La plastica sostenibile ottenuta dai rifiuti agricoli è già realtà

Poliammidi sostenibili (ed economiche) a partire dallo zucchero estratto dalle biomasse: c’è già uno spin-off pronto a immetterle sul mercato

Poliammidi sostenibili, lo studio in Svizzera
Le fibre di poliammide sostenibile (tinte e al naturale) dopo l'estrusione (Foto: Lorenz Manker/EPFL)

La ricerca di materiali sostenibili non è mai stata così urgente: in un mondo sempre più fiaccato dagli effetti del riscaldamento globale e alle prese con il rapidissimo sviluppo dei Paesi emergenti, una delle sfide più cruciali è quella rappresentata dalla plastica, ormai onnipresente nella vita quotidiana di ognuno di noi, da un capo all’altro del pianeta.

Oltre al problema dello smaltimento delle materie plastiche, a preoccupare è anche il fatto che queste sostanze sono prodotte a partire da combustibili fossili, motivo per cui la loro sintesi impatta direttamente sull’emissione di gas serra e sul riscaldamento globale.

Gli scienziati dell’EPFL, però, hanno sviluppato un metodo sostenibile per produrre plastiche ad alte prestazioni, come le poliammidi, a partire da uno zucchero estratto dagli scarti agricoli, in particolare da biomasse come il legno o le pannocchie di mais.

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Un'alternativa concreta alle plastiche fossili
Un film trasparente realizzato con le poliammidi sostenibili sintetizzate dagli scarti agricoli (Foto: Lorenz Manker/EPFL)

Plastica sostenibile, una sfida davvero cruciale per il pianeta

Produrre materie plastiche ad alte prestazioni in maniera sostenibile è una sfida cruciale per il futuro del pianeta, soprattutto se si considera che la maggior parte dei materiali performanti, come il nylon o i cosiddetti tecnopolimeri, utilizzano precursori aromatici che sono ancora molto difficili da reperire in modo sostenibile.

Un approccio pionieristico a questo problema arriva dallo studio condotto dal team di Jeremy Luterbacher del Politecnico Federale di Losanna appena pubblicato su “Nature Sustainability”: i ricercatori sono riusciti a sintetizzare delle poliammidi, una classe di plastiche cui appartengono i vari tipi di nylon, a partire da un nucleo di zucchero derivato dagli scarti agricoli.

Il nuovo metodo non soltanto sfrutta una risorsa rinnovabile, ma riesce anche a realizzare questa trasformazione in modo efficiente e con un impatto ambientale minimo.

Le tipiche plastiche a base fossile hanno bisogno di gruppi aromatici per conferire rigidità alle loro plastiche, il che dona loro proprietà prestazionali come durezza, forza e resistenza alle alte temperature“, spiega Luterbacher.

Qui otteniamo risultati simili, ma utilizziamo una struttura di zucchero, che si trova ovunque in natura e che generalmente è completamente atossica, per fornire rigidità e proprietà prestazionali“.

Il carboidrato ottenuto da prodotti di scarto, si legge nello studio, è in grado di conferire alle plastiche prestazioni in grado di competere con quelle dei polimeri “classici”, o semiaromatici.

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Poliammidi sostenibili dagli scarti agricoli
Il nuovo materiale poliammidico ancora nello stampo dopo lo stampaggio a iniezione (Foto: 2024 EPFL)

Quelle poliammidi sostenibili e a un prezzo competitivo…

Lorenz Manker e i suoi colleghi hanno sviluppato un processo privo di catalizzatori per convertire lo xilosio dimetil gliossilato (DMGX), un carboidrato stabilizzato ricavato direttamente da biomasse come il legno o le pannocchie di mais, in poliammidi di alta qualità.

Il processo, oltre ad essere sostenibile, è anche estremamente efficace: raggiunge infatti un’impressionante efficienza atomica del 97 per cento, il che significa che pressoché tutto il materiale di partenza viene impiegato nel prodotto finale, riducendo drasticamente gli sprechi.

Quello che gli scienziati sono riusciti ad ottenere sono poliammidi amorfe con prestazioni paragonabili alle alternative semiaromatiche a base fossile. Come si legge nello studio, “nonostante la presenza di un nucleo di carboidrati, questi materiali mantengono le loro proprietà termomeccaniche grazie a molteplici cicli di riciclo meccanico ad alto taglio e possono essere riciclati chimicamente”.

Non soltanto: l’analisi tecnico-economica e la valutazione del ciclo di vita delle nuove poliammidi sostenibili hanno dimostrato che questi materiali potrebbero avere “un prezzo competitivo rispetto alle poliammidi tradizionali, compresi i nylon (ad esempio il nylon 66), con una riduzione del potenziale di riscaldamento globale fino al 75 per cento”.

Come si legge nello studio, le poliammidi hanno un alto valore di mercato, con prezzi che vanno dai 3-7 dollari al chilo per il nylon 66 fino a 20 dollari al chilo per le poliftalammidi (PPA) semiaromatiche ad alte prestazioni a base di acidi ftalici e loro copolimeri.

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Il monomero sostenibile che può cambiare la plastica
Lorenz Manker, primo autore dello studio, posa con 1,5 kg di monomero DMGX in mano davanti al reattore di polimerizzazione (Foto:  2024 EPFL)

Un processo efficiente in grado di ridurre l’impronta ambientale

Punto di partenza per le poliammidi sostenibili è il dimetil gliossilato di xilosio (DMGX), un precursore polimerico che può essere prodotto a partire da biomasse disponibili e che è già stato usato per produrre poliesteri degradabili.

Nel nuovo studio, lo stesso composto viene utilizzato per la sintesi di poliammidi ad alto peso molecolare, utilizzando la fusione a 250 gradi centigradi, senza bisogno di un catalizzatore e con tempi di reazione di appena tre ore.

La produzione di monomeri sostenibili da incorporare nelle poliammidi ingegnerizzate potrebbe ridurre notevolmente l’impronta ambientale dell’industria chimica, offrendo al contempo la possibilità di valorizzare la redditività della biomassa lignocellulosica aprendo a un mercato ad alto valore aggiunto rispetto a quello di poliesteri e poliolefine di base.

Le poliammidi tradizionali, come il nylon o il Kevlar, presentano un’alta resistenza agli urti, all’usura, ai solventi e agli oli, assicurando un discreto isolamento termico.

In termini di sostenibilità, però, c’è ancora molto da lavorare. Lo si vede bene prendendo in considerazione il potenziale di riscaldamento globale (GWP), che esprime il contributo di un materiale all’effetto serra e che per le poliammidi è particolarmente alto. Come si legge nello studio, “la poliammide più comune, il nylon 66, ha un GWP di circa 8-9 kg CO2-equivalente per chilo”, contro i 3 kg del polietilene tereftalato (PET).

Interessante notare anche come nella sintesi del nylon, gran parte del GWP è dovuto proprio al precursore, cioè all’acido adipico, che da solo “pesa” per 8,5 kg.

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Poliammidi sostenibili dai rifiuti agricoli: lo studio
La poliammide ottenuta dagli scarti agricoli è resistente e flessibile e può essere attorcigliata e intrecciata senza rompersi (Foto: 2024 EPFL)

Una vera alternativa concreta all’impiego delle plastiche fossili

Nell’analisi della sostenibilità complessiva del nostro materiale abbiamo considerato anche altre categorie di impatto ambientale oltre al GWP”, spiegano gli scienziati. Come spesso avviene per i prodotti bio-based, l’onere ambientale per la produzione di queste poliammidi si sposta altrove, coinvolgendo in particolare la trasformazione naturale del suolo e l’ecotossicità provocate dall’agricoltura intensiva.

La plastica ottenuta da scarti agricoli, si legge nello studio, “ha ridotto questo onere rispetto ad altre poliammidi bio-based che coltivano colture oleaginose esclusivamente per questo scopo (ad esempio, le poliammidi derivate dall’olio di ricino)”. L’utilizzo di residui agricoli anziché di oli vegetali, inoltre, riduce notevolmente l’impatto sull’acidificazione terrestre, sull’eutrofizzazione delle acque dolci, sull’ecotossicità marina e sull’esaurimento dei combustibili fossili.

Le poliammidi bio-based sviluppate dai ricercatori dell’EPFL offrono un’alternativa molto promettente alle plastiche fossili, per una varietà di applicazioni che vanno dalle componenti automotive fino ai filamenti per la stampa 3D e ai beni di consumo.

Trovare precursori di materie plastiche che possano essere sintetizzati con elevata efficienza da materie prime abbondanti e rinnovabili, che siano compatibili con diversi materiali chimici e che possano offrire proprietà prestazionali simili a quelle dei monomeri aromatici e ftalati faciliterebbe notevolmente la concorrenza con i prodotti derivati dal petrolio”, dimostra ancora lo studio.

La strada è ancora lunga ma il progresso viaggia veloce: la produzione di questi nuovi materiali è già in fase di scale-up grazie a Bloom Biorenewables, la spin-off dell’EPFL che punta a immetterli sul mercato. L’alternativa concreta alle plastiche fossili è già una realtà.

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