Ecco il primo gelato alla vaniglia prodotto da... rifiuti in plastica
Possiamo eliminare gli scarti plastici... mangiandoli? Un incredibile sorbetto aromatizzato con il PET e il gusto di porsi nuove domande
La prima coppa di gelato alla vaniglia prodotto a partire da rifiuti in plastica non si può (ancora) mangiare. Il gelato è sigillato in una teca refrigerata, e ci resterà fino al momento in cui, come esseri umani, non avremo capito che farne.
Il progetto si chiama “Guilty Flavours”, ed è stato ideato dall’artista italiana Eleonora Ortolani, che dalla sua base londinese utilizza il cibo come strumento elettivo per esplorare le grandi questioni globali.
In questo caso, la ricerca affronta due problemi che sono tra le sfide più cruciali dell’epoca contemporanea: l’inquinamento da plastica e l’insicurezza alimentare, cioè la mancanza di accesso a una scorta sufficiente di cibo sano. Possono essere risolti l’uno attraverso l’altro? Detta in altri termini: possiamo eliminare la plastica per sempre…mangiandola?
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Plastica e vanillina, l’affinità (quasi) insospettabile
La vanillina sintetica è indistinguibile dalla vaniglia, ed è anche molto più diffusa: soltanto l’1 per cento del mercato mondiale dell’aroma di vaniglia proviene effettivamente dai baccelli della Vanilla Planifolia.
Quello che in molti non sanno, è che la vanillina sintetica (presente in decine di migliaia di prodotti in commercio) viene in larga parte prodotta a partire dal guaiacolo, un composto organico derivato dal benzene.
L’idea di mangiare la plastica, vista sotto questa luce, sembra tutt’altro che lontana dalla realtà. Plastica e vanillina provengono entrambe dal petrolio, e non è un caso se il primo gelato realizzato a partire da rifiuti in plastica sia al gusto di vaniglia.
La molecola aromatica che dà alla vaniglia il suo sapore ha una lunga storia di riproduzioni in laboratorio, che inizia alla fine dell’Ottocento con le prime sintesi a partire dalla coniferina, una sostanza estratta dalla resina di pino. Questa volta, però, la vanillina è stata estratta da una piccola quantità di plastica PET.
La montagna di rifiuti in plastica in cui stiamo soffocando, e la cui produzione non accenna a diminuire, potrebbe diventare una risorsa alimentare? Detta con le parole dell’artista Eleonora Ortolani: gli esseri umani possono sfruttare i propri corpi come macchine per eliminare la plastica per sempre, mangiandola?
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Si può mangiare? Il progetto di Eleonora Ortolani
Eleonora Ortolani è un’artista multidisciplinare con sede a Londra. Specializzata in Futuri Materiali alla Central Saint Martins, usa il cibo come mezzo per esplorare urgenti questioni sociali e globali, collaborando con scienziati, tecnologi e chef. La sua ricerca trascende i confini tra arte, scienza, tecnologia e cucina, aprendo nuove prospettive sulle sfide dell’epoca contemporanea.
Il progetto Guilty Flavour, il primo gelato alla vaniglia realizzato a partire dalla plastica, “mira a sconvolgere i modelli di pensiero abituali, sottolineando che il vero progresso non si esaurisce nei risultati, ma coinvolge anche nell’approccio”.
Come spiega l’artista, il “gusto colpevole” di un gelato di plastica “ci sfida a chiederci se noi, come esseri umani, siamo pronti a compromettere le nostre abitudini alimentari per contribuire a un mondo più resiliente e armonioso”.
L’idea di mangiare plastica non viene dal nulla: “La montagna sempre crescente di rifiuti di plastica è un problema insormontabile”, spiega l’artista, “la produzione di plastica non diminuisce e l’attuale sistema di riciclaggio non riesce a tenere il passo”.
“Guilty Flavours è una proposta radicale su come gli esseri umani possono sfruttare i propri corpi come macchine per eliminare la plastica per sempre, mangiandola”.
Nuovi processi biochimici potrebbero consentire agli uomini di consumare plastica in modo sicuro, come fanno alcuni piccoli organismi in grado di digerire il PET.
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Da plastica a vanillina: un eccezionale esperimento
La ricerca della Ortolani nasce dalle recenti scoperte sui piccoli organismi capaci di digerire la plastica: si è compreso che i vermi della cera sono in grado di digerire i sacchetti di plastica come se si trattasse di cera d’api, e si crede che l’Ideonella Sakaiensis, scoperta fuori da un impianto di riciclaggio di bottiglie in Giappone, sia evoluta per metabolizzare la plastica PET.
Ciò ha portato l’artista a chiedersi: esiste un modo per rendere la plastica digeribile anche per gli esseri umani, in modo da eliminarla per sempre? Quello che aveva l’aria di un progetto teorico-speculativo si è poi trasformato in un esperimento concreto grazie a Joanna Sadler, scienziata dell’Università di Edimburgo, che ha messo a disposizione del progetto i batteri di Escherichia Coli ingegnerizzati al centro di una ricerca pubblicata nel 2021 sulla rivista “Green Chemistry”.
La trasformazione della plastica in vanillina è avvenuta nel sistema metabolico di questi batteri ingegnerizzati, che sono dotati di un enzima in grado di recidere i fortissimi legami tra le molecole che formano la plastica. Una volta rotta la catena polimerica, non si può più parlare di plastica, e quello che abbiamo in mano è un composto pronto per essere sintetizzato in vanillina tramite l’azione di un altro enzima.
L’esperimento, che si è svolto nel Grow Lab del Central Saint Martins, è stato realizzato utilizzando i batteri inviati dagli scienziati di Edimburgo, alcune istruzioni condivise in termini di stretta segretezza, acqua minerale di Sainsbury e 20 milligrammi di PET.
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Siamo pronti ad accettare l’idea di mangiare la plastica?
Nessuno ha assaggiato il gelato alla vaniglia ottenuto nei laboratori del Central Saint Martins: si trova, chiuso a chiave, in una teca refrigerata non accessibile al pubblico. “Il gelato è esposto in un congelatore chiuso a chiave”, spiega Ortolani, “perchè nonostante sia già reale, deve ancora essere testato per la sicurezza alimentare”.
“Ciò evidenzia la natura eticamente controversa della valutazione dell’ingrediente derivato dalla plastica: infatti, nonostante la sua somiglianza chimica con la vanillina (naturale e sintetica) che già consumiamo, il processo di test lo considera ancora un ingrediente completamente nuovo”.
Il gelato aromatizzato con gli scarti della plastica è una realtà qui e ora. Ma quanto siamo pronti ad accettare l’idea di nutrirci di cibi sintetizzati dai nostri rifiuti per un futuro più sostenibile?
“La storia del gusto inizia con la comprensione del gusto e del modo in cui le persone percepiscono il fenomeno del sapore”, scrive Lydia Pyne nel suo libro “Genuine Fakes: How Phony Things Teach Us About Real Stuff”.
“Il sapore di qualcosa”, spiega la storica e divulgatrice statunitense, “dipende dalla biochimica, dalla neurofisiologia e anche, in gran parte, dalla storia e dalla cultura”.
Nonostante la diffidenza riservata ad alcuni cibi sintetici, in termini scientifici l’accettazione di un alimento dipende da proprietà come l’aspetto, il gusto, la consistenza e persino il suono generato durante la masticazione, ma non dalla sua origine.
Le urgenti sfide ambientali richiedono soluzioni innovative e cambiamenti di prospettiva radicali. Quella di usare i nostri corpi come macchine elimina-plastica è un’idea che rispetta entrambi i criteri, e che ci lascia con una domanda completamente nuova. Se potessimo eliminare il problema della plastica mangiandola, lo faremmo?
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