Quanto è opportuno esporre i nostri bambini sui social network?

Riflessione multidisciplinare, tra psicologia e informatica, su una pratica molto diffusa in ambito famigliare e dai risvolti affatto scontati

I bambini sui social: a volte la tecnologia porta i bimbi a socializzare tra di loro solamente attraverso di essa
A volte la tecnologia porta i bimbi a socializzare tra loro solamente attraverso di essa

Immaginiamo di entrare nel negozio della nostra parrucchiera di fiducia nel 1980 e di trovare appese, sullo specchio posto di fronte a noi, seduti in poltrona, le fotografie Polaroid dei bambini di tutto il paesino.
Possiamo farci due domande: all’epoca avrebbe fatto scandalo? Sarebbe stato inopportuno, e quanto?
Legittimità e opportunità sono due concetti molto importanti.
Torneremo in seguito a riflettere su questa fantasia.
Quindi è opportuno esporre i bambini sui social?
Per rispondere alla domanda “È opportuno esporre i bambini sui social?”, è necessario innanzitutto identificare i soggetti che compiono l’azione.
Ad essi possono corrispondere diversi interlocutori, con diversi punti di vista e ognuno di noi risponderebbe diversamente sulla base delle connotazioni che possiamo dare alla nostra domanda.
Innanzitutto, chi. “Chi espone i minori in questione?”.
Se la vostra parrucchiera esponesse la foto di vostro figlio senza consenso nel proprio negozio, probabilmente non ne sareste felici. Per cui, partiamo da qui.
“È legittimo che uno sconosciuto esponga un bambino (il tuo) sui social?”
No, non senza una liberatoria scritta da parte dei genitori o dei tutori del minore.
Perciò, tale responsabilità è rinviata alle figure genitoriali del bambino.

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Gli esercenti la potestà genitoriale sono legittimati, uno sconosciuto proprio no

Quindi, possiamo ora chiederci: “È lecito che un genitore esponga un bambino sui social?”
E qui, una volta avuto il “via libera” legislativo (di fatto un genitore ha la facoltà di esporre sui social i propri figli), si entra anche nell’ambito della psicologia, della pedagogia e dell’educazione.
“Perciò, è opportuno oppure no esporre un bambino sui social?”.
Partendo da un punto di vista legale, possiamo fare riferimento all’ambito della protezione dei diritti fondamentali della persona.
Ogni persona deve poter decidere in che modo vuole che la propria immagine venga utilizzata, diffusa ed esposta (per “persona”, da questo punto di vista, intendiamo chiunque sia considerato maggiorenne nel proprio Paese).

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Una volta pubblicato un elemento qualsiasi, ne perdiamo di fatto il controllo

Una volta pubblicato in rete un determinato contenuto, di esso perdiamo automaticamente ogni controllo.
Pertanto la decisione dei genitori (entrambi, ricordiamoci, nel caso di un minore) di concedere l’utilizzo dell’immagine del proprio figlio o della propria figlia, nel caso dei social, potrebbe diventare un mezzo che rimane ancora diffuso e fruibile dopo che il minore abbia acquisito la maggiore età e quindi i diritti di decidere per proprio conto.
Bene, poniamo il caso che l’immagine di un bimbo di sette anni venga utilizzata per un meme (un’immagine virale che rappresenta una situazione o emozione corredata da una scritta che può cambiare, ottenuta spesso con un’immagine prelevata dalla rete) e che, all’età di 18 anni del diretto interessato, circoli ancora sui social ed in rete e che faccia provare disagio al ragazzo o alla ragazza interessati.
Ecco che il 18enne, che ora può decidere per conto proprio, secondo la legge, non può tuttavia di fatto interrompere la circolazione di quell’immagine perché se ne è perso il controllo nel momento in cui ha raggiunto Internet.
Chi ci legge probabilmente è nato e cresciuto in un’epoca in cui gli smartphone, in età infantile, non erano alla portata di tutti, o addirittura non erano ancora stati inventati.
Perciò possiamo solo “fare esperienza” di questa situazione, lavorando di immaginazione e osservando il mondo che ci circonda.

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I bambini sui social: in alcuni casi, social network e tecnologia possono portare i fanciulli ad isolarsi maggiormente
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Come si può fare a vincolare l’utilizzo dei social media ai soli maggiorenni?

È anche bene, tuttavia, fare un’ulteriore riflessione: l’immagine del bimbo di 7 anni è stata pubblicata dai genitori, oppure da un suo coetaneo, o dal bimbo stesso?
È sempre più frequente vedere bambini di età addirittura inferiore utilizzare uno smartphone (spesso quello dei genitori, ma è sempre più diffuso lasciare uno smartphone personale a bambini di queste età).
Per farsi un’idea, basta aprire una qualsiasi piattaforma (senza fare nomi, ce n’è una molto famosa per i video di balletti in compagnia) per ritrovarsi di fronte minori che creano e diffondono in rete contenuti video per divertimento con i propri amici.
Sebbene questi social network abbiano delle restrizioni d’utilizzo per i minori (o almeno per una fascia di età degli stessi), è tuttavia molto semplice “barare”, dal momento che l’unico dato a tutela che possano utilizzare per sapere l’età del nuovo iscritto è la data di nascita stessa inserita dall’utente al momento della creazione dell’account.
Purtroppo i bambini spesso utilizzano i social network e media aperti dai genitori che fanno la procedura e poi consegnano l’account ai figli.
Non è per nulla semplice limitare l’accesso al vero utilizzatore.
In questo caso si potrebbe utilizzare tecniche di riconoscimento facciale legate a un documento di identità, ma sarebbe estremamente lesivo della libertà individuale.

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Il riconoscimento biometrico? Sì, ma molto pericoloso in caso di data breach

Infatti, pensando a un data breach (cioè il furto o diffusione di dati privati dovuta a un incidente informatico, sia doloso che involontario) che coinvolga anche dati biometrici, esso aiuterebbe ad alimentare strumenti di sorveglianza di massa grazie a dei collegamenti di identità certa e dati biometrici rilevabili a distanza, in diretta e in differita, senza che la persona interessata (incluso il minore) possa sapere di essere sottoposta a un tale controllo.
Che cosa spinge un bambino a voler pubblicare sui social?
Allora, sorge spontaneo chiedersi: ma perché bambini di 7 anni, o meno, vogliono già utilizzare uno smartphone per connettersi e condividere contenuti sui social?
Proviamo ora a metterci nei panni di un bimbo che si interfaccia con le proprie figure di riferimento sempre per interposta-persona (in questo caso, “interposto smartphone”), praticamente fin dalla propria nascita.
Penso capiti sovente a chiunque frequenti una caffetteria di vedere bimbi in età pre-scolare (perciò, di età inferiore a sei anni) con un genitore ritrovarsi al tavolino del bar, magari all’orario di uscita dalla scuola dell’infanzia.

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L’attenzione dello smartphone è sempre catturata da coloro che sono ignorati

La scena di solito si prospetta così: il genitore utilizza lo smartphone; non parla al telefono, semplicemente “scrolla” su e giù sullo schermo.
A questo punto, il bimbo si intrattiene da solo, si guarda in giro, sorride alle persone al bar (come a noi lettori, per esempio).
Infatti, cerca il contatto visivo con altri adulti, perché il genitore non si sta relazionando con lui né coglie il suo bisogno di relazionarsi.
A volte la situazione è invertita. Spesso, è il bambino ad utilizzare lo smartphone o il tablet, mentre il genitore si intrattiene con il partner o con un altro adulto, chiacchierando.
In questo caso, lo smartphone serve a “mettere in pausa” le necessità relazionali del bambino, intrattenendolo con uno stimolo sempre accattivante: colori, musica, voci, suoni in una piccola scatolina piatta e liscia.
Ai suoi occhi deve sembrare il gioco più magico del mondo.
E se il problema derivasse da abitudini trasmesse?
Se esponessimo i nostri bambini sui social proprio perché ne siamo dipendenti e le nostre relazioni sono filtrate attraverso di essi?
E se stessimo in qualche modo perpetrando questo circolo vizioso per il quale, una volta abbastanza grandi da saper leggere e scrivere (cioè sufficientemente alfabetizzati per l’utilizzo e la creazione di contenuti sui social), siano proprio i minori stessi a condividere le proprie vite e le proprie immagini sulla rete, perché è ciò che ci hanno visto fare, in qualità di genitori, da quando sono stati messi al mondo?

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Dallo spirito di emulazione di una generazione un nuovo “The Truman Show”

Una vita perennemente sotto i riflettori, come nel famosissimo film “The Truman Show”, ma in questo caso sotto “i riflettori della rete”.
Torniamo alla nostra parrucchiera di paese.
Non abbiamo mai saputo di nessuna parrucchiera che appendesse le Polaroid dei figli delle proprie clienti all’interno della propria boutique.
Se però così non fosse, quello sarebbe stato il primo social network della storia. E proprio come oggi, il fine ultimo di quella esposizione sarebbe stata “mostrare” o “dimostrare”, più che “condividere”.

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Due utili consigli per la mamma e il papà di una generazione nativa digitale

Non possiamo sostituirci al giudizio dei genitori, ma possiamo dare due consigli, uno dal punto di vista di sicurezza e di diffusione dei dati personali e uno dal punto di vista psico-pedagogico.
Per la loro sicurezza, vale sempre la pena limitare la divulgazione online di informazioni personali sui minori.
Quando un’immagine raggiunge la rete ci sono forti probabilità che non si riesca più a cancellarla, chiunque può copiarla e riprodurla facilmente, anche con delle modifiche.
Infatti è consuetudine di criminali utilizzare i volti dei bambini pubblicamente raggiungibili sui social network e social media per creare video e foto deep fake (una tecnica per sostituire il volto in contenuti audiovisivi che ritraggono altri personaggi) per scopi assolutamente immorali ed illegali.
Un altro rischio molto forte è quello della profilazione tramite i commenti: “Amore della zia”, “Cucciolo della mamma”, “Orgoglio del papà” e tanti altri dettagli permettono a uno sconosciuto di avere un profilo molto dettagliato del bambino e quindi avvicinarlo con informazioni che potrebbero renderlo credibile, esponendolo a potenziali situazioni di pericolo.
Per il loro benessere emotivo gratificare i minori soprattutto quando sono “offline”
Dal punto di vista emotivo e relazionale, invece, è bene ponderare rischi e benefici del mostrarsi sempre, al minore in questione, interessati nell’immortalare un “istante” con il fine di condividerlo, di fatto spostando l’interesse dal momento presente ad un momento “altro” che allontana entrambi i soggetti (chi scatta e chi “compie l’azione”) dal loro spazio di relazione.

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Il pericolo latente della rottura della “quarta parete” perché ci si sente osservati

È un po’ come quando, a teatro o al cinema, si configura la “rottura della quarta parete”, cioè la situazione per cui gli attori sono consapevoli di essere osservati e si riferiscono pertanto più o meno esplicitamente al pubblico nella loro recitazione.
I bambini, di fronte alla fotocamera dello smartphone, impareranno pertanto a doversi riferire “a qualcun altro”. Maggiore sarà la frequenza di questi “momenti in differita”, più rischia di assottigliarsi la relazione tra il minore e la propria figura di riferimento, laddove non ci siano altri momenti in cui la condivisione avvenga senza strumenti tecnologici.
Non possiamo delegare ad un “like” lo stesso effetto educativo di amore e accettazione, che invece possono fare un sorriso o una carezza.
Momenti semplici come questi costituiscono la base per il benessere psicofisico del bambino.
Ad ogni sorriso fotografato deve poter corrispondere un autentico accoglimento da parte dell’adulto, fatto di coccole, di risate e di condivisione nel “qui e ora”.
Quindi, come tutte le cose, “la verità sta nel mezzo”, ma è importante agire con coscienza e consapevolezza dei rischi, sotto tutti i punti di vista.

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