L'eCommerce oggi tra opportunità, ignoranza e poca cultura

Il commercio elettronico non si deve più intendere come una piattaforma di vendita online, perché è una vera e propria attività commerciale

Era tempo che volevo scrivere questo post. La mia esperienza fatta sulla realizzazione e messa online di piattaforme di ecommerce mi ha fatto comprendere quanto oggi sia complesso l’argomento e che non è più possibile circoscriverlo alla sola messa online di una piattaforma software che interfacci il pubblico online con il venditore nel miglior modo possibile.

Pensare questo significa essere irresponsabili.

L’etica professionale mi induce a dire che sia da parte degli operatori del settore che siano web agencies, sviluppatori freelance, aziende di sviluppo software o consulenti che anche da parte dei proprietari dei siti di ecommerce, l’ignoranza non è solo una colpa ma oggi viene severamente punita.

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Le competenze del titolare di un sito di eCommerce

Il titolare dell’ecommerce deve avere un minimo di conoscenze tecniche sull’uso degli strumenti informatici. Oppure deve potersi dotare di una struttura in grado di sopperire alle sue mancanze. Occorre sapere cos’è una CDN, un IP, come si configura un client di posta, cos’è una RBL, come funziona un gestionale, cos’è un database, cos’è un codice SKU, cosè una URL, una pagina, un articolo, cosa significa HTML e come funziona a grandi linee, come si gestiscono le immagini, come vanno taggate, che cs’è la SEO, come funziona un motore di ricerca, la differenza tra posizionamento e indicizzazione.

Ma il titolare dell’eCommerce deve anche dotarsi di un minimo di strumentazione tra cui un PC aggiornato, un sistema di backup, un firewall, un minimo di conoscenze su cos’è la netiquette su come si inviano le mail per evitare sgradevoli sorprese, alcuni software per la gestione di testi, di immagini e di altro materiale promozionale o in questo caso di un rapporto commerciale con una agenzia che lo fa per conto del cliente.

E questo è solo l’inizio. il titolare del sito di ecommerce deve anche avere un minimo di conoscenze finanziarie per fare una pianificazione economica relativa al progetto. Altrimenti succede che dopo un anno il progetto finisce nel secchio e arrivano le cattive sorprese Ma la pianificazione finanziaria ed economica presume il fatto di avere una visione dell’insieme molto lucida e precisa e spesso questo non succede, anzi, purtroppo quasi mai. Un business plan magari avvalendosi di una analisi SWOT e di un BMC è cosa assai rara da vedere. Eppure senza questi due elementi non si va molto lontani.

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La materia fiscale per il commercio elettronico

Le conoscenze del titolare dell’ecommerce poi devono applicarsi anche in materia fiscale! Eh già! Perchè come si dice, la legge non ammette ignoranza. Vuoi vendere in Giappone? Perfetto. Bello. Cosa devi fare per poter esportare in Giappone? Oppure negli Stati Uniti? Rappresentanza fiscale? Dichiarazione all’Agenzia delle Dogane? Aliquote IVA da applicare?

E come si inquadra fiscalmente un sito di ecommerce? Come viene registrato contabilmente? Cos’è un nome a dominio? Come lo si registra? Come lo si considera contabilmente? E che valore gli si deve attribuire? E il marchio? E’ solo un vezzo grafico o c’è di più? Che differenza c’è tra un nome a dominio e un logo e un marchio? Che rapporti giuridici scaturiscono con l’uso o abuso di un marchio o un nome a dominio? E il magazzino per il sito di ecommerce? Come funziona? Come viene gestito fiscalmente? Che controlli si possono subire? Che differenza c’è tra B2B e B2C anche fiscalmente oltre che giuridicamente? E come influisce un B2C o un B2B sulla gestione del magazzino? Quali sono gli aspetti legali da considerare? E come influiscon questi due elementi nel rapporto con la Pubblica Amministrazione, con i clienti e con il fisco?

Molti mi dicono: “Dai aggiungiamo anche un’area a parte per il B2B. Eh certo! Bravi! E col fisco? Tutto ok? Con la Camera di Commercio? Codice Ateco? Il magazzino lo hai adattato? Il commercialista è avvertito? Oppure sa di che i parla?”.

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Il GDPR per l’eCommerce: il lato della privacy

E poi … Il famoso GDPR. Cos’è la privacy? Come funziona? Cosa si rischia se non si adempie alla normativa vigente? Come si mette in sicurezza una struttura di ecommerce? Cos’è un backup? Come funziona? Che tipo di backup adottare? Backup 1-2-3? O in Cloud? Cos’è un cloud? Come funziona? Come influisce sulle politiche di privacy? quando? Dove? Come si raccoglie il consenso esplicito degli utenti? Cosa significa? Perché occorre farlo? E come?

E’ sufficiente mettere in regola il sito di ecommerce per essere in regola come azienda? Sì? No? Se è no (e lo è) cosa occorre fare? Cos’è una DPIA? Che differenza c’è tra un Titolare del Trattamento dei Dati Personali e un Responsabile del Trattamento dei Dati Personali? E che vincoli giuridici intercorrono tra le due figure?

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E questo è niente perché poi arrivano le specifiche necessità relative al settore merceologico.

Si vuole vendere prodotti alimentari? Occorre essere ferrati su quelli che sono gli adempimenti nel settore della somministrazione di prodotti alimentari, occorre essere abilitati dalla Camera di Commercio. Non è che da oggi al domani, perché il cliente è bravo a fare le marmellate allora apre un sito di ecommerce per la vendita online delle sue marmellate, così, come niente fosse. Autorizzazioni sanitarie, certificazioni di prodotti e servizi, abilitazioni, sono tutti elementi che un titolare di un sito di ecommerce deve conoscere e non è ammesso che non le conosca altrimenti, prima o poi paga dazio.

E quindi, riassumendo, un sito di ecommerce è una azienda vera e propria. Non è un software e basta, tutto finisce lì.

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Obblighi delle webagency, tra etica, morale e know how

Quando una webagency viene incaricata di sviluppare un sito di ecommerce per conto di un cliente, quali sono le sue responsabilità e dove cominciano e dove finiscono? La webagency può dare per scontato che il proprio cliente sia perfettamente a conoscenza di quanto sopra esposto oppure può fregarsene e svolgere solamente il proprio compitino?

Ecco le domande dalle 100 pistole. Ebbene, vi sorprenderò ma le risposte ci sono e sono piuttosto chiare. La webagency, in qualità di webmaster, che è una figura piuttosto ben inquadrata dal legislatore, ha degli obblighi ben precisi di informazione e presta il fianco ad un rapporto di responsabilità oggettiva verso terzi e verso il cliente che non possono essere prese sotto gamba.

La webagency si assume responsabilità in termini etici e morali ma anche giuridici soprattutto se le condizioni e le informazioni non vengono comunicate in modo chiaro al cliente. Non basta dire: “Io non sono responsabile per i problemi legati alla errata gestione della Privacy da parte del cliente”. Eh no! Se sul sito la webagency ha messo ad esempio il codice di tracciamento delle visite degli utenti di Google e cioè Google Analytics, la webagency è responsabile sì! Eccome se lo è! Se il social media manager che traccia visite, comportamenti e intenti di ricerca di utenti per conto del cliente sulla base di un contratto di “consulenza” o un fisso mensile per la gestione dei social, eccome se diventa corresponsabile se un giorno il Garante invia una diffida al cliente oppure anche una sanzione! E si possono inserire clausole di limitazione di responsabilità quanto si vuole ma al Garante non interessano, non hanno valore!

Aggiungo che la webagency ha anche dei vincoli giuridici nei confronti del cliente non solo di terzi. Il non informare, il non mettere a conoscenza il cliente di rischi e pericoli per la non ottemperanza di determinati adempimenti, mette l’agenzia nella posizione di non essere eticamente corretta nei confronti del cliente e non può fare semplicemente spallucce dicendo che tanto non sono problemi suoi e che l’azienda è del cliente e non sua. Ci sono diversi casi in cui il cliente, facendo causa alla webagency per lucro cessante, per non aver comunicato al cliente ciò che andava fatto, ha portato a casa la causa in modo vincente.

Ogni webagency dovrebbe avere una vera e propria checklist delle cose da fare, degli adempimenti da seguire e ottemperare e informasi dal cliente se gli adempimenti sono stati osservati oppure no e nel caso, rifiutare la commessa: Allora, in quel caso, se il cliente è reticente nelle informazioni, allora può scattare la limitazione di responsabilità (e anche qui occorre fare attenzione).

Io ho visto signori professionisti in materia di ecommerce piegare le ginocchia di fronte ad una ispezione del nucleo investigativo dell’Agenzia delle Entrate. Espertissimi in Linkbuilding, in come si traccia il comportamento di un visitatore su un sito di ecommerce a 2000 euro al mese ma di fronte alla domanda: “Ma lei ha informato il cliente che la sua posizione in Camera di Commercio non contempla sulla base del codice ATECO la vendita di prodotti di abbigliamento al dettaglio? E che il magazzino non è conforme?”. E così il professionista si è trovato in una posizione di responsabilità oggettiva nei confronti del cliente e ha dovuto pagare la sua bella fetta di sanzioni!

Qui non si può più scherzare. E’ il motivo per cui quando mi si propone un sito di ecommerce, prendo la cosa sempre con le dovute misure cautelative e cerco di mettere il cliente nelle condizioni di capire se è davvero il caso oppure no. Spesso ci prendo, a volte no.E quando non ci prendo, tremo!

Una web agency che sviluppa siti di ecommerce oggi, deve avere un livello di know how che non si ferma più solamente a tutto ciò che serve per sviluppare la piattaforma software, anzi, quello è il minimo sindacale. Considerando poi che esistono piattaforme come Woocommerce, Shopify o Magento per citarne alcune che sono già ben strutturate e disponibili, è proprio su tutto il resto che occorre avere know how altrimenti si mette il cliente in una condizione di enorme rischio.

Non basta il commercialista che spesse volte ne sa meno del cliente, non basta l’avvocato che scrive le  due righe per le condizioni di vendita, ci vuole molto di più oggi e far finta di niente limitandosi al proprio compitino e a mio avviso quasi criminale.

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