Plastica nell’Atlantico: le 5 zone più rischiose per gli animali
Per la prima volta uno studio rivela le zone atlantiche settentrionali in cui i rifiuti derivati dal petrolio sono molto più pericolosi per la vita marina
Un nuovo studio del Plymouth Marine Laboratory rivela le cinque regioni dell’Oceano Atlantico i cui i rifiuti di plastica minacciano più gravemente la megafauna marina.
Le cinque zone ad alto rischio sono distribuite da un capo all’altro dell’Atlantico settentrionale: qui il rischio di impigliarsi e soffocare a causa di reti, sacchetti e packaging alimentare è altissimo soprattutto per uccelli marini e cetacei, ma anche per i coralli e per le foreste di mangrovie.
Per la prima volta gli scienziati sono riusciti a ricostruire il lunghissimo viaggio della plastica, e le sorprese non mancano: se le montagne di rifiuti marini che infestano le coste statunitensi arrivano per buona parte dagli stati federati, la situazione del Golfo del Messico e delle Azzorre non sembra affatto legata al “consumo interno”. La plastica che soffoca balene e delfini, in sostanza, proviene da molto lontano.
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Atlantico, i rifiuti viaggiano per migliaia di chilometri
Quello dei rifiuti in plastica che soffocano gli oceani del mondo è un problema dai contorni quasi sconfinati: si stima che soltanto nel 2016 siano entrati in circolo negli ecosistemi acquatici tra i 19 e i 23 milioni di tonnellate metriche di rifiuti in materiali plastici. E le stime prevedono che questa cifra triplicherà entro il 2030.
Circa l’80 per cento dell’inquinamento da plastica in mare è costituito da rifiuti di origine terrestre: sacchetti di plastica, packaging alimentare, posate usa e getta e altri oggetti monouso sono quelli più comuni. Il problema è reso particolarmente grave dal fatto che questi oggetti viaggiano anche per migliaia di chilometri per effetto delle correnti oceaniche, e sono quindi estremamente difficili da monitorare e gestire.
Come spiega Samantha Garrard del Plymouth Marine Laboratory, “è stato dimostrato che i rifiuti di plastica provenienti dall’Indonesia hanno viaggiato per oltre 4.000 km fino alle Seychelles”, e non si tratta di un caso isolato.
Ad essere a rischio sono oltre 4.000 specie marine, alcune delle quali particolarmente sensibili agli effetti dell’inquinamento da plastica, che non riguarda solo le reti da pesca: “Gli animali possono anche rimanere impigliati in plastiche di origine terrestre, come sacchetti di plastica, frisbee, reti per patate, elastici e altre plastiche circolari”, spiega Garrand.
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Valutazione del rischio spaziale dei rifiuti di plastica di origine terrestre e del rischio per la megafauna marina e i principali habitat costieri nell’Atlantico settentrionale, compresa l’identificazione delle 5 zone ad alto rischio (Garrard et al., Science of The Total Environment 2024)
Le 5 aree ad alto rischio dell’Atlantico settentrionale
Il team del Plymouth Marine Laboratory guidato dalla Garrard ha modellato il trasporto di plastica da 16 Paesi che si affacciano sull’Atlantico settentrionale, rilasciando miliardi di particelle di plastica virtuali dai fiumi tra il 2000 e il 2015. Dopo un’analisi durata 15 anni, il modello ha mostrato dove si accumulava la plastica galleggiante trasportata dalle correnti superficiali e dal vento.
“La nostra ricerca ha evidenziato cinque aree ad alto rischio: l’Atlantico statunitense, il Golfo del Messico, il Regno Unito, l’Atlantico francese e le Azzorre portoghesi”, spiega Samanta Garrard.
Lo studio ha valutato i rischi dei rifiuti in plastica per i principali gruppi di megafauna marina (uccelli, cetacei, elasmobranchi come squali e razze, tartarughe, foche e leoni marini, lamantini e dugonghi, tonni e pesci di mare) e per una selezione di habitat naturali delle acque basse particolarmente importanti da un punto di vista ecologico, quali barriere coralline, foreste di mangrovie e letti di alghe kelp.
“Per valutare il rischio”, spiega Garrard, “abbiamo mappato la vulnerabilità e la distribuzione di ciascun gruppo di megafauna o habitat rispetto all’abbondanza di plastica. A ogni punto della mappa è stato assegnato un punteggio di rischio da zero a cinque. Il rischio maggiore si è verificato nelle aree in cui un numero elevato di animali o di habitat vulnerabili si sovrapponeva ad alte concentrazioni di plastica”.
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Nel corso dell’indagine, i ricercatori hanno scoperto che gran parte dei rifiuti in plastica che causano rischi nelle acque del Regno Unito provengono dai fiumi britannici. Al contrario in altre zone ad alto rischio, come le Azzorre e il Golfo del Messico, la plastica proviene principalmente da altre regioni. Secondo le stime, “oltre il 99 per cento dei rifiuti di plastica nelle Azzorre proviene da altri Paesi, principalmente dalle isole caraibiche e dagli Stati Uniti”.
La capacità della plastica di percorrere enormi distanze la rende un inquinante ancora più difficile da monitorare e gestire: “Si stima che oltre il 90 per cento dei rifiuti di plastica nella Repubblica Dominicana e ad Haiti sia gestito in modo scorretto”, spiega la ricercatrice, e questo ha il potenziale per causare danni all’altro capo dell’Atlantico.
Perciò il Trattato globale sulla plastica, i cui negoziati dovrebbero concludersi entro la fine di quest’anno, è di primaria importanza per la tutela dell’ambiente: oltre a ridurre il consumo e i rifiuti in plastica, prevede un sostegno attivo per aiutare le Nazioni a basso reddito, come quelle caraibiche, ad attuare misure per il corretto smaltimento delle materie plastiche. “L’identificazione delle zone ad alto rischio”, continua Garrard, “aiuterà anche a stabilire le priorità delle aree in cui gli interventi e il monitoraggio dovrebbero essere indirizzati”.
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I risultati dello studio: gli animali e gli habitat più a rischio
I risultati dello studio del Plymouth Marine Laboratory evidenziano che gli animali marini più a rischio sono gli uccelli, i cetacei, le tartarughe e gli elasmobranchi. Le plastiche in fogli, come sacchetti di plastica e involucri di cibo, sono state il tipo di rifiuti plastici di origine terrestre più comunemente ingerito dalla maggior parte della megafauna marina, ad eccezione degli uccelli marini, che in genere risultano più esposti al rischio di ingerire frammenti di plastica dura.
Gli habitat più a rischio, invece, sono le mangrovie e le barriere coralline, entrambi fondamentali in quanto forniscono protezione alle coste minacciate dall’erosione e zone di rifugio e nidificazione agli animali marini.
L’impigliamento di frammenti di materie plastiche, infatti, causa rotture e malattie nei coralli e può spezzare rami e radici delle mangrovie. Ciò ha portato a una frequente mortalità dei coralli e a una notevole riduzione delle mangrovie.
Come spiega la Garrand, prima autrice dello studio, “questi risultati evidenziano il potenziale delle analisi di valutazione del rischio spaziale per determinare l’ubicazione delle zone ad alto rischio e capire dove il monitoraggio e la gestione dei detriti di plastica dovrebbero essere prioritari, consentendo un dispiegamento più efficiente degli interventi e delle misure di mitigazione”.
Certo è che le misure globali come il Trattato sulla Plastica devono essere accompagnate dalle scelte dei consumatori, che dovrebbero essere sempre più votate al riutilizzo e al riciclo della plastica. La fauna marina aspetta buone notizie. E non possono che provenire da noi.
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