Chimica e moda: quando è tutta una questione di... stoffa
Uno studio dell'Università di Pisa sulle materie prime e la conservazione dei tessuti che hanno fatto la storia dello stile e del design italiani
La collezione Torchon, abiti da viaggio plissettati e comprimibili, 1986 (Foto: Archivio Nanni Strada)Alcune delle pietre miliari dell’Archivio Nanni Strada sono state al centro di uno studio del Dipartimento di Chimica e Chimica Industriale dell’Università di Pisa, pubblicato negli atti del congresso “The Plastics Heritage”, tenutosi a Napoli nell’ottobre del 2022.
Protagonisti della ricerca tre abiti storici dell’archivio della fashion designer milanese, che sono stati analizzati allo scopo di comprendere i meccanismi di deterioramento dei tessuti. Per conservare il fragile patrimonio della moda italiana sono necessarie soluzioni specifiche per la salvaguardia delle fibre sintetiche e semi-sintetiche, alla cui diffusione si devono la massificazione della moda, ma anche le sperimentazioni che hanno fatto al storia del fashion design.
“Le informazioni sulle cause specifiche del degrado dei tessuti sintetici, che comportano la perdita sia della coesione dei materiali che del colore, sono ancora oggi molto limitate”, spiega Nanni Strada.
“Studiare il comportamento delle fibre tessili sintetiche nel tempo e le loro interazioni con l’ambiente è fondamentale per impostare adeguati piani di conservazione per tessuti di design, costumi di scena e collezioni di moda”.
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Chimica e moda, un matrimonio lungo quasi cent’anni
Viscosa, acrilico, Helanca, triacetato: la moda degli ultimi quarant’anni è una storia che parte dalla filatura dei polimeri. A ben vedere, fu proprio grazie all’emergere delle fibre artificiali che la moda divenne per tutti, trasformandosi gradualmente in tendenza. La “magia della plastica” conquistò il tessile, la produzione divenne enormemente più economica e le mode iniziarono a entrare nelle case della classe media, ispirate dall’età d’oro di Hollywood.
Le calze in nylon sono soltanto un esempio della rivoluzione scatenata dall’avvento delle fibre artificiali. Considerati un manifesto di modernità (e immoralità) fino agli Anni Sessanta, i tessuti prodotti con fibre sintetiche o artificiali si trasformarono ben presto in una nuova normalità, fatta di camicie in Helanca e di tute in triacetato.
Le prime fibre sintetiche, tra cui nylon e acetato, furono prodotte a partire dagli anni Quaranta. A metà degli Anni Settanta, la grande moda era già dominata da filati coloratissimi ed elasticizzati, ispirazioni esotiche e sperimentazioni di ogni genere.
L’esperienza di Nanni Strada, fashion designer milanese premiata con il Compasso d’Oro nel 1979, si inserisce in questo contesto come un’avanguardia pionieristica, che sfugge alle regole sartoriali e alle stagioni tipiche dello stilismo. Sono passati circa cento anni dall’invenzione del fulmicotone, la prima fibra artificiale, e la sperimentazione con i nuovi filati è appena iniziata.
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Nanni Strada: la moda pensata come ricerca trasversale
Le creazioni di Nanni Strada sono il frutto di una ricerca trasversale in costante dialogo con il mondo della produzione, dell’innovazione tecnologica e della sperimentazione industriale, in cui la moda non può fare a meno delle acquisizioni del design industriale e dell’architettura.
Fin dagli anni Settanta, l’esperienza creativa di Nanni Strada si concentra su nuovi processi tecnologici e sull’impiego di materiali non convenzionali. Quando le conferì il Compasso d’Oro alla Carriera nel 2018, l’ADI sottolineò la “ricerca costante su materiali e tecniche d’avanguardia, unita alla personale intuizione di un linguaggio capace di rappresentare le nuove istanze di un mondo globalizzato nei bisogni, ma anche nei desideri”.
Mentre l’abito diventava un elemento puro da abitare con l’eleganza del gesto e capace di veicolare “una visione moderna che tiene conto degli aspetti di salute e libertà di comportamento” (Confronta, Nanni Strada, “Lezioni. Moda-design e cultura del progetto”, 2013), i polimeri si presentavano come un nuovo mondo di possibilità inesplorate.
Ne sono un perfetto esempio i tre abiti di Nanni Strada al centro della ricerca del Dipartimento di Chimica e Chimica Industriale dell’Università di Pisa: “Il Manto” (1973), abito-mantello tagliato in un unico pezzo di tessuto senza scarti, “La Pelle” o “Pantysol” (1973), il primo abito al mondo senza cuciture, e “Amazonica” (1976), prodotto in tessuto non tessuto Dupont e stampato a getto d’inchiostro.
La ricerca, presentata nel corso del congresso “The Plastics Heritage 2022”, analizza i tre abiti affrontando il complesso mondo dei materiali multicomponenti moderni per individuare le cause del deterioramento dei tessuti e sviluppare nuovi sistemi per la tutela del patrimonio tessile del Made in Italy (e non solo).
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Chimica dei tessuti per la conservazione della moda: lo studio
Come sottolinea Barbara Ferriani, conservatrice esperta di materiali contemporanei che ha collaborato allo studio, “questi esemplari storici del fashion design presentano sfide di conservazione specifiche e senza precedenti“. La salvaguardia di questo patrimonio è una questione che deve essere affrontata “valutando i processi di degrado e sviluppando pratiche mirate di restauro e conservazione preventiva”.
“Per raggiungere questo obiettivo”, aggiunge la professoressa Francesca Modugno dell’Università di Pisa, “sono necessari strumenti analitici in grado di caratterizzare i materiali polimerici multicomponenti moderni e di indagarne i fattori di rischio e le cause del degrado”.
I campioni prelevati dai tre abiti sono stati analizzati attraverso metodi di spettroscopia, pirolisi analitica, cromatografia e spettrometria di massa per indagare la composizione e il comportamento delle fibre sintetiche utilizzate negli anni Settanta.
Il Manto, tra i progetti che valsero alla designer milanese il Compasso d’Oro nel 1979, mostrava per esempio “un certo grado di ingiallimento causato dall’esposizione alla luce”, più evidente sul lato esposto del capo.
La Pelle, il primo abito realizzato con la tecnologia poli tubolare in uso per la produzione di collant, mostrava invece “un irreversibile stiramento dovuto a un’estate particolarmente calda durante la quale l’abito era in mostra a Milano”.
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Per quanto riguarda Il Manto, il campione prelevato è risultato essere composto, tra le altre cose, di poliuretano e poliestere: l’ingiallimento, si legge nello studio, è probabilmente correlato all’idrolisi della frazione poliuretanica applicata sopra al tessuto principale, usata per impermeabilizzare l’indumento.
Come suggerito dallo spettro infrarosso, il poliuretano si trova “in uno strato sottile sopra il tessuto in poliestere, il che spiega come mai il lato esposto del capo sia più degradato del rovescio”.
Nel caso de La Pelle, la perdita di elasticità va invece attribuita alla foto-ossidazione della catena poliammidica e all’influenza delle molecole del colorante azoico giallo sulla temperatura di transizione vetrosa, quella a cui un polimero amorfo passa dallo stato rigido a quello morbido e viceversa.
Per chiarire completamente le cause del deterioramento del primo abito al mondo senza cuciture, però, saranno necessari ulteriori indagini tramite calorimetria differenziale a scansione (DSC).
“I risultati dello studio”, spiega la professoressa Ilaria Degano dell’Università di Pisa, “contribuiranno a una migliore conoscenza delle proprietà chimiche dei tessuti e al loro comportamento nel tempo e a pianificare strategie di conservazione”.
“Migliorare la comprensione delle proprietà chimico-fisiche e dei processi di degradazione delle fibre sintetiche e degli strumenti analitici per la loro valutazione”, continua Degano. “È un risultato trasferibile e vantaggioso anche per la tecnologia tessile industriale contemporanea e gli studi ambientali legati all’inquinamento da microfibre sintetiche”.
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by Alberto NicoliniEditore di distrettobiomedicale.it, BioMed News e Radio Pico