“Rimettere l’uomo al centro”: sì, ma che cosa significa?

Allontanando responsabilità presenti e future, vecchi e nuovi profeti indicano con il dito una Luna inesistente, mentre si scordano della Terra

Uomo al centro: c’è l’idea che l’AI sia un’innovazione rilevante e di incommensurabile portata rispetto quelle già vissute dalla specie umana
Le frasi a effetto funzionano fino a quando si chiede che siano spiegate: perché “rimettere l’uomo al centro”? chi lo ha spostato?

Ci sono frasi che ricorrono come un mantra e che sono usate quasi a testimoniare una qualche forma di competenza o di pensiero illuminato, derivato da profonda osservazione e acuta analisi del fenomeno.

Per quanto riguarda l’Intelligenza Artificiale non smette di essere di moda l’esortazione a “rimettere l’uomo al centro”, talvolta sostituita da un’ancora più ambigua invocazione al “nuovo Umanesimo”.

Funzionano perfettamente, fino a quando nessuno chiede che siano spiegate. Perché “rimettere l’uomo al centro”? Se era lì prima, chi lo ha spostato?

Non ci siamo accorti dell’assalto che robot, castori e tostapane hanno condotto con tanta maestria da mettere da parte tutti noi e così dominare il pianeta? E che si fosse e dovesse essere al centro, era stato stabilito da chi, in quale universo di riferimento?

C’è una qualche osservazione che dimostra questa geometrica e assoluta verità? Forse è il vostro scriba che non capisce niente, che non si è avveduto della grande rivoluzione avvenuta e in cui l’umanità intera è stata accantonata, buttata in un anfratto, tramortita e trascurata dal futuro che evidentemente appartiene ad altre specie, biologiche o meccaniche che siano.

Oppure no? Cosa intende quell’insistente ritornello? Che stiamo costruendo un futuro in cui noi stessi ci poniamo distanti dalle cause e proni ad ogni effetto?

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La AI è una “Agency without Intelligence”, espressione di Luciano Floridi, non più intellettualmente vispa di un calzascarpe.

L’AI è “Agency without Intelligence” e, intellettualmente, non è più vispa di un calzascarpe

Il male è l’AI, che è creazione umana e, fino a prova contraria, “Agency without Intelligence” (espressione di Luciano Floridi), non più intellettualmente vispa di un calzascarpe?

Possibile che la nostra specie sia così malmessa da delegare ad essa ogni responsabilità e farsi sua schiava?

L’idea di una qualche necessità di “rimettere l’uomo al centro”, come pure il tacito assenso a questa ipotesi strampalata da parte degli astanti (talvolta solo per buona educazione verso l’oratore, va detto) nascono probabilmente da diverse sensazioni.

A partire dall’idea è che l’AI sia una innovazione rilevante (cosa vera) e di incommensurabile portata rispetto a tutte quelle già vissute dalla nostra specie (cosa assai discutibile).

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Le grandi città medievali erano buie non appena calava il Sole e la campagna nera ovunque come la pece, tranne qualche fioco lume

È soltanto l’ipervalutazione del presente che ingigantisce un’innovazione comunque rilevante

È una forma di ipervalutazione del presente, per cui quello che ci accade è sicuramente più potente, diverso, miracoloso, sublime, tetro, preoccupante, spaventoso di quanto sia accaduto in passato.

In realtà, basterebbe poter chiedere ai nostri bisnonni che cosa fu l’avvento dell’elettricità per capire quanto essa apparve loro allo stesso modo all’inizio del XX secolo.

Anche volendo, noi che viviamo ora, neanche riusciamo ad immaginarci che le grandi città dell’epoca fossero sostanzialmente buie non appena calava il Sole e la campagna nera come la pece in ogni direzione.

Fatichiamo a pensare che pressoché ogni lavoro di casa potesse essere realizzato soltanto con muscolare fatica umana o animale, e che giusto qualche candela illuminasse le stanze.

Quando ripensiamo ai primi spettatori dei fratelli Lumière, che fuggivano per paura che il treno riprodotto nel film li investisse, dovremmo capire quanto per loro fosse sorprendente tanto quell’immagine in movimento quanto il treno stesso, entrambi ignoti ai loro genitori e nonni.

Qualcuno avrà detto anche allora che era necessario “rimettere l’uomo al centro”?

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La Candida Rosa, in un dipinto del senese Giovanni di Paolo, è il luogo dove risiedono le anime nel Paradiso congegnato da Dante

Un’economia pronta a rubarci il Paradiso con la tecnologia pronta a farsene serpente parlante?

Oppure si adopera quella espressione sottintendendo che sia l’economia a rubarci il Paradiso e che la tecnologia se ne faccia subdolo serpente parlante e ammaliante, come quella volta nell’Eden?

A segnare che il giardino delle delizie è ben fuori dall’esperienza quotidiana e, in altro modo, che il bello e il brutto di essa è frutto proprio del dominio che la nostra specie ha assunto nel tempo, mi sovviene una battuta di Piero Poccianti, già Presidente dell’Associazione Italiana per l’Intelligenza Artificiale, che alla millesima occasione in cui gli fu posta la domanda “L’AI prenderà il sopravvento?”, rispose placido e fiorentino: “Magari! Lei pensa che sarebbe capace di far peggio di noi?”.

Non possiamo, neanche volendo, creare un mondo in cui non ci percepiamo come centrali.

Non lo possiamo noi come non potrebbe farlo alcun essere senziente, in quanto ogni comprensione dell’universo è condizionata dalle forme del nostro cervello e dei nostri recettori sensitivi e dai conseguenti modelli mentali.

Non si tratta di disinteresse verso quanto ci circonda o sottostima dell’ecosistema che ci ospita, ma di vincolo biologico irriducibile.

L’approccio etico all’utilizzo degli strumenti basati sull’AI è altra cosa rispetto a quella presunta necessità di tornare in mezzo come domatori del circo.

Discutere in ogni sede e ampliare quanto più possibile il dibattito affinché si tenti di arrivare a condividere approcci universali a ciò che l’Intelligenza Artificiale deve essere per il futuro dell’umanità è la giusta, ancorché la più difficile, strategia.

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Abbiamo sempre compreso ciò che era opportuno o inadeguato fare con le grandi invenzioni, dal fuoco all’energia nucleare…

Con il fuoco non abbiamo incendiato la savana, con il nucleare non abbiamo distrutto la civiltà

Eppure, già in passato siamo stati capaci di concordare su ciò che era opportuno e ciò che era inadeguato fare con le grandi invenzioni: con il fuoco non abbiamo incendiato la savana, con il nucleare non abbiamo distrutto la civiltà, per far due esempi.

Non siamo buoni, ma la storia ci dice che siamo consapevoli, sebbene capaci di commettere errori anche terribili.

La nostra imperdibile e incedibile centralità non è spocchia, orgoglio o capriccio, anzi.Implicita nel nostro essere umani, essa genera indirettamente la responsabilità derivata dall’enorme potere sul mondo che abbiamo ottenuto attraverso i millenni e usato in modi diversi.

Alcuni di essi oggi li giudichiamo negativamente perché ne raccogliamo i frutti, come la riduzione di un terzo delle foreste negli ultimi 50 anni, l’abbondante raddoppio di produzione di CO2 nello stesso periodo, il cambiamento climatico oramai conclamato.

Allora, non sarà che questo “rimettere l’uomo al centro” sia un bel modo per dire che noi, spostati di lato da forze sovrastanti e senza nome, non eravamo lì né allora né oggi e che il disastro dipende da altri? Perché si predica lo sforzo di riprendere quella posizione con tanta intensità, anziché indicare con altrettanta foga la necessità di usare ogni tecnologia e ogni energia per diminuire il nostro impatto negativo e concentrarsi sulla ricerca scientifica e sulle sue ricadute in innovazione per rimettere le cose a posto?

Nei citati cinquanta anni trascorsi tra il 1970 e il 2020, l’automazione è stata la prima artefice di un cambiamento radicale del lavoro, che ha fatto crescere l’occupazione globale e simultaneamente aumentato il cosiddetto “tempo libero”, così dando modo a milioni di persone di dedicarsi a interessi e attività prima riservate a piccole élite.

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Minatori in superficie sull’ascensore della miniera numero 4 di Virginia-Pocahontas vicino Richlands negli USA nell’aprile 1974

Ora chiamiamo “disumani” lavori che per secoli sono stati praticati dagli abitanti del pianeta

In questa maniera si sono sviluppati settori che ora sono parte rilevante dell’economia mondiale, come il turismo, la pratica sportiva, i consumi culturali, gli studi universitari, i mestieri della scienza, l’assistenza sanitaria e tanti altri.

Sono tutte espressioni dell’umano prima precluse a chi faticava in condizioni di vita insostenibili, tanto che ora chiamiamo “disumani” lavori che per secoli sono stati praticati da gran parte degli abitanti del pianeta, ora giustamente lasciati alle macchine.

Tralasciate frasi ad effetto e presa la giusta via, potremmo fare un passo avanti e dedicarci a quelle attività economiche che l’AI farà sviluppare così come l’automazione (e altre innovazioni) fecero allora.

È possibile che questa volta le nuove aree di crescita economica siano legate alle sensibilità che le generazioni più giovani hanno fatto proprie, come quelle verso la cura degli esseri viventi (Sapiens compreso) e del pianeta.

Così facendo, la “responsabilità del custode” segnerà il superamento di un’epoca in cui ci si è sentiti tanto padroni da rivendicare una centralità da protagonisti che, in quanto esercizio di potere più che di intelligenza, appare sempre più fuori tempo.

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Per quanto riguarda l’Intelligenza Artificiale non smette di essere di moda un’ambigua esortazione a “rimettere l’uomo al centro”