Il rumore dell’oceano è cambiato e interi ecosistemi sono minacciati
Il paesaggio sonoro dei grandi mari ai tempi dell’Antropocene: così il fracasso subacqueo prodotto dagli uomini minaccia oltre 150 specie
Nell’acqua, il suono viaggia più velocemente e arriva più lontano rispetto ad altre fonti d’informazione. Così, nel corso dell’evoluzione, è diventato un punto di riferimento per molti organismi, che hanno iniziato a utilizzarlo per interagire e per interpretare l’ambiente marino.
Dalle balene ai piccoli invertebrati, nell’oceano sono in molti a dipendere dalla chiarezza del paesaggio sonoro marino. Il suono dell’oceano dell’Antropocene è però molto diverso da quello dell’età pre-industriale: i rumori prodotti dalle attività umane sono ormai predominanti, e hanno un pesante impatto sulla vita del mare.
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Il rumore figlio dell’uomo: impatto su almeno 150 specie marine
L’oceano non è mai stato silenzioso, al contrario. Prima della rivoluzione industriale, però, il paesaggio sonoro marino era costituito essenzialmente dai suoni provenienti da fonti geologiche e biologiche: terremoti, tempeste, eruzioni sottomarine, canti e impulsi di grandi cetacei e piccoli organismi marini.
Nell’oceano dell’Antropocene, la biofonia è calata drasticamente a causa della graduale scomparsa di molti animali marini “rumorosi”, mentre i livelli di rumore di origine antropica sono raddoppiati di decennio in decennio, a partire dagli Anni Sessanta.
“Ci sono molte prove che l’inquinamento acustico sottomarino sia un problema per molte specie marine: fino ad oggi sono stati documentati impatti su almeno 150 specie”, spiega la dottoressa Lindy Weilgart, autrice dell’ultimo rapporto pubblicato dalla Convention on the Conservation of Migratory Species of Wild Animals (CMS) dell’ONU.
Gli animali esposti ai forti rumori emessi dalle attività umane, si legge nel report, possono subire lesioni dirette e modifiche permanenti della loro soglia uditiva, cosa che compromette la loro capacità di orientarsi e comunicare. I rumori prodotti dall’uomo possono arrivare ad allontanare intere popolazioni dal proprio habitat, e coprire importanti suoni naturali, come il richiamo di un compagno.
Uno studio pubblicato sulla rivista “Science” nel 2021 ha dimostrato che negli ultimi 50 anni il trasporto marittimo ha provocato un aumento di 32 volte del rumore a bassa frequenza lungo le principali rotte marittime.
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Il paesaggio sonoro dell’oceano nell’Antropocene è molto diverso
Come si legge nello studio citato, nelle profondità marine il suono si propaga più velocemente e arriva più lontano rispetto ad altri segnali sensoriali, come la luce o le sostanze chimiche. Gli animali marini hanno sviluppato un’ampia gamma di recettori per la rilevazione del suono, e questo va ben oltre il regno di pesci e cetacei: anche gli invertebrati, come le meduse, recepiscono i suoni. Lo spettro sonoro che ricade nell’orizzonte di senso delle creature marine è impressionante: se i rettili possono percepire suoni di frequenza inferiore a 5 kHz, i grandi cetacei rilevano suoni fino a 200 kHz.
Ma come sono cambiati i rumori dell’oceano nell’epoca dell’Antropocene? I suoni di origine geologica restano una fonte importante, come anche quelli legati al clima: il vento che soffia, la pioggia sulla superficie del mare, il processo stagionale di scioglimento dei ghiacci sono elementi fondamentali degli scenari sonori marini in diverse regioni del mondo.
Poi c’è la biofonia: “Gli animali marini producono intenzionalmente suoni che vanno dagli infrasonici (<20 Hz) agli ultrasonici (>20 kHz), sebbene la maggior parte sia emessa tra 10 Hz e 20 kHz e sia udibile da un’ampia gamma di taxa”, si legge nello studio. Si tratta di suoni che vengono emessi anche in sequenze regolari o “schemi temporali”, come avviene nei melodiosi canti delle balene, che mostrano una certa interazione con gli altri suoni naturali del mare.
Questa millenaria sinfonia oceanica, un tempo dominata da canti e tremori di vulcani sottomarini, è gravemente minacciata da un frastuono cacofonico di origine antropica: la navigazione, l’esplorazione sismica, le attività militari e industriali hanno un impatto sempre più violento sul paesaggio sonoro marino.
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La minaccia del rumore non riguarda solotanto delfini e balene…
I paesaggi sonori marini sono al centro di una ricerca condotta da Lucia Di Iorio, professoressa dell’Università di Perpignan alla guida delle indagini su Soundscape Oceanography & Ecoacoustics. Il suo compito, nell’ambito dei progetti internazionali TREC e BiOcean5D, è quello di registrare i suoni sottomarini lungo le coste europee per meglio comprendere la biodiversità marina e l’impatto del rumore di origine antropica sugli organismi.
“Il traffico navale compromette la comunicazione degli animali”, spiega la Di Iorio intervistata da Euronews. “È come se si vivesse vicino a un’autostrada, o a una strada trafficata, con le auto che passano in continuazione“. La ricercatrice sta lavorando sulla possibile influenza dei suoni sottomarini sul fitoplancton: il problema dell’inquinamento sonoro è da sempre sottostimato, da questo punto di vista. È soltanto da dieci anni a questa parte che è divenuto chiaro che la minaccia va ben oltre balene e delfini.
Diverse indagini hanno confermato che anche le meduse, i crostacei e le barriere coralline stanno soffrendo per il rumore prodotto dall’uomo: il problema riguarda l’intero ecosistema, ed è una minaccia concreta da affrontare quanto prima.
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Come diminuire il rumore degli oceani? Alcune delle soluzioni
Il report della Convention on the Conservation of Migratory Species of Wild Animals (CMS) delle Nazioni Unite per la prima volta intende offrire soluzioni concrete e orientamenti pratici sulle migliori tecnologie disponibili (BAT) e sulle migliori pratiche ambientali (BEP) per ridurre il rumore derivante dalle attività umane sott’acqua.
Il documento prende in considerazione tre delle principali fonti di inquinamento acustico: il trasporto marittimo, le indagini sismiche con armi ad aria compressa (utilizzate nell’esplorazione di petrolio e gas) e la palificazione, tecnica di costruzione utilizzata per parchi eolici offshore e altre infrastrutture marine.
Il metodo più efficace per ridurre gli impatti negativi del rumore sottomarino sulla fauna, si legge nel rapporto, è l’applicazione di tecnologie silenzianti. In alcuni casi, queste pratiche di “silenziamento” possono essere anche un contributo alla mitigazione del cambiamento climatico. Un esempio su tutti è il cosiddetto slow steaming, cioè la riduzione della velocità delle navi mercantili e portacontainer: silenziare il 10-15 per cento delle navi più rumorose sarebbe già una soluzione efficace, si legge nel rapporto, poiché queste “contribuiscono in maniera sproporzionata al rumore complessivo generato dalla navigazione”. Riducendo la velocità di navigazione, inoltre, si consuma meno carburante e si producono meno emissioni di CO2.
Le indagini sismiche con armi ad aria compressa dovrebbero essere sostituite da alternative più silenziose, e anche laddove non sia possibile abbracciare le nuove tecnologie esistono delle misure di mitigazione del danno che andrebbero applicate, per esempio evitare di eseguire queste indagini nelle aree marine ad alta intensità di popolazione ed eseguire dei precisi screening della vita acquatica almeno uno o due anni prima delle operazioni.
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