Le sorprese della chimica: così i rifiuti in plastica diventano sapone

La scienza per l’upcycling creativo dei prodotti derivati del petrolio: al Virginia Tech College of Science si genera detersivo dal polietilene

La chimica al servizio del pianeta: i rifiuti in plastica diventano sapone
Il Dottor Guoliang “Greg” Liu mostra un comune contenitore in plastica nel suo laboratorio nell’ala Hahn Hall South del Virginia Tech College of Science (Foto: Steven Mackay / Virginia Tech)

L’inquinamento da plastica continua ad aumentare in maniera esponenziale, asfissiando gli oceani e penetrando le risorse del pianeta fin dentro i tessuti dei suoi organismi viventi.

Abbiamo trovato tracce di microplastiche ovunque: nella neve dell’Everest, nell’acqua che beviamo, all’interno dei corpi degli animali marini e terrestri, umani compresi.

Una delle sfide cruciali della scienza, oggi, è quella di trovare il modo per trasformare le enormi quantità di rifiuti in plastica che produciamo in qualcosa di utile: una questione che chiama in causa soprattutto la chimica, e la possibilità di scomporre le complesse molecole che formano le plastiche per costruire nuovi composti.

Mentre all’Università della California si lavora sull’upcycling delle poliolefine, un team di ricercatori del Virginia Tech College of Science ha messo a punto un metodo molto efficace per trasformare i rifiuti di plastica in tensioattivi, composti chimici di alto valore in uso nella produzione di saponi, detergenti e altri prodotti d’uso comune.

Sostenibilità dell’industria mineraria: una sfida sempre più urgente
Inquinamento da microplastiche: la soluzione viene dalle piante

Riciclo e upcycling della plastica: e se diventasse sapone?
Il professore associato Guoliang Liu e lo studente Zhen Xu al lavoro sulla degradazione dei rifiuti in polistirene (Foto: Reilly Henson / Virginia Tech)

Riciclo della plastica e upcycling: un problema risolvibile dai chimici

Se pensiamo al riciclo del metallo, è difficile avere dubbi su come avvenga o sull’efficacia dei processi di riciclo. Quando si parla di plastica, però, il discorso inevitabilmente cambia: ogni composto ha le sue caratteristiche e richiede uno specifico processo di recupero, che spesso si rivela molto costoso.

Un esempio in tal senso è dato dal polistirene, o polistirolo, un polimero d’uso largamente diffuso ma che viene riciclato molto raramente, perché il prodotto finale che si ottiene è di di qualità troppo scarsa per garantire una sostenibilità economica agli impianti di riciclo.

La chimica dei polimeri, però, fa passi da gigante. E un team di chimici del Virginia Tech, guidato dal professor Guoliang “Greg” Liu, ha sviluppato un innovativo metodo di upcycling del polistirene.

Tramite esposizione alla luce ultravioletta e aggiunta di catalizzatori chimici, i “mattoncini” del polistirene danno vita a un composto di tutto rispetto, il DPM o difenilmetano.

Dai rifiuti in polistirolo, quindi, è possibile creare un materiale utilissimo, usato abitualmente come reagente nelle sintesi organiche di coloranti e farmaci e come fragranza in profumi e prodotti per l’igiene.

Lo studio sull’upcycling del polistirene risale al 2022, ma la ricerca del dottor Liu non si è fermata: oggi, a distanza di un anno, la missione di trasformare i rifiuti in plastica in una risorsa prende un piega ancora più interessante.

Gli inquinanti plastici possono diventare l’ingrediente principale per la sintesi di tensioattivi, sostanze che sono alla base di detergenti e saponi sin dai primi esperimenti con olefine e solfonazioni da cui nacque, negli Anni Cinquanta, l’industria dei prodotti per la casa.

Fibre ottiche a nucleo liquido per innalzare la conduttività
La Green Chemistry al servizio delle imprese: il progetto in Italia

Riciclo e upcycling della plastica: dai rifiuti al sapone
Un impianto di riciclo della plastica: grazie alla chimica: i rifiuti possono essere trasformati in sostanze utili e con un buon valore commerciale (Foto: Envato)

Riciclo della plastica: perché proprio il sapone anziché altre sostanze?

I tensioattivi sono sostanze che abbassano la tensione superficiale dei liquidi o la tensione interfacciale tra liquidi, tra liquido e gas oppure tra un liquido e un solido. Trovano utilizzo come emulsionanti, agenti bagnanti, schiumogeni o solventi in prodotti come vernici, adesivi, inchiostri, dentifrici, insetticidi e ovviamente detersivi e saponi di ogni tipo.

Il mercato dei tensioattivi, nel 2023, si aggira sui 19 milioni di tonnellate prodotte a livello globale, e secondo l’ultimo report di Mordor Intelligence la richiesta di tali composti è destinata a salire, entro il 2028, a oltre 21 milioni di tonnellate.

Quello di riuscire a produrre tensioattivi a partire da polietilene e polipropilene, che costituiscono buona parte dei rifiuti in materiali plastici (dal packaging alle fibre dei tessuti), è un progetto ambizioso che ha buone speranze di diventare una pratica affermata e contribuire alla salute del pianeta.

Il concetto alla base è semplice: affinché riciclo e upcycling siano efficaci su vasta scala, il prodotto finale dev’essere abbastanza redditizio da coprire i costi dei processi e risultare economicamente attrattivo.

I saponi possono non sembrare un prodotto di gran valore, eppure hanno un costo medio tre volte superiore a quello della plastica (3.550 dollari per tonnellata metrica contro 1.150) e livelli di domanda del tutto paragonabili a quelli dei prodotti plastici.

Robot liquidi come… cellule per esplorare ambienti estremi
Una pericolosa nevicata di plastica sulle Alpi austriache e svizzere

Sapone dai rifiuti in plastica: una nuova era per il riciclo
La chimica al servizio del pianeta: il modo in cui spezzare una catena di polimeri può contribuire a combattere l’inquinamento (Foto: Envato)

Polietilene e acidi grassi: quella sorprendente connessione molecolare…

Uno degli aspetti più interessanti del nuovo metodo di upcycling messo a punto nei laboratori del Virginia Tech è che può essere utilizzato per trattare polietilene e polipropilene in uno stesso processo, senza la necessità di separare i due polimeri prima di inserirli nella filiera del riciclo.

Tutto dipende dalla struttura molecolare. “Plastica e sapone hanno poco in comune per quanto riguarda la composizione, l’aspetto e il modo in cui vengono usati“, spiegano i ricercatori del Virgina Tech, “ma tra i due c’è una connessione sorprendente a livello molecolare”.

La struttura chimica del polietilene, in particolare, è incredibilmente simile a quella degli acidi grassi, che vengono comunemente usati come precursori per produrre il sapone. Entrambi sono costituiti da lunghe catene di carbonio, spiegano i ricercatori, ma gli acidi grassi hanno un gruppo extra di atomi alla fine della catena.

Nella mente del dottor Guoliang “Greg” Liu, professore associato di chimica al Virgina Tech College of Science, questa somiglianza poteva indicare la via di una possibilità ancora inesplorata: trasformare le molecole di polietilene in acidi grassi e, tramite un altro processo, in sapone.

La sfida, quindi, era quella di trovare un modo efficiente per spezzare una lunga catena di polietilene in tante catene della giusta lunghezza. E la soluzione, semplice ed efficiente oltre ogni aspettativa, esiste: come racconta Liu, l’ispirazione è arrivata in una serata d’inverno di fronte al camino.

Transistor stampati su carta o film di PET? La Svizzera c’è quasi…
Quei difetti nei semiconduttori utili ai supercomputer quantistici

Un pallone contenente le cere generate dai rifiuti in polietilene e polipropilene viene riscaldato in un bagno d’olio: le cere si ossidano per produrre acidi grassi tramite ossidazione catalitica (Foto: Steven Mackay / Virginia Tech)

“Spezzare” il polietilene: così l’ispirazione arrivata da un camino acceso

Liu era convinto che l’accoppiata polietilene-acidi grassi avesse il potenziale per trasformare i rifiuti in plastica in un prodotto utile e con un buon valore di mercato. Una sera, guardando il fumo salire dal focolare acceso, ha pensato alla chimica del fumo, a come fosse formato da piccole particelle prodotte dalla combustione del legno.

Cosa succederebbe se si potesse “bruciare” il polietilene in laboratorio? La combustione incompleta produrrebbe una sorta di fumo, come avviene al legno? E di cosa sarebbe composto questo fumo? Sono state queste domande, sorte davanti al fuoco acceso nel camino, a dare uno slancio decisivo alla ricerca di Liu sull’upcycling della plastica.

Il legno da ardere è costituito essenzialmente da polimeri come la cellulosa”, spiega Liu, “la combustione rompe questi polimeri in catene più corte e poi in molecole gassose, fino alla completa ossidazione in anidride carbonica”.

Se spezziamo le molecole sintetiche di polietilene in modo simile, interrompendo il processo prima che diventino piccole particelle gassose”, questa l’illuminazione, “allora dovremmo ottenere delle molecole a catena corta simili al polietilene”.

Nei laboratori di Virginia Tech è stato quindi costruito un piccolo reattore simile a un forno, capace di riscaldare il polietilene in un processo chiamato termolisi, o degradazione termica.

Il materiale residuo raccolto alla fine dell’operazione era esattamente quello che Liu sperava di trovare: la poltiglia scura risultante era composta da “polietilene a catena corta”, ovvero da cere. A partire da qui è nato il primo sapone del mondo ottenuto dai rifiuti in plastica.

In 3D il guanto tecnologico che renderà tangibile la Realtà Virtuale
Quelle reazioni su una base d’oro pioniere di una “nuova chimica”

Riciclo e upcycling della plastica: così si può trasformare in sapone
Eric Munyaneza, tra gli autori dello studio pubblicato su “Science”, e Gouliang Liu preparano i materiali plastici che diventeranno un liquido a base di acidi grassi (Foto: Steven Mackay / Virginia Tech)

Riciclo e upcycling della plastica: è la stagione delle soluzioni creative

La nostra ricerca illustra una nuova strada per l’upcycling della plastica”, spiega Zhen Xu, studente e primo autore della ricerca pubblicata su “Science”. “In questo lavoro abbiamo mostrato il potenziale di una nuova strategia per il riciclo della plastica”, ha aggiunto, “sperando che questo risultato possa essere d’ispirazione per lo sviluppo di progetti più creativi per il riciclo in futuro”.

Il nuovo metodo non necessita di procedure complesse o di nuovi catalizzatori: tutto quel che serve è plastica e calore. Anche se è chiaro che per trasformare le molecole di cera in acidi grassi e poi in sapone ci vorranno altre risorse, il processo iniziale si è dimostrato molto semplice. Un ottimo punto di partenza per lo sviluppo di un metodo di riciclo efficiente e sostenibile, anche in termini di costi.

La speranza, spiega il dottor Liu, è che grazie alla chimica un giorno i consumatori possano aspettarsi di poter scegliere un “rivoluzionario sapone sostenibile che aiuta anche a svuotare le discariche dai rifiuti in plastica”, e non soltanto nell’opulento Occidente.

Dovremmo renderci conto che l’inquinamento da plastica non è un problema di pochi Paesi, ma una sfida globale”, spiega Xu, “rispetto a sofisticati processi e catalizzatori o reagenti complessi, un metodo così semplice potrebbe rivelarsi accessibile in tantissimi Paesi del mondo”.

Chimica e moda: quando è tutta una questione di… stoffa
Plastica e chimica: tutti i contorni di una relazione… “pericolosa”

Chimica, una nuova stagione per il riciclo: sapone dai rifiuti in plastica
Il dottor Guoliang Liu e il suo studente Zhen Xu parlano della sostanza intermedia prodotta nel nuovo processo di riciclo del polistirene (Foto: Reilly Henson / Virginia Tech)