I rifiuti elettronici “diventano” oro grazie alle proteine del formaggio

I ricercatori dell’ETH hanno sviluppato un metodo sostenibile per estrarre oro dagli e-waste grazie alle protidi del siero di latte

Estrarre oro dai rifiuti elettronici grazie al formaggio
La pepita d’oro 22 KT ottenuta dai vecchi computer in tre parti; la più grande di queste sezioni è larga circa 5 mm (Foto: Alan Kovacevic/ETH Zurich)

Nel Medioevo, trasformare i materiali in oro era uno dei sogni impossibili degli alchimisti.

Oggi, grazie alla rivoluzionaria ricerca del Professor Raffaele Mezzenga, del Dipartimento di Scienze e Tecnologie per la Salute del Politecnico di Zurigo, quel sogno sembra molto più vicino.

Ovviamente i ricercatori non hanno trasformato in oro un altro elemento chimico, come si proponevano di fare gli antichi alchimisti: al centro dello studio, appena pubblicato sulla rivista internazionale “Advanced Materials”, il recupero dell’oro dai rifiuti elettronici, o e-waste.

I ricercatori dell’ETH hanno sviluppato un metodo estremamente economico e sostenibile per estrarre il metallo prezioso dalle schede madri di vecchi computer, utilizzando dei filamenti proteici ricavati dal siero di latte, un sottoprodotto dell’industria caesaria.

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Oro dagli e-waste: il rivoluzionario metodo svizzero
Secondo le stime dell’ONU, produciamo circa 8 chilogrammi di rifiuti elettronici a testa: eppure questi scarti sono potenzialmente preziosissimi (Foto: Envato)

Rifiuti elettronici: un tesoro che non è da sottovalutare

Gli scarti elettronici sono i rifiuti solidi a più rapida crescita a livello globale: nel 2023 ne abbiamo prodotti, secondo le stime dell’ONU, circa 8 chili a testa, per un totale di oltre 60 milioni di tonnellate: è un peso superiore a quello della Grande Muraglia cinese.

Di questa enorme montagna di e-waste, meno del 20 per cento viene raccolto in maniera adeguata e riciclato.

I rifiuti elettronici, però, custodiscono al loro interno metalli preziosissimi che sono fondamentali per lo sviluppo di nuove tecnologie in diversi campi di applicazione, dall’elettronica all’aerospazio. Tra questi metalli, l’oro è senza dubbio il più pregiato, e non soltanto per il suo valore commerciale.

Come si legge nello studio recentemente pubblicato su “Advanced Materials”, l’oro è stato al centro dello sviluppo della società umana per millenni: non si tratta soltanto di un metallo prezioso inerte, ma di un elemento che “possiede eccellenti caratteristiche di conducibilità, duttilità, riflettività, biocompatibilità e stabilità”, che ne fanno un componente fondamentale dello sviluppo tecnologico attuale.

Ciò avviene nell’elettronica, nella catalisi, nell’industria aerospaziale e delle nanotecnologie, in medicina e nelle biotecnologie.

L’oro è sempre più richiesto per queste applicazioni e, visto che si tratta di una risorsa non rinnovabile, è più che mai necessario individuare una strategia che permetta di recuperare il metallo prezioso dagli scarti, a cominciare dai rifiuti elettronici e dalle acque reflue industriali.

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La spugna di fibrille proteiche con gli ioni d’oro a vista: il nuovo metodo si è rivelato molto economico e altrettanto sostenibile (Foto: Peydayesh M et al. Advanced Materials 2024)

Una pepita d’oro da ben 22 carati da vecchi computer

Vista la crescente richiesta di oro per applicazioni tecnologiche, sono già stati sviluppati dei metodi che permettono di estrarlo dai rifiuti elettronici, ma si tratta di sistemi poco efficienti, che richiedono ingenti risorse e che spesso prevedono l’uso di sostanze chimiche altamente tossiche.

Quello sviluppato dai ricercatori del Politecnico di Zurigo, guidati dal professor Raffaele Mezzenga, del Dipartimento di Scienze e Tecnologie per la Salute, è un metodo completamente diverso, che sfrutta una spugna di aggregati proteici filamentosi ricavati dal siero di latte.

Un sistema doppiamente sostenibile, che valorizza rifiuti e prodotti secondari dell’industria alimentare e permette di recuperare un materiale preziosissimo e non rinnovabile in maniera molto più economica e sicura.

I ricercatori sono riusciti in un’impresa impensabile: a partire da 20 schede madri di vecchi computer, hanno ricavato una pepita d’oro di 22 carati del peso di 450 milligrammi sfruttando una spugna di fibrille proteiche derivata dal siero di latte (un sottoprodotto dell’industria casearia (che coincide con la parte liquida di latte che si separa dalla cagliata durante la caseificazione).

Il team del Professore, che rientra nello 0,1 per cento degli scienziati più citati al mondo (“Clarivate 2023 Highly Cited Researchers”), ha scoperto che gli aggregati proteici filamentosi ricavati dal siero di latte sono estremamente efficaci nel recuperare l’oro dai rifiuti elettronici.

Inoltre, questo nuovo metodo è altamente sostenibile e decisamente promettente da un punto di vista economico: come dimostrano i calcoli del cattedratico zurighese, i costi di approvvigionamento dei materiali di partenza, sommati ai costi energetici dell’intero processo, sono 50 volte inferiori al valore dell’oro recuperabile.

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Estrarre oro dai rifiuti grazie alla chimica: lo studio
Il processo chimico di recupero dell’oro: gli ioni aderiscono alla spugna di fibrille proteiche (Foto: Peydayesh M et al. Advanced Materials, 2024/ETH Zurich)

Da e-waste a oro puro: promettenti prospettive future

Per realizzare la spugna di fibrille, Mohammad Peydayesh e gli altri scienziati del team di Raffaele Mezzenga hanno denaturato le proteine del siero del latte grazie a un trattamento a base d’acido, in modo che si aggregassero in nanofibrille proteiche in forma di gel. Hanno poi essiccato il gel, creando la spugna che è servita ad estrarre l’oro dagli e-waste.

I metalli recuperati dalle schede madri di 20 vecchi computer sono state dissolte in un bagno acido che ha ionizzato i metalli.

Gli scienziati hanno quindi inserito la spugna di fibre proteiche nella soluzione di ioni metallici, e gli ioni d’oro hanno aderito ai filamenti proteici.

Infine hanno riscaldato la spugna, in modo da ridurre gli ioni d’oro in scaglie, recuperarli e fonderli in una pepita d’oro.

Il risultato finale dell’esperimento è una pepita del peso di circa 450 milligrammi composta per il 91 per cento da oro (nel 22 carati le parti di oro sono il 91,6 per cento).

Adesso gli scienziati vogliono sviluppare ulteriormente questa tecnologia: potrebbe essere usata per estrarre il metallo prezioso anche da altre fonti, come gli scarti industriali della produzione di microchip o i processi di placcatura dell’oro.

Un altro interessante aspetto da indagare riguarda la possibilità di produrre le spugne di fibrille proteiche a partire da altri sottoprodotti ricchi in proteine o da altri scarti dell’industria alimentare.

Il fatto che mi piace di più è che stiamo usando un sottoprodotto dell’industria alimentare per ottenere oro dai rifiuti elettronici“, ha spiegato Raffaele Mezzenga.

Questo metodo, osserva il Professore, trasforma due prodotti di scarto in oro: “Non si può essere più sostenibili di così!“.

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Estrarre oro dai rifiuti grazie alla chimica: lo studio
Una foto artistica che mostra nel dettaglio la spugna di fibrille proteiche usata nell’esperimento (Foto: Mohammad Peydayesh/ETH Zurich)