I rivoluzionari sensori che possono risparmiare milioni di batterie
Una rete neurale meccanica: i ricercatori dell’ETH hanno sviluppato un sensore fononico zero-energy che è in grado di distinguere le parole
I sensori dei dispositivi medici e quelli usati per il monitoraggio delle infrastrutture richiedono energia costante, che viene generalmente fornita da flotte di batterie destinate ad esaurirsi ed essere sostituite: secondo un recente studio dell’Unione Europea, entro il 2025 trasformeremo in rifiuti circa 78 milioni di accumulatori al giorno.
Considerando la crescente richiesta di dispositivi always-on, dovuta in parte al massiccio ricorso a deep learning e applicazioni IA per controllo e monitoraggio, trovare una soluzione alternativa ai sensori a batteria è una questione sempre più urgente.
Una sperimentazione molto promettente in tal senso arriva da un gruppo di ricercatori del Politecnico di Zurigo guidato da Marc Serra-Garcia e dal professore di geofisica dell’ETH Johan Robertsson: il team ha sviluppato un sensore meccanico completamente passivo, in grado di eseguire task di deep learning senza consumare energia.
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Sensori always-on senza batterie: lo studio
Un gruppo di ricerca del Politecnico di Zurigo ha appena pubblicato su “Advanced Functional Materials” uno studio in cui si descrive il funzionamento di un nuovissimo sensore che potrebbe rivoluzionare il mondo dei dispositivi integrati alimentati a batteria, come impianti medici e smart device basati sull’IA.
I sistemi di monitoraggio installati su edifici e infrastrutture, i dispositivi medici e quelli IoT sottomarini che misurano temperatura e CO2 nelle acque dell’oceano richiedono energia costante per poter funzionare. Al momento, a fornire questa energia sono per lo più delle batterie che, secondo un recente studio dell’UE, hanno una durata media due anni (o meno).
Secondo l’indagine del progetto di ricerca EnABLES, questo richiederà negli anni a venire la produzione di centinaia di milioni di batterie ogni anno: se non si lavora per allungare il lifespan delle batterie, si legge nello studio, “entro il 2025 getteremo ne via ogni giorno circa 78 milioni ”, considerando soltanto quelle che alimentano dispositivi IoT.
Allungare la vita delle batterie è senz’altro una soluzione, ma c’è anche chi persegue l’ambizioso progetto di eliminare del tutto l’uso delle batterie per dispositivi intelligenti always-on: è il caso del team di ricercatori dell’ETH guidato da Marc Serra-Garcia e Johan Robertsson, che ha recentemente sviluppato (e brevettato) il primo sensore fononico passivo capace di eseguire task di machine learning.
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Il sensore fononico, una rete neurale meccanica
Il sensore fononico sviluppato dai ricercatori ETH è un complesso calcolatore meccanico in grado di attivarsi e riconoscere i suoni in maniera analogica e completamente passiva grazie alla sua particolare struttura. Perciò, spiega Serra-Garcia, “è costituito esclusivamente da silicio e non contiene né metalli pesanti tossici né terre rare, come fanno i sensori elettronici convenzionali”.
Questa rete neurale meccanica, così viene descritta nel paper, è composta da decine di piastre microstrutturate identiche o simili, collegate tra loro da minuscole barrette di collegamento che funzionano da molle e sono collegate a degli attuatori piezoelettrici.
Per sviluppare il complesso design delle micro-piastre (si parla di un wafer in silicio da 380 µm), i ricercatori hanno utilizzato modelli computerizzati e algoritmi che hanno definito equilibri e geometrie delle micro-strutture del meta-materiale. Il risultato è un computer analogico capace di eseguire task di apprendimento automatico e ottenere un’accuratezza superiore al 90 per cento in termini di classificazione binaria.
L’evento innescante, quello che converte lo stimolo in segnale elettrico, è il suono. O meglio, sono le singole parole pronunciate da un essere umano: il sensore fononico sviluppato nei laboratori dello Switzerland Innovation Park Zurich di Dübendorf non si limita a filtrare i suoni, ma si concentra sull’elaborazione passiva di eventi complessi.
Una rete neurale composta da 81 elementi, si legge nella domanda di brevetto, è capace di distinguere tra le singole parole di attivazione (ad esempio, “tre” e “quattro”).
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Il sensore zero-power che sa distinguere le parole
I dispositivi intelligenti come i contapassi e i pacemaker hanno il compito di rilevare un evento innescante convertendo lo stimolo in segnale elettrico. L’attività di rilevamento, però, comporta il consumo di energia anche quando i dispositivi sono in stand-by.
La rete neurale meccanica sviluppata all’ETH, al contrario, può rilevare uno specifico evento in maniera completamente passiva, con un consumo energetico pari a zero.
La risposta del sensore è innescata dalla potenza dello stimolo in ingresso: una volta rilevato l’evento, la risposta utilizza l’input energetico per alimentare un circuito elettrico: “Il sensore funziona in modo puramente meccanico e non richiede una fonte di energia esterna”, spiega il professor Johan Robertsson, “utilizza semplicemente l’energia vibrazionale contenuta nelle onde sonore”.
Ogni volta che viene pronunciata una determinata parola o viene generato un tono o un rumore particolare, le onde sonore emesse fanno vibrare il sensore. Questa energia è quindi sufficiente per generare un minuscolo impulso elettrico che accende un dispositivo elettronico spento.
Il prototipo sviluppato a Dübendorf nel Canton Zurigo può distinguere tra le parole pronunciate “tre” e “quattro”: poiché la parola “quattro” ha più energia sonora che risuona con il sensore rispetto alla parola “tre”, fa vibrare il sensore, mentre “tre” no.
Ciò significa, spiegano gli scienziati, che la parola “quattro” può essere usata per accendere un dispositivo o innescare ulteriori processi, mentre pronunciando “tre” non succede nulla.
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Serra-Garcia: un prototipo solido entro il 2027
Le varianti più recenti del sensore, spiegano i ricercatori, dovrebbero essere in grado di distinguere fino a dodici parole diverse e saranno molto più piccole rispetto al prototipo brevettato, che è grande quanto un palmo di mano: come spiegano gli studiosi, l’obiettivo è quello di miniaturizzare la tecnologia.
I potenziali casi d’uso per i rivoluzionari sensori senza batteria includono il monitoraggio dei terremoti e degli edifici: potrebbero essere utilizzati per registrare l’energia delle onde o per rilevare il momento in cui si sviluppa una crepa nel cemento.
C’è interesse anche per quanto riguarda il monitoraggio dei pozzi petroliferi dismessi, spiegano gli autori dello studio: il gas che fuoriesce dai pozzi produce un sibilo caratteristico, e un sensore di questo tipo potrebbe rilevarlo senza consumare costantemente elettricità.
Serra-Garcia vede anche applicazioni nei dispositivi medici, come gli impianti cocleari, che richiedono un’alimentazione permanente per l’elaborazione del segnale tramite batterie piccolissime da sostituire ogni 12 ore.
“C’è un grande interesse per i sensori a energia zero anche nell’industria”, aggiunge Serra-Garcia, che oggi lavora all’AMOLF, nei Paesi Bassi.
L’obiettivo del suo team è quello di lanciare un prototipo solido entro il 2027: “Se entro allora non saremo riusciti ad attirare l’interesse di nessuno”, conclude il ricercatore, “potremmo fondare la nostra start-up”.
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