L’impronta chimica del cacao: una grande scoperta per il cioccolato
Dalle caratteristiche organiche delle fave al controllo della fermentazione che dà vita al "cibo degli Dei": tutto sulla ricerca di Julie Lestang all’ETH
![Chimica del cacao: si lavora sulla fermentazione con Julie Lestang](https://innovando.it/wp-content/uploads/2023/10/julie-lestang.jpg)
Un errore durante la fermentazione può compromettere un intero raccolto di fave di cacao: la formazione di muffe all’interno dei semi del Theobroma Cacao non soltanto altera il sapore di quello che sarà cioccolato, ma costituisce un potenziale pericolo per la salute umana.
Può capitare, spiega la dottoressa Julie Lestang, che interi carichi di cacao giunti via nave debbano essere scartati per la presenza di muffe. Ed è per questo che l’agronoma francese, dottoranda in Biochimica degli Alimenti al Politecnico federale di Zurigo, ha deciso di studiare più a fondo la questione e di sviluppare un metodo che permetta di determinare l’impronta chimica delle fave di cacao.
Scoprire il profilo biochimico dei singoli lotti di cacao permetterà di individuare il mix di microorganismi più adatto alla fermentazione dei semi. Oltre a influire positivamente sulle caratteristiche aromatiche del cioccolato, questo processo permetterà di difendere le delicate fave di cacao dagli attacchi fungini durante la fermentazione.
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Il momento in cui nasce il sapore del… cioccolato
La fermentazione delle fave di cacao è quel processo che ci permette di ottenere il cioccolato (o burro di cacao) dai grandi semi del Theobroma Cacao, un albero sempreverde originario della foresta amazzonica che si lascia coltivare esclusivamente in area tropicale, tra il 20º parallelo nord e il 20º parallelo sud.
Giunte a maturazione, le cabosse vengono raccolte delicatamente una ad una e aperte con un colpo di machete. Le fave di cacao, cioè i semi, vengono quindi separati dalla polpa bianca che li avvolge: questa polpa di cacao, che ha un sapore simile a quello del lychee, non è coinvolta nella produzione di cioccolato.
Le fave di cacao così raccolte vengono lasciate a fermentare per 5-10 giorni, protette da foglie di banano oppure in cassette di legno impilate. Lieviti, alcol e biossido di carbonio che favoriscono la fermentazione si sviluppano naturalmente entro poche ore. La temperatura raggiunge i 45-50°C: quel che resta della polpa si scioglie, e l’ossigeno riesce a entrare nelle fave di cacao.
Durante questa fase si sviluppano i precursori dell’aroma del cioccolato: quello che succede in queste ore ha un ruolo cruciale nella definizione del sapore del burro di cacao, l’ingrediente principale delle tavolette di cioccolato.
La fermentazione spontanea delle fave di cacao è un processo delicato e molto complesso, che sfrutta un microbiota molto variabile: i microrganismi coinvolti provengono infatti dall’ambiente, dagli attrezzi usati dai coltivatori, dalle loro mani e anche dalle foglie di banano usate per coprire i semi.
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La ricerca di Julie Lestang sulla tipica fermentazione
La dottoressa Julie Lestang sa bene cosa succede quando dei microrganismi indesiderati si insinuano nel processo di fermentazione del cacao. Prima di arrivare al Politecnico Federale di Zurigo nel 2021, ha lavorato per due anni in Costa d’Avorio, dove si occupava della divisione cacao per una grande azienda del comparto alimentare.
“Le muffe sono un grande problema”, spiega la Lestang. “A volte, l’intero carico di una nave deve essere scartato perché arriva a destinazione ammuffito”. E non si tratta soltanto di un problema di sapore: le muffe possono produrre delle micotossine pericolose per la salute, cosa che rende le preziose fave di cacao inservibili a scopo alimentare.
“È proprio per questo motivo”, spiega la dottoranda francese, “che stiamo cercando di individuare i microrganismi capaci di inibire gli attacchi fungini e di condurre a una fermentazione controllata e ottimale delle fave di cacao”.
L’agronoma, dottoranda in Biochimica Alimentare presso l’ETH, è specializzata nella produzione di cibo nei Paesi del Mediterraneo e delle aree tropicali. La passione per questo capitolo della materia però è nata durante l’infanzia, grazie a una gita scolastica che la portò a visitare una grande fabbrica di cioccolato.
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Che cos’è davvero l’impronta chimica del cacao?
La fermentazione delle fave di cacao è al centro della ricerca di Julie Lestang, ed anche di diversi produttori che stanno cercando un metodo efficace per controllare il delicatissimo processo spontaneo da cui origina il sapore inconfondibile del cioccolato.
La qualità e le caratteristiche aromatiche del cacao, infatti, dipendono in larga parte dai microrganismi coinvolti nella fermentazione.
“Se trattiamo le fave di cacao con il giusto mix di microrganismi all’inizio della fermentazione, possiamo ridurre i rischi per la salute, la perdita di qualità e lo spreco di cibo”, spiega la Lestang.
I tecnologi alimentari già conoscono il problema, e usano diversi lieviti e lattobacilli per impedire attacchi fungini durante la fermentazione.
Non tutti i frutti di cacao però reagiscono allo stesso modo: le proprietà delle fave di cacao dipendono dalla varietà, e anche il luogo di coltivazione ha un suo peso. Ogni cacao ha la sua impronta chimica, e la ricerca di Lestang si concentra proprio su questo aspetto.
L’agronoma sta sviluppando un metodo per determinare l’impronta chimica delle fave di cacao, in modo da poter individuare il giusto mix di microrganismi da usare nel pre-trattamento per evitare la formazione di muffe durante la fermentazione.
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La spettrometria rivela l’impronta chimica del cacao
Per le sue indagini, Julie Lestang utilizza una tecnologia presa in prestito dai test microbiologici in ambito medico, ovvero la spettrometria di massa a ionizzazione evaporativa rapida (REIMS).
“Il vantaggio della REIMS è che la preparazione dei campioni e la loro valutazione sono molto più rapidi rispetto ai metodi di test tradizionali”, spiega l’agronoma. Per analizzare i semi di cacao, Lestang li frantuma e aggiunge acqua e metanolo; la sospensione che ne risulta viene quindi posizionata su una piastra metallica e scaldata con una specie di saldatore.
È a quel punto che la spettrometria può rivelare la composizione chimica del campione, individuando gli ioni presenti nel gas prodotto dalla combustione: così nasce l’impronta chimica del cacao. O meglio, della singola fava di cacao.
A partire da questi dati si può individuare il composto di microrganismi più adatto a favorire la fermentazione del cacao e a proteggere i semi dalla formazione di pericolose muffe.
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Le verifiche sul campo nei Paesi dell’America Centrale
Se l’applicazione della spettrometria di massa avrà successo troverà di certo larga diffusione nell’industria alimentare, e non soltanto nella produzione di cioccolato: questo tipo di fermentazione controllata “a monte” avrebbe importanti ripercussioni anche nel trattamento di altri alimenti, come il caffé.
Grazie alla stretta collaborazione con l’Università di Scienze Applicate di Zurigo, che da anni fa ricerca industriale sul trattamento del cacao, il progetto della Lestang può contare sulle importanti acquisizioni di studi precedenti. I ricercatori della ZHAW, per esempio, hanno già isolato quasi 800 microrganismi dalla fermentazione del cacao in Honduras, e individuato quattro candidati particolarmente promettenti.
I primi esperimenti in situ sono già in corso: nei Paesi partner delle università svizzere si stanno testando diversi mix su lotti di cacao da 20 a 50 chili, e il prossimo autunno la dottoressa Lestang raggiungerà i coltivatori in Honduras, per portare ancora più avanti la ricerca della ricetta perfetta per la fermentazione del cacao.
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