Luxury brand e social media: può ancora funzionare la relazione?

Il rapporto tra marchi di lusso e reti sociali è sempre più controverso. Tali realtà possono convivere, ma come? Ecco la nostra riflessione

Luxury brand e social media rappresentano una perfetta combinazione
Luxury brand e social media rappresentano una perfetta combinazione

Luxury brand e social media rappresentano una perfetta combinazioneMai come in questi tempi, i brand del lusso stanno avendo un rapporto piuttosto controverso con i social media. Si pensi all’esempio di pochi mesi fa di Bottega Veneta, che a gennaio ha deciso di sparire da tutte le piattaforme, per poi tornarci dopo un mese, certo con un nuovo concept comunicativo, ma sempre riadattato a differenza di quanto prima annunciato.

Ciò che rende dibattuto il rapporto tra questi luoghi virtuali e le imprese del Luxury è senza dubbio intrinseco alla natura stessa delle due realtà. La prima è dominata da meccanismi e algoritmi sempre più sofisticati, che richiedono un forte adattamento per essere efficaci per un business. Le imprese di posizionamento alto, invece, soprattutto quando si tratta di Fashion, necessitano di creare un linguaggio tutto loro per distinguersi dai concorrenti.

Questo bisogno di unicità e di identificare nuovi paradigmi per fare emergere la propria value proposition si scontra inevitabilmente con le rigide strutture dei social media, ognuno governato da regole e dinamiche molto precise.

Prima di addentrarci in alcuni esempi molto esplicativi di questa situazione, soffermiamoci su due eventi che hanno fatto scaturire delle importanti riflessioni in merito al rapporto tra brand e social media.

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Un post condiviso da Seth Godin (@sethgodin)

L’emblematica intervista di Seth Godin sul meccanismo tipico dei cosiddetti “social”

Il 15 febbraio 2019 Seth Godin, il guru del marketing moderno, fu intervistato da Gianpaolo Coletti de IlSole24Ore, esprimendo concetti molto emblematici e per certi versi profetici sul ruolo della comunicazione online.

“Dobbiamo far scendere i brand dalla giostra dei social media, che va sempre più veloce, ma non arriva mai da nessuna parte. È giunto il momento di smettere di convincere con insistenza e di disturbare o fare spamming, fingendo di essere i benvenuti. Siamo in una fase storica accelerata che non ammette però scorciatoie e occorre concentrarsi su un percorso lungo e sostenibile, tornare all’autenticità, che passa necessariamente dalle esperienze. A meno che tu non stia vendendo teoremi matematici, stai vendendo emozioni. D’altronde siamo umani, non cyborg. Almeno per ora”.

Questa dichiarazione dell’imprenditore statunitense ha fatto certamente riflettere sugli aspetti negativi dei social media e in particolare sulla maniera invadente in cui i contenuti, sempre più standardizzati e sempre meno autentici, vengono diffusi. Non vanno sottovalutati, poi, i termini banalizzati e decontestualizzati, se non talvolta addirittura abusati, che ormai sono entrati a far parte del linguaggio di questi spazi digitali. Tali dinamiche, hanno determinato per forza di cose la necessità di ritornare ad approcci esperienziali e autentici che ormai vengono meno in favore di post “acchiappalike”.

Dalle parole di Seth Godin, quindi, è emersa l’idea che i brand debbano essere consapevoli riguardo ciò che gli utenti desiderano leggere, vedere, sentire. La comunicazione di massa non rende possibile questa operazione, perché porta le aziende a ricorrere a banalizzazioni e generalizzazioni per rientrare nei canoni imposti da queste piattaforme.

In questi luoghi virtuali, inoltre, gli utenti sono bombardati di contenuti e stimoli, per questo la soglia della loro attenzione è sempre più bassa. Per fare breccia nel loro cuore, le aziende (e in particolare quelle del lusso, oggetto della nostra analisi) devono creare esperienze memorabili.

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Luxury brand: The Social Dilemma, il documentario di Jeff Orlowski e prodotto da Netflix, ha suscitato molto scalpore
The Social Dilemma, il documentario di Jeff Orlowski e prodotto da Netflix, ha suscitato molto scalpore

The Social Dilemma, il documentario Netflix sugli scomodi segreti della comunicazione sul web

Lo scorso autunno è uscito un prodotto Netflix che ha suscitato non poco scalpore, soprattutto in chi non era informato sui meccanismi delle adv online. Stiamo parlando di The Social Dilemma, il documentario di Jeff Orlowski (ne abbiamo parlato qui) che spiega, attraverso docufiction e interviste, come le piattaforme digitali profilano gli utenti, li rendono dipendenti e propongono loro ADS sempre più affini ai loro interessi.

Come anzidetto, questi concetti non erano così sconosciuti a chi lavora nel digitale (o, perlomeno, non avrebbero dovuto esserlo). Tuttavia l’opinione generale non ha reagito in maniera positiva a queste “confessioni” sulle sovrastrutture algoritmiche che caratterizzano questo mondo, risultate poco etiche.

Ciò che si evince dalle parole degli intervistati, è soprattutto che i meccanismi che governano i social media siano mutati nel tempo. La nascita di queste piattaforme, com’è noto, è stata spinta dal desiderio di creare dei luoghi in cui le persone, gratuitamente, potessero fare networking e stringere relazioni superando confini geografici e non solo.

Il nome dello stesso “Facebook” prende spunto da un elenco costituito da nome e fotografia degli studenti, che alcune università statunitensi distribuiscono all’inizio dell’anno accademico per aiutare la socializzazione.

Tuttavia, nel corso degli anni, i presupposti su cui si fondano i social sono cambiati e sono diventati sempre più business-oriented e quindi stanno per raggiungere l’inevitabile status di paid media. Basti pensare che, oggigiorno, un’impresa che vuole raggiungere un numero consistente di utenti, deve necessariamente ricorrere alla sponsorizzazione dei contenuti poiché la portata organica è in continua diminuzione.

Ma per le imprese e in particolare quelle del lusso, ha senso continuare ad essere assoggettate ai capricci delle piattaforme social e ai loro continui tentativi di monetizzazione?

Continuiamo questa riflessione addentrandoci, ora, in due esempi concreti legati al rapporto tra digital e Fashion Luxury Brand.

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Luxury brand: gli occhiali da sole della maison italiana Dolce & Gabbana
Gli occhiali da sole della maison italiana Dolce & Gabbana

Dolce&Gabbana: la gaffe e la successiva fuga dai social media verificatasi nel 2018

Molti ricorderanno sicuramente la pubblicità di Dolce & Gabbana che raffigurava una ragazza cinese stereotipata che mostrava evidenti difficoltà a mangiare piatti italiani con le bacchette. Emblema di questa figuraccia, diventata un vero e proprio fenomeno sociale e di costume, è stato lo spot in cui la protagonista si ritrovava alle prese con un cannolo definito “troppo grande” per lei.

La conseguenza non è stata solo l’indignazione del popolo cinese, che ha dato vita a una grande campagna di boicottaggio, oltre che alla cancellazione di una sfilata che avrebbe dovuto tenersi a Shangai. Il caso ha assunto proporzioni ancora più grandi nel momento in cui DietPrada, celeberrimo account di moda di Instagram, ha pubblicato dei messaggi in cui Stefano Gabbana esprimeva opinioni offensive e molto razziste nei confronti del Paese del dragone.

Inizialmente lo stilista ha tentato di tamponare la situazione affermando di essere stato vittima di un’azione di hacking, poi ha deciso di scusarsi. Ma nel frattempo, le sue parole avevano già fatto il giro non solo di tutta l’Asia, continente di forte interesse dei brand del lusso, ma di tutto il mondo.

Non bastava certo una dichiarazione di pentimento per arginare un disastro simile!

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Il ritorno di D&G alla carta stampata: quali sono stati i veri motivi dietro questa decisione?

Nel 2019, l’azienda di alta moda italiana ha affermato di voler utilizzare solo la carta stampata come media per presentare la propria collezione P/E 2019.

Stefano Gabbana, per spiegare il motivo di tale decisione, ha affermato: “Utilizzare i media tradizionali in modo ancor più massiccio che in passato: ecco l’idea. Credo che nessun altro stia facendo qualcosa di simile. In un mondo sempre più globalizzato, esprimere la nostra unicità è diventato sempre più importante. Spiegare la nostra identità in questo modo è possibile solo attraverso la carta stampata: sfogliando le pagine di un giornale, a una a una, il punto di vista di ciascun fotografo si riconosce chiaramente, a colpo d’occhio. Se avessimo fatto un post, o lanciato una campagna digitale non sarebbe stata la stessa cosa”.

E ancora: “Per noi questo è il momento di tornare ai magazine, e anche ai giornali, di andare nella direzione opposta rispetto agli altri. Siamo un’azienda del lusso, ed esprimiamo il nostro valore attraverso un punto di vista unico. Nel 2019 la stessa cosa vale per i magazine. Mentre tutti sono sullo smartphone, comprare la carta stampata potrebbe sembrare un lusso. In realtà se ne ricava un punto di vista unico, preparato con cura e tempo. Per me è il momento del grande ritorno delle riviste: potere alla stampa!”.

Molti si sono interrogati, tuttavia, su quanto la figuraccia fatta dal brand nei mesi precedenti, amplificata sui social media, abbia influito su questa decisione. La scelta di affidare il lancio di una nuova campagna solo ai giornali, è infatti sembrata una ripicca o comunque un tentativo di ricorrere a mezzi su cui poter esercitare un maggiore controllo.

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Luxury brand: il negozio di Bottega Veneta in centro a Parigi
Il negozio di Bottega Veneta in centro a Parigi

Bottega Veneta e l’inaugurazione del nuovo anno con la scomparsa dai vari social media

Il 2021 è iniziato con una notizia che ha certamente sconvolto i comunicatori del fashion system: la scelta di Bottega Veneta di abbandonare i social network.

Un’azione improvvisa, che si è lasciata alle spalle una miriade di punti interrogativi da parte di addetti ai lavori, appassionati, clienti. Ma d’altronde, una scelta così disruptive non poteva certo passare in sordina e sicuramente non era quello lo scopo.

Andando a indagare più a fondo sulla questione, in realtà si scopre che Daniel Lee, direttore creativo di Bottega Veneta, non ha mai visto di buon occhio i Social Network. In un’intervista per Cultured Magazine aveva dichiarato, infatti: “Alle volte guardo Instagram ed i Social Media, ma credo che farlo troppo possa essere piuttosto pericoloso e dannoso per il processo creativo. Tutti che guardano la stessa cosa non è sano o produttivo. Non fermenta l’individualità”.

Ma c’è di più: se pensiamo a Bottega Veneta, ciò che distingue il brand dagli altri del settore è senza dubbio la mancanza di pattern o anche solo di un logo ben visibile sulle sue borse. Queste, infatti, sono note per il loro intreccio ormai iconico e distintivo. Il less is more, dunque, è sempre stato un elemento fondante dell’impresa, quindi la decisione di non utilizzare i social network in questo senso è risultata estremamente coerente.

E sappiamo che il silenzio spesso fa molto più rumore di una campagna strutturata, disseminata su una molteplicità di media differenti.

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Ma la nota azienda di Vicenza è davvero sparito dai social media e dai social network?

La verità, analizzando i dati emersi dopo la scelta di Bottega Veneta di cancellare i profili ufficiali sui propri social network, è che il brand è risultato dalle analisi comunque molto presente online.

Attualmente l’hashtag #bottegaveneta su Instagram racchiude oltre 2 milioni di contenuti, senza parlare di tutti i profili minori e i magazine che ne parlano: un vero e proprio microcosmo digitale!

Con la sua decisione, la maison vicentina ha solo voluto rimanere “dietro le quinte”, consapevole della forza che la fanbase e gli user generated content possiedono nel creare buzz attorno alle sue attività e ai suoi prodotti.

Il dietrofront dell’azienda e il ritorno sui social

Trascorso circa un mese, il brand è tornato sulle piattaforme che aveva precedentemente abbandonato e la spiegazione dopo tanto silenzio è arrivata direttamente da François-Henri Pinault, Ceo del gruppo Kering a cui Bottega Veneta fa capo.

Egli ha affermato: “La strategia di comunicazione di Bottega non è sparire dai social network, è piuttosto usarli in maniera differente. Bottega Veneta ha deciso, in linea con il suo posizionamento, di fare ancora più affidamento sui suoi fan e ambassador fornendo a loro il materiale di cui hanno bisogno per parlare del brand attraverso vari social network, lasciando parlare loro per il brand invece di farlo da solo”, ha proseguito il Ceo. “Devo dire che dopo un mese e mezzo è molto convincente in termini di visibilità per Bottega Veneta, lo stiamo monitorando costantemente”.

E in effetti, la differenza rispetto ai contenuti precedenti è evidente: gli scatti sono molto più spontanei, amatoriali e nelle foto (che risultano molto minimal e perlopiù con i prodotti in primo piano) compare quasi sempre il tag a un utente che li ha creati.

Non più quindi immagini estremamente patinate, come i canoni dell’industria fashion hanno sempre imposto, ma realistiche e dai toni lifestyle.

D’altronde, se ci pensiamo bene, la moda dovrebbe essere proprio questo: indossare capi e accessori in grado di esprimerci nella nostra quotidianità o in occasioni particolari. Ma sempre adattandoli alla nostra personalità.

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Luxury brand: uno dei più recenti profili Instagram di Bottega Veneta
Uno dei più recenti profili Instagram di Bottega Veneta

Quindi i brand del lusso come dovrebbero comportarsi nei confronti delle reti sociali?

Da questa lunga analisi del rapporto tra social media e Fashion Luxury brand emergono dei punti salienti che secondo noi saranno sicuramente i fondamenti dell’evoluzione futura di questo binomio:

  • Le regole rigide dei social media, in particolare gli algoritmi, portano inevitabilmente al conformismo. Il mondo del lusso non può permettersi di appiattirsi e di essere popolato da brand tutti uguali tra loro e che comunicano in maniera simile.
    I marchi di questa realtà hanno delle personalità molto forti, degli stili iconici e unici che meritano di emergere.
  • I social media assicurano una portata incredibile dei contenuti, ma si scontrano inevitabilmente con fattori socio-culturali che vanno tenuti in considerazione. Questo va contemplato soprattutto se si vuole approdare o rafforzare la propria presenza in mercati, come quello asiatico, con approcci e folclori differenti.
    Il crisis management è un aspetto che tutte le imprese, piccole o grandi che sia, devono saper gestire nel migliore dei modi e sicuramente il caso di D&G insegna che le parole hanno un peso. E nel caso dell’online restano e rischiano di minare l’immagine di un marchio storico per molto tempo (se non per sempre).
    E dalle dichiarazioni dei due founder della celeberrima maison italiana fatte a Il Corriere lo scorso anno, sembra che questa consapevolezza sia nata. Dolce, in particolare, ha affermato: “ho imparato a non esprimermi nel posto e nel momento sbagliato”.
    Che la lezione però sia stata davvero imparata e che non si tratti solo di parole di circostanza, lo capiremo solo osservando le prossime mosse della maison.
  • Le persone hanno bisogno di tornare a sentirsi essere umani, non numeri e algoritmi. Hanno bisogno di provare emozioni, di identificarsi in un brand, di sentirsi parte di una community.

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Luxury brand: una borsa di lusso all'interno di un elegante showroom alla moda
Una borsa di lusso all’interno di un elegante showroom alla moda

I luxury brand devono rimanere sui “social”, ma mettendosi in gioco con genuinità e rispetto

Quello che risulta più evidente dalle considerazioni fatte prima, è che i brand non devono abbandonare i social media, perché ormai sono parte integrante dell’esperienza di ricerca, ma anche di acquisto (basti pensare alla crescente diffusione del social selling) degli utenti.

Devono però rimanere su queste piattaforme cambiando approccio, avendo il coraggio di rafforzare la propria identità, a volte anche andando contro gli algoritmi. Ogni contenuto deve essere pensato per raggiungere elevati standard qualitativi ed emozionali, ma il tutto in maniera genuina. E questo è possibile se ci si mostra disposti a rinunciare a quell’attitude patinata che forse una volta era un vero fattore di attrazione, ma che oggi nelle preferenze degli utenti è stato sostituito dalla spontaneità.

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