Uno studio sull'Olivina, la "migliore amica" dei... diamanti
I geologi dell’ETH hanno scoperto un nuovo metodo per stimare la presenza di diamante nella kimberlite: dipende tutto dalla chimica
I diamanti sono i migliori amici delle ragazze, cantava la diva Marylin nel film del 1953 “Gli uomini preferiscono le bionde”, ma sono anche dannatamente difficili da trovare.
Si stima che per ottenere un carato di diamanti, corrispondente a 0,2 grammi, sia necessario estrarre almeno 3 tonnellate e mezzo di roccia. Ma i geologi del Politecnico di Zurigo e dell’Università di Melbourne hanno scoperto un nuovo strumento per stabilire la probabilità di trovare diamanti studiando la composizione chimica della kimberlite, la “roccia madre” delle preziose gemme.
Il team di ricerca di Andrea Giuliani, dell’Istituto di Geochimica e Petrologia dell’ETH, ha scoperto che anche i diamanti hanno un migliore amico: si tratta dell’olivina, il minerale verde che costituisce circa la metà della kimberlite.
Secondo i risultati dello studio, che ha subito sollevato un grande interesse da parte degli addetti ai lavori, la presenza di diamanti nella roccia è direttamente collegata alla composizione chimica dell’olivina. E il metodo dell’olivina è molto più semplice e veloce di quelli tradizionalmente in uso.
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Nulla è difficile come trovare un diamante
“Non esiste un metodo che garantisca di trovare diamanti”, spiega Andrea Giuliani, Senior Scientist presso l’Istituto di Geochimica e Petrologia del Politecnico di Zurigo, “nulla è così complicato come trovare ed estrarre diamanti”.
Il più duro dei minerali conosciuti è anche tra i più difficili da trovare: le pietre preziose di carbonio purissimo hanno impiegato milioni di anni a formarsi, e sono rarissime. I diamanti, inoltre, hanno origine nel mantello della Terra, a una profondità stimata di oltre 150 chilometri: se non fosse per la kimberlite, la roccia magmatica che li ingloba e li porta in superficie tramite i condotti vulcanici, forse non sapremmo neanche della loro esistenza.
Il professor Giuliani studia la formazione dei diamanti dal 2015, quando era ancora all’Università di Melbourne, e ha analizzato un’enorme quantità di campioni di kimberlite, una roccia nero-bluastra che è rara quasi quanto le preziose gemme che trasporta.
Essa si trova infatti soltanto su blocchi continentali molto antichi, rimasti geologicamente immutati per miliardi di anni. “Cercare una kimberlite è come cercare un ago in un pagliaio“, spiega il ricercatore oggi in riva alla Limmat, “una volta che l’hai trovata, allora inizia davvero l’ardua ricerca di diamanti“.
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Dove c’è ferro non ci sono diamanti: lo studio
Andrea Giuliani e i suoi colleghi dell’ETH hanno appena sviluppato un metodo che potrebbe semplificare di molto la ricerca di depositi di diamanti: il processo, descritto in uno studio pubblicato su Nature Communication, si basa sulla composizione chimica delle kimberliti. Queste rocce, infatti, sono costituite circa per metà di olivina, un minerale composto in proporzioni variabili di ferro e magnesio che si è scoperto essere un ottimo alleato nella ricerca dei diamanti.
Ebbene, i ricercatori hanno scoperto che esiste una chiara relazione tra la composizione dell’olivina e la presenza di diamanti: “Nei campioni di roccia in cui l’olivina era molto ricca di ferro, non c’erano diamanti o ce n’erano pochissimi“, spiega Giuliani.
I ricercatori sono giunti a tale conclusione transitando per un approccio complementare a quello tradizionale: invece di valutare il potenziale diamantifero delle kimberliti basandosi sulla valutazione delle litologie più adatte e delle condizioni di pressione e temperatura dei minerali, hanno trovato la soluzione a partire dall’analisi di un particolare fenomeno che “distrugge” i diamanti, il metasomatismo.
Si tratta di un processo di trasformazione chimica delle rocce che avviene a seguito dell’interazione con fluidi di origine magmatica o metamorfica, durante il quale alcuni minerali vengono letteralmente sostituiti, in maniera totale o parziale, da altri composti.
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Olivina e diamanti: cosa avviene in profondità?
Gli scienziati hanno esaminato gli effetti del metasomatismo sui diamanti, e hanno scoperto che l’olivina diventa più ricca in ferro nel punto in cui la fusione penetra nel mantello e cambia la composizione delle rocce in maniera significativa, processo che avviene proprio alle profondità in cui si formano i diamanti.
Le infiltrazioni che rendono l’olivina più ricca in ferro, spiegano gli scienziati, distruggono anche i diamanti. Al contrario, se nel mantello litosferico penetra solo una piccola quantità di fluido (e quindi non si verifica alcun metasomatismo), l’olivina contiene più magnesio. E, in quel caso, ci sono i diamanti.
“Il nostro studio dimostra che i diamanti rimangono intatti soltanto quando le kimberliti trascinano verso l’alto frammenti di mantello che non hanno interagito estensivamente con la fusione precedente“, spiega Giuliani.
Il punto è che le kimberliti raramente raggiungono la superficie in un unico movimento, il più delle volte si tratta di un processo lungo che può ripetersi anche diverse volte: le kimberliti iniziano a salire come massa liquida, raccolgono frammenti di mantello lungo il percorso, si raffreddano e si fermano. “Si tratta di un vero e proprio processo di fusione, risalita e solidificazione”, spiega il ricercatore italiano, “e questo ha un effetto distruttivo sui diamanti”.
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De Beers sta già usando il metodo dell’olivina
Come si legge nello studio, “l’alta densità di diamante nelle kimberliti di tutto il mondo è associata in maniera esclusiva all’olivina ad alto tenore di magnesio, che corrisponde alla litosfera del mantello minimamente interessata dal metasomatismo legato alle kimberliti”. Insomma, la geochimica dell’olivina è uno strumento più che valido per la ricerca di diamanti.
L’analisi dell’olivina è affidabile quanto i precedenti metodi di prospezione, che si basano principalmente sui minerali clinopirosseno e granato, ma è un metodo più semplice e veloce: bastano poche analisi per avere un’idea della presenza o meno di diamanti in un determinato giacimento di kimberlite.
“Il bello di questo nuovo metodo non è solo che è più semplice, ma anche che ci permette finalmente di capire perché i metodi precedenti funzionavano“, dice ancora Giuliani.
“De Beers sta già utilizzando questo inedito sistema“, conclude il Professore. Il grande produttore di diamanti, che opera in 35 Paesi e le cui miniere trovano posto in Australia, Canada, Sud Africa, Namibia e Botswana, che aveva fornito alcuni campioni di kimberlite per lo studio, si è dimostrato abbastanza interessato alla scoperta da co-finanziare la ricerca insieme alla Swiss National Science Foundation.
Il metodo dell’olivina, così efficace nell’indirizzare le ricerche di diamanti nei giacimenti primari di kimberlite, potrebbe risparmiare l’estrazione di tonnellate di rocce: un grande vantaggio per i produttori ma anche un sollievo per questo usurato pianeta.
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