Una meraviglia di telescopio in un universo di meraviglie

Lanciato dalla NASA in concorso con le agenzie spaziali europea e canadese, il James Webb ha un valore e un interesse che vanno oltre la scienza

Il Telescopio Spaziale James Webb
Il Telescopio Spaziale James Webb

Si è parlato molto in questi ultimi mesi del James Webb, il nuovo telescopio spaziale lanciato dalla NASA in collaborazione con le agenzie spaziali europea e canadese.

Cerchiamo in questo articolo di capire il valore e l’interesse, non soltanto scientifici, di questa macchina incredibile.

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Un “parcheggio” autonomo e impegnativo a 1.500.000 chilometri di distanza

Proviamo a immaginare di vivere su un pianeta molto, ma molto più grande del nostro. Oppure sul Mondo Anello di Ringworld.

Abbiamo da parcheggiare la nostra macchina, però il posteggio si trova a circa 1.500.000 chilometri di distanza.

Quindi dobbiamo calcolare un percorso e una velocità di partenza tali che, per pura inerzia e con perfetta precisione, la nostra auto arrivi al parcheggio assegnato.

In pratica, possiamo dare soltanto una bella spinta iniziale e poi l’auto dovrà fare tutto da sola, salvo qualche correzione minore.

E se non si parcheggia bene, non potremo andare a sistemarla nel posto giusto. O forse sì, ma non prima di dieci o quindici anni.

Assurdo e folle no? Eppure è quello che abbiamo fatto (“abbiamo” nel senso di specie umana, ovviamente) con il James Webb Space Telescope, in una delle più complicate, avanzate, e rischiose (per il telescopio) operazioni ingegneristiche della storia.

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Le fasi del viaggio del Telescopio Spaziale James Webb
Le fasi del viaggio del Telescopio Spaziale James Webb

Aggirarsi per il cosmo con le difficoltà narrate nel… film “Il diritto di contare”

Ovviamente l’esempio soprastante è forzato: quando si viaggia nello spazio cosmico non si deve tenere conto dell’esistenza o meno di autostrade, dell’attrito del terreno o dell’aria, degli eventuali ostacoli (con qualche eccezione).

Però resta utile per capire le difficoltà di calcolo affrontate – e superate – per questa missione ai limiti estremi delle nostre capacità tecnologiche attuali. Ma andiamo con ordine.

Ai tempi dei primi viaggi spaziali, quando ancora l’uso dei computer era precluso a pochi grandi laboratori militari o universitari, la stessa NASA (National Auronatics and Space Administration, l’ente responsabile delle attività aeronautiche e aerospaziali civili negli USA) utilizzava gruppi di giovani donne per effettuare i complessi calcoli necessari a definire le traiettorie orbitali (a chi interessa questa storia davvero appassionante consiglio di vedere il film “Il diritto di contare”).

In seguito le “calcolatrici umane” vennero affiancate da un IBM 7090, un computer di seconda generazione, a transistor, che occupava una grande stanza ed era capace di 230.000 addizioni o sottrazioni al secondo (40.000 moltiplicazioni o divisioni).

Grazie alle sue capacità di calcolo – per allora davvero eccezionali – e al genio di alcune di queste ragazze, la prima missione orbitale di John Glenn ebbe successo.

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La meccanica lagrangiana del Telescopio Spaziale James Webb
La meccanica lagrangiana del Telescopio Spaziale James Webb

Perché è complicato? In gioco difficili equazioni e un infinito numero di fattori

Ma perché è così complicato? Dopotutto basta una bella spinta e ci si trova nello spazio no? No.

Le equazioni che descrivono queste traiettorie sono estremamente complesse: occorre tenere conto di numerosi fattori, sia nelle prime fasi di volo atmosferico, sia nell’orbita bassa, sia nello spazio profondo.

Nuovi metodi matematici (talvolta la reinvenzione di metodi vecchi) sono stati creati per risolvere questi problemi, e ancora oggi non è affatto uno scherzo: sia per le velocità e le energie in gioco, sia per la complessità ingegneristica di motori e mezzi.

Vi siete mai chiesti perché ci sono voluti decenni e un visionario folle come Elon Musk per costruite razzi in grado di atterrare come nei fumetti di Buck Rogers, come i Falcon 9 e la futura StarShip?

Oggi i computer sono molto più potenti e la matematica per le traiettorie spaziali ben conosciuta.

Giusto per fare due conti, l’IBM 7090 aveva una capacità di calcolo media di circa 100.000 operazioni in virgola mobile al secondo (100 kflops), costava 3 milioni di dollari dell’epoca, equivalenti a circa 20 milioni attuali e occupava una stanza bella grande alla NASA.

Un chip M1 su un attuale MacBook Air Apple, un computer portatile dal costo di 1.000 dollari circa e dal peso di 1,3 chilogrammi, ha una GPU (unità grafica di calcolo) capace di sviluppare 5.200.000.000.000 (5.200 miliardi) di operazioni in virgola mobile al secondo (5.2 Teraflops). Ovvero 52 milioni di volte più veloce.

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Il dispiegamento del Telescopio Spaziale James Webb
Il dispiegamento del Telescopio Spaziale James Webb

Sei mesi per le delicate opere di messa a punto e trenta giorni di rallentamento

Così il nostro caro James Webb è stato lanciato con un razzo Ariane 5 dallo spazioporto di Kourou nella Guyana Francese, essendo la missione in collaborazione fra NASA, ESA (European Space Agency) e CSA (Canadian Space Agency), è arrivato in orbita bassa intorno alla Terra in pochi minuti, quindi con un’altra bella spinta si è messo in viaggio verso il suo “parcheggio”, in direzione del quale ha viaggiato per trenta giorni rallentando gradualmente, in modo da porsi nella propria orbita alla giusta velocità.

Ha quindi compiuto la fase di messa a punto, una serie di operazioni delicatissime durate circa sei mesi.

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Dai cinque-dieci anni di funzionamento a venti grazie a una macchina precisissima

L’operazione è stata talmente precisa che ha consumato molto meno carburante del previsto per le necessarie correzioni di rotta, così la durata della vita utile del telescopio è passata da un minimo di cinque-massimo di dieci anni a ben venti anni di funzionamento.

Perché porre un telescopio nello spazio?

Occorre premettere che non tutti i telescopi operano nelle frequenze della luce a noi visibile. Anzi, in molti casi altre frequenze sono molto più utili per fare scienza.

Fondamentalmente, un telescopio nello spazio non risente delle deformazioni e dei disturbi causati dalla nostra atmosfera.

Non deve neppure fare i conti con la presenza di satelliti e oggetti artificiali orbitanti intorno al nostro pianeta.

Quindi lanciare un telescopio nello spazio ci permette osservazioni molto più precise, almeno in alcune frequenze specifiche.

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Telescopi spaziali a confronto a sinistra, la stessa porzione di cielo vista dall’Hubble Space Telescope e, a destra, osservata dal più recente James Webb
Telescopi spaziali a confronto: a sinistra, la stessa porzione di cielo vista dall’Hubble Space Telescope (un centinaio di giorni fra esposizione ed elaborazione) e, a destra, osservata dal più recente James Webb (un solo giorno): la fetta di universo “catturata” è grande come un granello di sabbia tenuto in mano col braccio teso

Uno sguardo esteso a ben 13 miliardi di anni luce dei 13,8 di vita del nostro universo

James Webb è stato il secondo amministratore della NASA ai tempi delle missioni Apollo.

Il telescopio a lui dedicato opera nel campo della luce visibile da 0,6 micron (luce visibile rossa) a 23 micron (medio infrarosso).

Quindi è differente dal suo predecessore, tuttora funzionante dopo 22 anni di onorato servizio, l’Hubble Space Telescope, che osserva fra 0,1 micron (ultravioletto) a 1 micron (vicino infrarosso).

Il JWST è quindi concepito per vedere, con una risoluzione impensabile fino ad oggi, gli oggetti più lontani dell’universo visibile, a oltre 13 miliardi di anni luce di distanza.

Ovvero agli inizi dell’Universo come lo conosciamo, visto che esiste da 13.800.000.000 anni circa.

Poiché la luce ha velocità finita, se vediamo una galassia distante 13 miliardi di anni luce, vediamo una galassia di 13 miliardi di anni fa! Da brividi, vero?

Un’evocativa immagine, mostra la stessa porzione di cielo vista dall’Hubble Space Telescope (100 giorni fra esposizione ed elaborazione), a sinistra, e lo stesso lavoro compiuto dal James Webb Space Telescope (un giorno), a destra.

La porzione di cielo osservata nella doppia immagine è grande come un granello di sabbia tenuto in mano col braccio teso.

E quelle che si vedono sono quasi tutte galassie. Quelle che appaiono “stirate” sono deformate dalla cosiddetta “lente gravitazionale” causata dalle grandi masse presenti fra noi e l’origine dei fotoni.

Proprio come aveva previsto Albert Einstein oltre un secolo fa.

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L'Attenuatore Virgo del Telescopio Spaziale James Webb
L’Attenuatore Virgo sarà stato utilizzato anche per il Telescopio Spaziale James Webb?

Dal “lontano” 1996 a oggi congegnare il JWST è costato 10 miliardi di dollari

Il progetto è nato nel 1996 e inizialmente era previsto per il lancio nel 2007, quindi nel 2016, infine nel 2022.

Il budget iniziale di 500 milioni di dollari è arrivato negli anni a 10 miliardi di dollari: soldi ben spesi, prima che qualcuno inizi a scandalizzarsi.

Sono cifre ridicole, rispetto ad esempio a quelle che spendiamo quotidianamente per le armi a livello globale.

Ritardi e maggiori costi sono stati dovuti a problemi al sistema di raffreddamento, allo scudo termico, alle valvole di gestione del carburante, all’eccesso di vibrazioni in fase di lancio.

È stato un progetto estremamente impegnativo anche per gli enti coinvolti, sia sul piano economico che di realizzazione ingegneristica.

Il James Webb è davvero un grande telescopio, il più grande mai mandato nello spazio: non più uno specchio unico, monolitico, ma ben 18 esagoni disposti a nido d’ape per arrivare a circa sei metri e mezzo di diametro.

Fu un’idea italiana degli Anni 30 quella di segmentare gli specchi dei grandi telescopi, oggi utilizzata nella maggior parte dei casi, anche per i telescopi terrestri.

Ora, il JWST è uno strumento moderno e molto complesso, forse il più complesso costruito finora.

Nella parte inferiore, ha uno scudo solare (poi vedremo perché), pannelli solari, motori di assetto, serbatoi del propellente, radiatori, antenna per le comunicazioni

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18 segmenti in berillio montati su una struttura in fibra di carbonio e plastica

Nella parte superiore troviamo la parte ottica con lo specchio primario (parabolico), lo specchio secondario (iperbolico) e la raccolta immagini al centro del primario, composto dai 18 segmenti in berillio montati su una struttura in fibra di carbonio e plastica, il tutto su un tubo estensibile che lo collega, ma lo tiene anche separato, dal resto della struttura.

L’utilizzo del berillio è piuttosto singolare, e il grande specchio può essere deformato con estrema precisione grazie a decine di “attuatori” dietro di esso. La parte ottica riesce così a ottenere ben 131 metri di “lunghezza focale”.

Altri due specchi, un terziario fisso e un quaternario mobile, servono per compensare i micro-movimenti durante l’osservazione.

Lo schermo primario è dorato proprio per escludere il più possibile le radiazioni delle lunghezze d’onda che non interessano, e la doratura a sua volta è protetta un sottilissimo strato trasparente di silicio.

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Un confronto fra le capacità visive dell'uomo e dei telescopi Edwin Hubble, William Herschel e James Webb
Un confronto fra le capacità visive dell’uomo e dei telescopi Edwin Hubble, William Herschel e James Webb

Una precisione tale da distare soltanto “pochi atomi” dalla visione ottica ideale

La precisione ottica è tale da distare “pochi atomi” dalla forma ideale (e su questo molti ingegneri salteranno sulla sedia).

Giusto per dare un’idea, un elenco non completo degli strumenti scientifici comprende un bouquet di strumenti davvero eccezionali:

  • NIRCam (Near-Infrared Camera) per immagini da 0,6 a 5 micron;
  • NIRSperc (Near-Infrared Spetctograph), stessa banda, con 200.000 (duecentomila) micro-otturatori in grado ognuno di focalizzarsi su un oggetto osservato dal telescopio (ad esempio, una stella); di fabbricazione europea (Zeiss – Airbus – Astrium) non è stato facile metterlo a punto;
  • FGS-NIRISS (Fine Guidance System / Near-Infrared Imager and Slitless Spectrograph) – Camera per la regolazione fine del puntamento del telescopio e spettroscopia da 0,8 a 5 micron;
  • MIRI (Mid-Infrared Instrument) – Camera e sprettomerto da 5 a 27 micron, dotato di coronografi per individuare e osservare esopianeti

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Un'immagine composita di una porzione di cielo ripresa dai telescopi spaziali James Webb ed Edwin Hubble
Un’immagine composita di una porzione di cielo ripresa dai telescopi spaziali James Webb ed Edwin Hubble

Un mezzo collaborativo, ma il James Webb non è affatto l’erede dell’Edwin Hubble

Quindi il James Webb non è il successore del telescopio Edwin Hubble, ma un oggetto molto diverso e con diversi obbiettivi.

La tendenza nella ricerca di oggi è quella di mettere insieme tanti strumenti specializzati e poi, grazie alla grande potenza di raccolta, condivisione ed elaborazioni dei dati attuale, unire i risultati in immagini di grande interesse e fascinazione.

Vale la pena fare una premessa importante. Tutte le immagini dei telescopi, comprese quelle di Hubble, sono artificialmente modificate in “falsi colori” per rendere più evidente la presenza o meno di specifici elementi.

Quindi non vedremmo quei magnifici colori se fossimo fisicamente nello spazio alla giusta distanza. Ma non sono colori “semplicemente finti”, aggiunti per abbellire. Hanno un preciso significato scientifico, e anche questo è molto bello.

Tale immagine è il risultato della combinazione di dati provenienti dal JWST (sia nel vicino infrarosso sia nel medio infrarosso) e dal telescopio Edwin Hubble (nella luce visibile).

Si tratta di NGC 7496, un’elegante galassia a spirale barrata a 24 milioni di anni luce da noi nella costellazione della Gru.

Naturalmente i colori dei dati del James Webb non sono reali, dal momento che il telescopio cattura luce che il nostro occhio non associa a nessun colore.

Poiché rosso, verde e blu sono associati ai dati presi dall’Edwin Hubble, per l’immagine del nuovo telescopio spaziale è stato usato il ciano per il vicino infrarosso e l’arancione per il medio infrarosso.

Queste immagini non sono soltanto bellissime, ma ci aiutano ad avere una visione più completa degli oggetti che stiamo osservando.

Mentre l’Hubble, catturando luce visibile, mostra meglio la grande barra centrale della galassia e i suoi lunghi bracci di spirale, il Webb nell’infrarosso fa emergere soprattutto le nubi di polvere interne alla galassia, quasi completamente oscure per il precedente telescopio (e va ringraziato il gruppo Facebook “Chi ha paura del buio?” per l’immagine e per la descrizione).

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Lo specchio primario del Telescopio Spaziale James Webb
Lo specchio primario del Telescopio Spaziale James Webb

Molto freddo, molto fermo: nessuna elemento mobile e il MIRI a meno 267 gradi

Un’altra caratteristica tecnologica interessante ed intrigante. Il telescopio James Webb per funzionare bene deve essere molto freddo, grosso modo 230 gradi sotto zero, mentre lo strumento MIRI è ulteriormente raffreddato a meno 267 (6 Kelvin) con uno straordinario “frigorifero” senza parti in movimento, che sfrutta un sistema di onde acustiche in grado di raffreddare l’elio (sistema che probabilmente avrà delle importanti ricadute tecnologiche anche sulla Terra).

Ecco il perché dello scudo solare formato da ben 5 strati, ed ecco perché lo abbiamo posto in un’orbita così lontana dalla Terra, dove allo stato attuale è impossibile andarlo a riparare.

Inoltre, deve stare molto fermo: nessun motore con parti in movimento è presente nella struttura, nessun circuito elettronico o fotocamera che non siano assolutamente indispensabili, a parte i sistemi di puntamento nello spazio.

Ogni minima vibrazione potrebbe disturbare i risultati e ridurre la durata del telescopio.

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La traiettoria del Telescopio Spaziale James Webb
La traiettoria del Telescopio Spaziale James Webb

Così lo scudo solare del JWSP riduce la propria temperatura di un milione di volte

Ecco un’altra tecnologia portata a uno straordinario livello di efficienza per questa missione: un po’ come le soluzioni realizzate per la Formula 1, che prima o poi arrivano anche sulle nostre auto.

I fotoni infrarossi (il calore) provenienti dal Sole rimbalzano fra i diversi strati e vengono dissipati lateralmente portando i 1.300 Watt per metro quadro di incidenza termica sulla parte illuminata a un 0,001 Watt per metro quadro dalla parte del telescopio: un termos che riduce la temperatura di un milione di volte!

Provate a immaginare questo livello di efficienza riportato nei nostri frigoriferi.

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Il vettore Ariane 5 e il Telescopio Spaziale James Webb
Il vettore Ariane 5 e il Telescopio Spaziale James Webb

È un trasformer della dimensione di un campo da tennis ripiegato in soli 4,5 metri

Il James Webb Space Telescope è un transformer.

Già venti anni or sono, quando il progetto giunse alla sua maturazione, fu previsto di utilizzare uno dei lanciatori più efficienti, precisi e affidabili: l’Ariane 5 dell’ESA.

Il design del telescopio ne ha dovuto tenere conto in modo da poter essere contenuto nell’ogiva del razzo con estrema precisione.

Quindi sei parti esagonali dello specchio sono state progettate in modo da potersi ripiegare e gli strati dello schermo termico a loro volta sono stati piegati come un origami, in modo da ridurre le dimensioni di un oggetto grande come un campo da tennis (21 metri di altezza, 14 di larghezza, 8 di altezza) a un carico alto 10,6 metri e largo solo 4 metri e mezzo.

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Il trasporto del Telescopio Spaziale James Webb
Il trasporto del Telescopio Spaziale James Webb

Dall’Europa alla Guyana per mare in una “camera bianca” di 65 tonnellate e 67 metri

Poi è stato trasportato per terra e mare fino alla base di lancio ESA di Kuru nella Guyana Francese, in un contenitore “a camera bianca” di ben 65 tonnellate e lungo 67 metri, mantenuto sotto un continuo flusso di azoto liquido per conservare le condizioni ideali e dotato di un sistema di mitigazione delle vibrazioni.

Avranno, almeno in parte, utilizzato i sistemi di “superattenuatori” messi a punto per gli osservatori di onde gravitazionali come l’interferometro italiano Virgo?

Altro virtuosismo ingegneristico di non poco conto, se teniamo conto del fatto che il JWST avrebbe dovuto affrontare un lungo viaggio via terra e mare, e dispiegarsi durante il viaggio verso il suo obbiettivo senza possibilità di correggere eventuali difetti o errori di progettazione.

E resistere durante il lancio a vibrazioni che possono raggiungere un livello di 120 decibel senza danneggiarsi. Né riscaldarsi troppo (per cui durante il lancio il razzo ha rollato in modo da mantenerlo in ombra).

Quindi, una volta arrivato a destinazione, il telescopio piano piano si è dispiegato secondo lo schema che potete ammirare in un’altra immagine altamente esplicativa. E facendo da solo!

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La meccanica lagrangiana del Telescopio Spaziale James Webb
La meccanica lagrangiana del Telescopio Spaziale James Webb

Due ricadute positive: isolamento termico con Kapton e nuove tecniche optoelettroniche

A dispetto delle persone che non ne sono ancora convinte (e sono fin troppe), ogni missione nel nome della conoscenza dello spazio ha importanti ricadute non soltanto scientifiche, ma anche tecnologiche e pratiche nella vita di tutti i giorni.

Accenniamo qui a un paio di tecniche che potremmo vedere di qui a poco diventare di uso comune anche sul pianeta Terra:

Isolamento termico con fogli in Kapton

Il Kapton è pellicola poliimmide (particolare polimero formato dai cosiddetti monomeri immidi) sviluppata dalla DuPont. È in grado di rimanere stabile in un’ampia gamma di temperature, dai -269 °C a +400 °C.

Tecnologia di costruzione degli specchi

Le tecnologie messe a punto per arrivare ai gradi di precisione necessaria per il James Webb Space Telescope già ora hanno ricadute importanti nei processi industriali e nelle tecniche optoelettroniche (la optoelettronica è una branca dell’elettronica che studia i dispositivi elettronici che interagiscono con la luce e le loro applicazioni).

Questi sono soltanto due esempi, e comunque le immagini che nelle ultime settimane vengono condivise sulla Rete hanno già sancito che il JWST avrà effetti dirompenti innanzitutto sulla nostra conoscenza dell’universo, della vita, di tutto quanto…

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Un'immagine ripresa dal Telescopio Spaziale James Webb e diffusa dalla NASA
Un’immagine ripresa dal Telescopio Spaziale James Webb e diffusa dalla NASA

Fonti:
Austronaticast – Anno 15, puntata 5
Austronaticast – Anno 15, puntata 13 (fino a 58’53”)
Forum Astronautico – James Webb Space Telescope (JWST) Mission Log
https://www.media.inaf.it/2022/01/05/jwst-webb-sunshield/
https://www.esa.int/Science_Exploration/Space_Science/Webb_factsheet
https://www.astrospace.it/2021/07/29/la-guida-completa-al-james-webb-space-telescope/
https://youtu.be/n9MxqFfBTzQ (animazione del lancio)

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Il Telescopio Spaziale James Webb montato
Il Telescopio Spaziale James Webb montato