Robot di Samaria per curare il corpo e quietare lo spirito?
Robot di Samaria per curare il corpo e quietare lo spirito?
Con l’Intelligenza Artificiale possiamo fare molte cose: scegliere ciò cui dare la precedenza concorre a determinare il nostro futuro di umani
Nell’enfasi della comunicazione riguardo la nostra vita prossima ventura, spesso ci vengono mostrate immagini di robot costruiti per tener compagnia alle persone, in particolare agli anziani.
Si spiega che quegli oggetti sono ogni giorno più vicini a diventare inquilini delle nostre abitazioni, per servirci in tutti i modi e, soprattutto, non lasciarci soli.
Posto che la solitudine assume così la certa coordinata di essere un male in sé, visione tristissima dello stato proprio di ogni nato, la macchina è proposta come sostituto psicologico dell’essere vivente, che sia umano o animale da compagnia.
Riempie, il robot, lo spazio temporale e fisico di una persona che non è lì, vicina al proprio genitore, ad esempio, a sostenerlo nei tempi ultimi della sua vita terrena. Perché c’è un “coso” vicino a quella persona anziana? Dov’è quel figlio?
È via, evidentemente. È affaccendato, probabilmente sta lavorando, sta dando il suo contributo al funzionamento sociale altrove, lontano da quella stanza, da quella casa, da quegli affetti.
In quella immagine riproposta dai media con fervida ammirazione c’è dunque una profonda e scontata accettazione: persino il prossimo tuo può essere abbandonato, tralasciato, giacché un samaritano digitale se ne prenderà cura.
Un samaritano costoso, magari, così che lo sforzo economico per acquistarlo dimostri l’incorrotto amore filiale del compratore.
L’esistenza del robot “da compagnia” non è un male, sia ben chiaro. Si tratta di uno strumento in più, i cui vantaggi possono essere sfruttati in maniera utile e corretta.
Quel che stupisce, nell’incantato modo con cui viene rappresentata mediaticamente quella macchina, è che non si pensi che in quell’immagine ci sia qualcosa che non si accorda con la storia della nostra specie.
Valter Fraccaro: “L’AI senza etica non è vera intelligenza”
Il lavoro fisico come condanna universale dell’homo sapiens
Negli ultimi secoli ci siamo dati un gran daffare per creare macchine che ci liberino dalla fatica, dal lavoro come sudore della fronte, come biblica espiazione.
Siamo stati capaci di aumentare a dismisura le nostre conoscenze, la sicurezza della nostra vita e la sua qualità e, al contempo, di esimerci da sforzi brutali e disumanizzanti, di dare a gran parte della popolazione mondiale non solo alimenti e medicine ma anche il tempo di leggere un libro e di produrre un sé stesso diverso da quello che sarebbe altrimenti scaturito da un destino segnato e faticoso.
Dov’è quel figlio, allora? C’è qualcosa che ci impedisce di disegnare il futuro prossimo in modo che non sia un robot a tener vivi spirito e cognizione di una persona cara?
Se c’è qualcosa di scontato nei nostri tempi è che ogni lavoro ripetitivo e di produzione sarà rapidamente automatizzato, realizzato da macchine.
In questo senso, l’Intelligenza Artificiale costituisce il contemporaneo passo di quel cambiamento che abbiamo cominciato molte migliaia di generazioni fa raccogliendo per terra un bastone e usandolo per sostenerci nel cammino, prima macchina d’ogni tempo.
Piove ancora sul selciato bagnato, sul pavé insidioso della piazza e certo non invidiamo il ragazzo in motorino che porta la pizza o consegna i prodotti comprati via e-commerce.
E se fosse lui, quel figlio? Quello che non è a casa quando vorrebbe esserlo, quello atteso da chi desidera una carezza invece che una scatola di cartone o una quattrostagioni?
Se scegliamo di incentivare o no la ricerca su come utilizzare un drone per consegnare ciò che oggi viene affidato ad un rider, stiamo definendo una società futura.
Facile opporsi a questo esempio: “Con i soldi di quel lavoro, il rider mantiene se stesso e magari anche altre persone. Il drone gli toglierà lo stipendio, e nessuno lo pagherà per stare con sua mamma”.
Asserzione che pare ragionevole, ma non lo è, nemmeno vista sotto il puro profilo economico: che sia un robot o una badante, quel rider sta guadagnando per potersi permettere che qualcuno stia vicino ai suoi cari.
Un cerchio che si chiude comunque, ma che quella chiusura sia o meno in conflitto con i sentimenti profondi che ci stanno dentro da milioni di anni dipende solo da noi, dalle nostre volontà.
E l’Italia dà il la al piano per l’intelligenza artificiale
L’incubo fantascientifico di una umanità felice perché arresa
Quando si immagina come massima e frustrante sciagura un futuro assai improbabile in cui i robot comandino gli umani, di fatto si dà per scontato che quegli umani sottomessi abbiano le stesse sensazioni, percezioni, valori che oggi attribuiamo a noi stessi. Schiavi nel mondo del potere robotico vediamo “noi di adesso”, non “loro di domani”.
E se invece le cose fossero andate diversamente nel tempo che separa questo oggi da quel domani? Se fossimo stati noi a delegare alle macchine ciò che era tipicamente nostro, come la cura delle persone, fino ad abbandonarci definitivamente alle attenzioni digitali di robot antropomorfi tanto da lasciar loro predisporre la nostra vita? Alieni loro e alienati noi, magari felici.
Mi pare un brutto incubo, con gli occhi di questo febbraio 2022, tanto più che detesto chi usa la paura come mezzo di convincimento.
Gli incubi non sono premonizione né certezza, per fortuna: viviamo in un mondo per tantissimi versi assai migliore di quello che le generazioni precedenti hanno trovato e i loro incubi non si sono dunque avverati, sebbene negli ultimi due secoli si sia stati capaci di creare situazioni che vanno rimediate con un colossale sforzo mondiale che, per semplicità, riassumiamo in “Sostenibilità”.
Per far meglio abbiamo a disposizione mezzi enormi, capacità inimmaginabili solo dieci o vent’anni fa e, per la prima volta nella Storia, un accordo siglato da oltre 190 Paesi per cambiare rotta, per creare condizioni di vita che non impattino sul nostro pianeta-casa né sugli altri suoi ospiti.
Proprio per questo abbiamo bisogno di scegliere bene il percorso, di pre-vedere ogni bivio e optare per una o l’altra direzione anticipatamente, di affiancare alla scienza la co-scienza.
Quando si dice che l’innovazione, in particolare l’Artificial Intelligence, cambierà il mondo del lavoro, si sta dicendo che cambierà il modello sociale. È stato argutamente detto che un uomo del 700, che si risvegliasse oggi, guardandosi attorno si chiederebbe come mai così poche persone stiano lavorando: dove vanno tutte queste persone ben vestite, in giro ad ogni ora del giorno e della notte? Così in tanti? Possibili siano tutti nobili e non debbano attendere a campi, stalle, mandrie, cattedrali, fossi e battaglie?
Per quel nostro progenitore esistevano solo lavori faticosi, che fosse zappa o fucile, fornace o battello. Quello intellettuale era ben poca cosa, comunque riservato a fortunate caste borghesi, se non aristocratiche.
Come lui ai suoi tempi, anche noi stiamo costruendo un mondo in cui faticheremmo a riconoscerci (e tra decenni, non tra secoli). Se pensiamo allo sforzo culturale del tempo dei Lumi, allora possiamo capire quello che spetta a noi, stretti tra un progresso rapidissimo della scienza, vero motore dell’economia, e valori che si elevano ripidissimi come l’Eiger dal fondo del nostro spirito.
Non se ne esce con la paura, di certo. Nemmeno il laissez faire ci porterà lontano, visto che a quel che non pensano i molti penseranno i pochi e per i loro interessi.
Rete svizzera di competenze per l’intelligenza artificiale
I consumi come necessario esercizio di libertà e condivisione
La forza dei tanti questa volta è nei consumi e in quel potere di adesione che ogni stakeholder ha rispetto alle aziende ed enti a cui si rivolge.
I consumi sono una delle forme in cui si esercita la libertà individuale. Per quanto possa esserci influenza sociale e mediatica, in ultima istanza è sempre la persona singola a definire ciò che intende utilizzare, sia come prodotto/servizio sia come fornitore. Inoltre, in particolare con la possibilità di ogni persona di condividere la propria opinione continuamente e velocemente grazie alla comunicazione digitale, tutti siamo riferimento di altri, cosa che fa di ognuno un veicolo di influenza sulla comunità.
Questa potenza, mai prima così elevata, richiede altrettanta attenzione da parte di chi la utilizza, giacché l’ignoranza o la superficialità si tramutano facilmente in danno e, dunque, la creazione di una propria opinione deve, o dovrebbe, essere fondata sulla conoscenza in maniera tanto più profonda quanto più la persona che la esprime pubblicamente sa di aver incidenza su altri.
Non è una novità, ovviamente, tanto che su questo si basa la delega politica: l’eletto ha tra i suoi compiti quello di informarsi quanto basta per decidere con cognizione, laddove al singolo cittadino questo non è possibile, tanto meno nelle società attuali in cui la complessità dei fenomeni è crescente.
Aiutare tutti a stare meglio: è la salute al tempo dell’AI
Lo stakeholder tra vetrina e acquisto, oppure fra riders e droni
Difficile immaginare piazze e striscioni a rivendicare la scelta tra rider e drone, ma è probabile che non sarà il movimentismo a indirizzare il domani.
Più sottili, scelte e consumi, tolleranze e costumi possono invece farlo: chi mi regalò il primo pallone un sabato del secolo scorso nemmeno lontanamente si domandava quali fossero le condizioni di lavoro di chi lo aveva prodotto, mentre adesso, soprattutto per i giovani, questa caratteristica è parte del bene stesso, indissolubile dalla sua fisicità, come dire che l’acquisto di esso è valoriale, non solo utilitaristico.
Detta spiccia, l’attrazione verso un prodotto è sempre più misura dell’adesione del cliente ai valori che quell’oggetto reca in sé in termini di rispetto di un “bene comune” che si ritiene condiviso con moltitudini altre, di là dei confini e delle culture.
Ne discende che quanto non possiede esplicitamente quei valori è sempre meno accettabile da quelle stesse moltitudini. Risultato: chi lo produce sempre meno riuscirà a venderlo.
E questi nuovi stakeholder sono attenti. Non crederanno al cambiamento come tricoteuses ai piedi della ghigliottina, né un greenwashing fatto di marketing e annunci li sposterà dalla vetrina alla cassa, anzi. Nel guardare il prodotto esposto e non comprarlo, essi faranno aumentare ogni volta il costo della singola vendita per negoziante e produttore, in un braccio di ferro già deciso nei suoi esiti.
L’orientamento al futuro lo stanno già dando e, poiché sono giovani, si può pensare che la capacità di spesa di ognuno di loro andrà crescendo nel tempo, rafforzando una spinta già crescente.
Se quei valori che essi sentono sono capaci di imporsi sui prodotti e da lì all’intera catena del valore (quello economico), altro resta il potere, quello macroscopico e organizzato, incidente e pianificante, “construens” del globale per definizione.
È un altro capitolo dello stesso racconto, quello di un domani che potremo chiamare umano se sapremo utilizzare l’automazione per eliminare la fatica del fabbricare e lasciare spazio al nostro essere sapiens, cioè caratterizzato da cura, solidarietà, perdono, gentilezza, compassione e comprensione, tutte cose che non sappiamo riprodurre con le macchine.
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