Quando le nanoplastiche non sono ciò che sembrano...

Rilascio di plastica dai tessuti: i ricercatori dell’EMPA in Svizzera hanno scoperto che molti di quelli che paiono polimeri in realtà non lo sono

Le nanoplastiche rilasciate dai tessuti non sono ciò che sembrano
I ricercatori dell'EMPA, guidati da Bernd Nowack, hanno analizzato il rilascio di nanoplastiche dai tessuti sintetici durante il lavaggio (Foto: EMPA)

I tessuti in fibre sintetiche, durante il lavaggio in lavatrice, rilasciano micro e nanoplastiche che vengono scaricate in mare per essere trasportate dalle correnti fino agli angoli più remoti del pianeta.

Queste particelle microscopiche di materiale plastico provenienti da fibre sintetiche come poliestere, nylon ed elastan rappresentano una fonte significativa di inquinamento da fibre microplastiche, e sono da tempo sotto la lente degli scienziati.

Mentre però il meccanismo di rilascio delle microplastiche durante il lavaggio dei tessuti è ben studiato, sappiamo ben poco sul rilascio delle nanoplastiche, cioè quelle di dimensioni ancora minori. E quello che pensavamo di sapere potrebbe non essere corretto: i ricercatori dell’EMPA hanno infatti scoperto che moltissime delle presunte nanoplastiche rilasciate dai tessuti non sono affatto di plastica.

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Microplastiche dai tessuti: lo studio che cambia tutto quello che sappiamo
Le piccolissime fibre sintetiche rilasciate dai tessuti durante il lavaggio contribuiscono in maniera importante all’inquinamento da micro e nanoplastiche (Foto: Envato)

L’inquinamento invisibile che viene da cosmetici e tessuti

L’inquinamento prodotto dai rifiuti in plastica è diventato negli anni una fonte di preoccupazione crescente per gli scienziati e per tutte le persone sensibili al destino del pianeta. Sappiamo infatti che la plastica prodotta e gettata nei rifiuti ha già raggiunto gli angoli più remoti della Terra ed è responsabile di uno dei cambiamenti antropici più pervasivi e a lungo termine dell’habitat terrestre.

Il termine “microplastiche” risale a vent’anni fa, ma l’esistenza di microparticelle di materiale plastico disperse nell’ambiente è nota sin dagli Anni Settanta, quando gli scienziati si sono accorti che i polimeri plastici costituivano una delle componenti principali dei detriti che giacciono in fondo agli oceani.

Negli anni, gli scienziati hanno dimostrato che le principali fonti primarie di micro e nanoplastiche sono il pellet di plastica, i prodotti cosmetici contenenti microsfere, le vernici e le fibre tessili (soprattutto poliestere, nylon e acrilico) che durante il lavaggio rilasciano nell’acqua una gran quantità di piccolissimi frammenti di plastica.

In uno studio del 2011 è emerso che un singolo capo d’abbigliamento in tessuto sintetico può rilasciare oltre 1.900 microplastiche con un solo lavaggio, gran parte delle quali finisce negli oceani.

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Inquinamento: tessuti e cosmetici sotto la lente
Una parte importante delle micro e nanoplastiche disperse negli oceani derivano dai prodotti cosmetici, che usano microsfere plastiche per esfoliare, ma anche per dare la giusta consistenza ai prodotti (Foto: Envato)

La scoperta: le nanoplastiche non sono quel che sembrano

Si stima che ogni anno tra le 200.000 e le 500.000 tonnellate di microplastiche provenienti dai tessuti finiscano negli oceani (il 9 per cento del totale delle microplastiche ambientali). E sappiamo anche che queste particelle si producono prima della consegna ai clienti, durante le fasi di produzione e finitura dei tessuti sintetici, per essere liberate al primo lavaggio.

Dove ci sono microplastiche, però, ci sono anche nanoplastiche, particelle ancora più piccole e pericolose, che possono essere assorbite anche dal corpo umano e sulla cui potenziale tossicità si sa ancora poco. Mentre però conosciamo nel dettaglio il meccanismo di rilascio delle microplastiche dai tessuti, il ciclo delle nanoplastiche rimane pressoché un mistero.

I ricercatori dell’EMPA, guidati dal Professor Bernd Nowack del laboratorio Tecnologia e Società, hanno quindi deciso di unire le forze con i colleghi cinesi ed esaminare più da vicino le nanoparticelle rilasciate dai tessuti. E hanno scoperto che non tutto quello che sembra materiale plastico lo è davvero.

Molte delle particelle rilasciate dai tessuti durante il lavaggio non sono affatto nanoplastiche, ma ammassi di oligomeri, cioè molecole a metà strada tra i polimeri a catena lunga (come le particelle di plastica) e i monomeri, i singoli mattoncini che compongono le lunghe catene polimeriche.

Queste molecole, si legge nello studio appena pubblicato su “Nature Water”, sono ancora più piccole delle particelle di nanoplastica e non si sa quasi nulla a proposito della loro possibile tossicità.

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Il lavaggio dei tessuti rilascia una gran quantità di oligomeri
Le nanoparticelle sulla superficie del filato sono visibili al microscopio elettronico a scansione (a); le particelle si staccano durante il lavaggio (b), tanto che dopo quattro lavaggi non ne rimane quasi nessuna (c) (Foto: EMPA)

I tessuti rilasciano una grande quantità di oligomeri

Per il nuovo studio, i ricercatori hanno esaminato dodici diversi tessuti in poliestere, tra cui la microfibra, il raso e il jersey: i campioni di tessuto sono stati lavati fino a quattro volte e le nanoparticelle rilasciate durante il processo analizzate e caratterizzate.

Un’operazione più complicata di quello che potrebbe sembrare: “La plastica, soprattutto la nanoplastica, è ovunque, anche sui nostri dispositivi e utensili“, spiega Bernd Nowack. “Quando misuriamo le nanoplastiche, dobbiamo tenere conto di questo ‘rumore di fondo’”.

Per distinguere le nanoplastiche reali dagli ammassi di oligomeri, i ricercatori hanno usato un bagno di etanolo: la plastica infatti, per quanto piccola, non si scioglie in etanolo, mentre gli aggregati di oligomeri sì: “Abbiamo scoperto che il 34-89 per cento delle particelle submicrometriche estratte erano solubili in etanolo”, si legge nello studio, “e queste particelle sono probabilmente oligomeri di poli(etilene tereftalato) insolubili in acqua”.

Questo ci ha permesso di dimostrare che non tutto ciò che sembra nanoplastica a prima vista è in realtà nanoplastica“, spiega Nowack.

Non è ancora chiaro quali possano essere gli effetti del rilascio di simili nanoparticolati durante il lavaggio dei tessuti: “Con altre materie plastiche”, prosegue lo scienziato, “gli studi hanno già dimostrato che gli oligomeri nanoparticolati sono più tossici delle nanoplastiche”.

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Le microplastiche nascono durante la produzione degli indumenti
I ricercatori ipotizzano che le particelle di oligomero si creino durante la produzione del tessuto o che si separino dalle fibre attraverso processi chimici durante lo stoccaggio (Foto: Envato)

Oligomeri: c’è ancora molto da scoprire (e in fretta)

Questi oligomeri plastici possono formarsi durante una polimerizzazione incompleta e sono in grado di migrare dalla plastica in seguito a riscaldamento o biodegradazione: sappiamo che possono migrare dagli imballaggi agli alimenti durante la cottura e sono classificati come “sostanze aggiunte non intenzionalmente”.

Molto resta ancora da indagare, ma i ricercatori sono già riusciti a stabilire che la natura del tessuto e il metodo di taglio (forbici o laser) non hanno alcuna influenza sulla quantità di particelle sprigionate.

Il meccanismo di rilascio degli oligomeri è ancora da chiarire, sia per le nanoplastiche sia per gli oligomeri. La buona notizia, però, è che la quantità di particelle rilasciate diminuisce in maniera significativa dopo i primi lavaggi.

La ricerca sarà ancora lunga. Come si legge nello studio, questi risultati “mostrano chiaramente l’urgente necessità di comprendere meglio il contributo delle particelle oligomeriche insolubili in acqua all’inquinamento dell’ambiente da parte delle nanoplastiche antropogeniche”.

Nel loro prossimo progetto, Bernd Nowack e il suo team presso il Laboratorio Federale Svizzero per la Scienza e la Tecnologia dei Materiali vogliono indagare quali fibre sono rilasciate durante il lavaggio dei tessuti realizzati con materie prime rinnovabili e se queste possono essere dannose per l’ambiente e la salute.

I tessuti semisintetici come la viscosa o il lyocell vengono pubblicizzati come sostituti del poliestere“, spiega ancora il ricercatore svizzero, “ma non sappiamo ancora se siano davvero migliori per quanto riguarda il rilascio di fibre“.

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