua App e al sistema di geolocalizzazione.
La quadratura del cerchio, in apparenza. Come sempre, però, se poni la tecnologia, anche la migliore, nelle mani sbagliate, rischi di produrre disastri, invece che innovazioni.

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Il cattivo esempio di due persone anziane circolanti in città a bordo dello stesso monopattino

Un bullo di periferia resterà sempre tale, in piedi su due ruote così come seduto fra quattro

Così, se tu prendi un bullo di periferia, di quelli con l’aria da camorrista e il catenone d’oro da due chili, è lo piazzi sopra un monopattino, puoi stare tranquillo che il bullo andrà in giro esattamente come se guidasse una Lamborghini, fatte le debite proporzioni.
Anziché parcheggiare la fuoriserie nello spazio disabili, viaggerà sui marciapiedi a tutta velocità, senza rispettare semafori e stop.
Lo farà, perché è nella sua natura di bifolco e di spaccone, indipendentemente dallo strumento della sua spacconeria.
Insomma, se tu prendi uno scimpanzé e lo metti ai comandi dello Shuttle, difficilmente questo arriverà in orbita, salvo, forse, nel caso di un apprendimento pavloviano da parte del quadrumane.
Ma Ivan Petrovič Pavlov non aveva contemplato il caso dell’umano maleducato, tra i possibili oggetti delle sue indagini scientifiche.
Un animale è un animale: ce ne sono di più cretini e di più intelligenti, ma nessuno di loro è protervo nella propria stupidità.
L’essere umano è capace di infrangere le regole per il solo piacere di affermare il proprio miserando ego: per dimostrare, non si capisce a chi, di essere più furbo degli altri.
Così, se un geniale pensatore s’inventa una trovata realmente innovativa e utilissima per il bene comune e questa trovata finisce in mano al deficiente di turno, state sicuri che si trasformerà in un’arma, in una minaccia o, perlomeno, in una seccatura.

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È nella famiglia e nella scuola che si combatte per innovare, contro il misoneismo e l’idiozia

La morale di questo pistolotto è semplice: non basta innovare nel campo degli strumenti.
Bisogna innovare anche in quello di chi li utilizza. La gente va educata e, spesso, rieducata a comportamenti positivi per la collettività: altrimenti è inutile inventarsi geniali soluzioni che non risolvono.
Infatti, le nostre città sono piene di monopattini parcheggiati dove non si deve, abbandonati sui marciapiedi, guidati da esuberanti africani che pensano che ogni vicolo sia la Parigi-Dakar: e la colpa non è certamente degli incolpevoli monopattini. La colpa è delle bestie che ci montano sopra.
Inutile riempire di aiuole e di parchetti i quartieri, se, poi, la gente li usa come pattumiere o come succursali dello spaccio.
Vedete bene che la soluzione non può che essere quella di rieducare, se necessario a suon di scappellotti, i reprobi a comportamenti più civili: non è certo quella di chiudere i parchi e cementificare le aiuole.
Ed è così in tutti i campi in cui si cerchi di innovare: l’innovazione ha sempre almeno due nemici.
Il primo è il misoneismo, che aleggia e prospera nella nostra società. Ma il secondo, di gran lunga più esteso e difficile da estirpare, è l’idiozia.
E tutto, come sempre, parte da famiglia e scuola. È lì che si combatte la vera battaglia dell’innovazione.

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