Cosa contengono davvero gli inchiostri per tatuaggi? Lo studio
I colori per la dermopigmentazione sotto la lente degli scienziati USA: oltre l’80 per cento contiene sostanze non riportate in etichetta...
Quando si decide di fare un tatuaggio, raramente si pone l’attenzione agli inchiostri. Una volta scelti i colori da applicare sottopelle, il problema sembra risolto. Secondo una recente ricerca dell’Università di Binghamton, però, gli inchiostri per tatuaggi potrebbero nascondere delle sorprese.
In base alle analisi eseguite dal team del Professor John Swierk, in oltre l’80 per cento dei casi gli ingredienti presenti all’interno degli inchiostri non corrispondono a quelli riportati nelle etichette. Non si sa se questi ingredienti siano aggiunti consapevolmente dai produttori o finiscano nei composti per contaminazione o errori dovuti all’etichettatura: in ogni caso, come dimostra lo studio, la questione sulla sicurezza dei tatuaggi è ancora decisamente aperta.
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I tatuaggi sono (ancora) rischiosi? Lo studio di Binghamton
I tatuaggi hanno un’origine antichissima: segni di iscrizioni terapeutiche sono state trovate sui corpi tumulati nelle sepolture di Pazyryk, datate tra il IV e il III secolo avanti Cristo, e su quello della celebre Principessa Ukok, o Principessa di Altai, risalente al 500 avanti Cristo, che reca eleganti e complessi tatuaggi sulla spalla, sul braccio e sul ventre. Ben noti già nell’antico Egitto, i tatuaggi furono banditi da Roma dall’imperatore Costantino a seguito della conversione al Cristianesimo.
Il costume di decorare la pelle con punti d’inchiostro, tornato a far parlare di sé nell’Ottocento a seguito della teoria di Cesare Lombroso (che ovviamente lo associava alla personalità delinquenziale), è esploso alla fine del ventesimo secolo fino a diventare una moda estremamente diffusa e decisamente trasversale.
Secondo una recente indagine, il 46 per cento dei cittadini americani possiede almeno un tatuaggio: in Italia, il Paese più tatuato del mondo, la percentuale raggiunge il 48. Nonostante la lunga storia e la grande diffusione del fenomeno, però, gli inchiostri per tatuaggi non possono ancora contare su una regolamentazione adeguata, almeno negli Stati Uniti.
Il team del Professor John Swierk, che dirige un gruppo di ricerca in chimica inorganica all’Università di Binghamton, si occupa della questione ormai da qualche anno, e ha da poco pubblicato un nuovo studio per alcuni versi allarmante: secondo la ricerca, oltre l’80 per cento degli inchiostri per tatuaggi analizzati contiene ingredienti non riportati nell’etichetta.
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Che cosa contiene veramente l’inchiostro per tatuaggi?
Quando ci si tatua, è difficile sapere con esattezza che cosa si stia iniettando sotto la pelle: “Ci sono molti interrogativi sulla sicurezza dei tatuaggi e non siamo affatto vicini a una risposta“, spiega il Professor John Swierk a “Chemistry World”. Il lavoro del suo gruppo di ricerca si concentra sul potenziale impatto della luce sui tatuaggi e sulla loro scomposizione chimica.
Tutto nasce dall’intuizione della dottoranda Kelli Moseman, autrice principale dell’articolo insieme ad Ahshabibi Ahmed e Alexander Ruhren. Qualche tempo fa, Moseman aveva notato che gli inchiostri per tatuaggi che stavano studiando contenevano sostanze non riportate sull’etichetta. Si trattava di prodotti di degradazione, dovuti all’interazione con la luce, o di ingredienti presenti nei composti sin dall’inizio? Una cosa è certa: non sappiamo che cosa contengano i colori iniettabili sottopelle di produzione USA.
I ricercatori hanno quindi analizzato gli inchiostri per tatuaggi di nove produttori statunitensi (dalle grandi multinazionali alle piccole imprese) e hanno confrontato il contenuto effettivo con l’etichetta. Su 54 inchiostri, ben 45 (cioè l’83 per cento) presentavano gravi discrepanze rispetto al contenuto dell’etichetta, come pigmenti diversi da quelli elencati o additivi non elencati.
Più della metà dei composti conteneva glicole polietilenico non elencato, che può causare danni agli organi in caso di esposizione ripetuta, mentre 15 contenevano glicole propilenico, un comune emolliente considerato sicuro, ma che nel 2018 ha conquistato il titolo di “allergene dell’anno” dall’American Contact Dermatitis Society. Tra gli altri contaminanti anche il 2-fenossietanolo, che presenta potenziali rischi per la salute dei bambini in allattamento.
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Negli USA manca una normativa precisa per gli inchiostri
Le reazioni allergiche sono l’esito negativo più comune, osserva John Swierk, e “possono essere persistenti, dolorose e persino sfiguranti”. A quanto pare, i pigmenti rossi sono particolarmente problematici, anche se la scienza non ne ha ancora determinato il motivo. I rischi potenziali associati alla pratica del tatuaggio si concentrano sulla possibilità di sviluppare il cancro della pelle e sono essenzialmente legati ai pigmenti, ma anche gli additivi possono causare rischi. E se non è possibile individuare gli ingredienti degli inchiostri utilizzati, è molto complicato capire quale reazione stia avvenendo e perché.
Uno dei problemi, sottolinea il professor Swierk, riguarda la normativa: la prima regolamentazione degli inchiostri per tatuaggi negli USA risale ad appena due anni fa, quando il Modernization of Cosmetics Regulation Act (MoCRA), che ha permesso alla Food and Drug Administration federale di regolamentare per la prima volta i pigmenti utilizzati dai tatuatori. Fino a quel momento, questi inchiostri erano considerati di natura cosmetica, e quindi non soggetti ad alcuna regolamentazione.
“L’FDA ci sta ancora lavorando e pensiamo che questo studio potrà influenzare le discussioni sul MoCRA“, ha detto Swierk. “Questa è anche la prima ricerca che esamina esplicitamente gli inchiostri venduti negli Stati Uniti ed è probabilmente la più completa, perché prende in considerazione i pigmenti, che nominalmente rimangono nella pelle, e il ‘pacchetto di supporto’, che è ciò in cui il pigmento è sospeso”.
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Tatuaggi: i pigmenti statunitensi ed europei a confronto
Nella UE la situazione è molto diversa rispetto a quella degli Stati Uniti: nel 2022, l’organizzazione REACH (Registration, Evaluation, Authorisation and Restriction of Chemicals), emanazione dell’Agenzia Europea per le Sostanze Chimiche (ECHA) con sede a Helsinki in Finlandia, ha vietato diversi pigmenti cancerogeni e messo al bando circa 4.000 agenti chimici presenti negli inchiostri per tatuaggi.
Lo studio di Kelli Moseman e colleghi si è concentrato sulle sostanze presenti a partire da 2.000 parti per milione (ppm): la normativa europea, tanto per farsi un’idea, considera le sostanze nell’intervallo di 2 ppm. Questo significa che gli inchiostri analizzati potrebbero contenere ancora più sostanze aggiunte.
Il prossimo passo è proprio quello di analizzare i pigmenti vietati in Europa e verificare se i componenti individuati in laboratorio sono presenti anche in quelli che finiscono sotto la pelle dei cittadini del Vecchio Continente. Attualmente, il team scientifico sta lavorando a uno studio focalizzato sugli inchiostri blu e verdi, tra i più colpiti dalla normativa europea sulle sostanze chimiche.
I risultati di studi precedenti su alcuni pigmenti sono già online sul sito What’s in my Tattoo Ink?: i cittadini americani che hanno un tatuaggio possono controllare la composizione chimica degli inchiostri che hanno sotto la pelle. E questi dati saranno aggiornati con quelli del nuovo studio non appena sarà peer-reviewed, si legge su “Chemistry World”.
“Stiamo cercando di evidenziare che ci sono alcune carenze nella produzione e nell’etichettatura, e speriamo che i produttori colgano questa opportunità per rivalutare i loro processi e che gli artisti e i clienti la colgano per spingere a migliorare l’etichettatura e la produzione”, ha concluso il Professore.
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