Virginia Stagni: "Nel lavoro la capacità di adattarsi è innovazione"

Bolognese, è stata la più giovane manager di sempre al Financial Times: oggi è tornata in Italia dopo quasi 10 anni ed è CMO in Adecco Group

Virginia Stagni: Adecco Group
Virginia Stagni, 30 anni, da settembre 2023 è Chief Marketing Officer del team italiano di Adecco Group (Foto: Adecco Group)

A meno di trent’anni è diventata la più giovane manager nella storia ultracentenaria del prestigioso quotidiano britannico Financial Times ed è entrata nella lista Forbes Italia Under 30 e Fortune Under 40.

Oggi, che di anni ne ha poco più di trenta, e dopo averne trascorsi quasi dieci a Londra, la bolognese Virginia Stagni è tornata in Italia per affrontare una nuova sfida: ricoprire il ruolo di Chief Marketing Officer e di membro del leadership team italiano in Adecco Group.

Laureata in Economia e Management per le Arti, la Cultura e la Comunicazione all’Università “Luigi Bocconi” di Milano, Stagni ha conseguito il master in Media & Communications alla London School of Economics and Political Science. Nel 2017, come detto, è entrata nel gruppo editoriale Financial Times di Londra e nel 2020 è diventata Head of Business Development e Director del dipartimento FT Talent, da lei fondato.

Tra i numerosi riconoscimenti che le sono stati attribuiti spicca il premio dell’Ambasciata Italiana a Londra “Talented Young Italians”, per aver sviluppato internazionalmente la relazione tra Regno Unito e Italia. A settembre 2023 l’inizio della nuova sfida, accettata per mettersi alla prova sia professionalmente sia a livello personale. Ne abbiamo parlato con lei nel corso di un’intervista in cui i temi della crescita e dell’innovazione sono stati al centro.

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Virginia, a trent’anni ha già collezionato esperienze professionali e personali molto importanti. Proviamo a ripercorrerle, partendo dalla sua attività a Londra e dal suo approdo al Financial Times sino a oggi.

“Al netto della mia formazione, ormai nota, direi che ho iniziato e continuo ad avere un’enorme passione per i giornali e il mondo dell’informazione, e mi sono sempre concentrata su come renderli attrattivi per un pubblico che oggi ci vede qualcosa di polveroso e tradizionale. A volte lo è, a volte non è o potrebbe non esserlo. Questa è stata una bellissima sfida, ho iniziato come stagista e sono andata avanti. Mi sono accorta, quando si parlava di futuro e di azienda, e di come stavamo pensando di modificarne le vesti, che cambiavano persone, expertise e background, e che questo condizionava il cambiamento stesso. Questo mi riporta al ruolo che ricopro oggi: il tema delle persone è sempre stato centrale rispetto a come si fa business development, ed è nato un bellissimo dibattito tra informazione e giovani, ma sopratutto sono arrivata in Adecco, azienda in cui gestisco la parte di marketing e comunicazione. L’obiettivo è portare la mia esperienza per provare a cambiare la narrativa del mondo del lavoro verso i diversi pubblici, Under 30 e Gen Z in particolare”

Dopo quasi dieci anni trascorsi in Inghilterra, come è stato il rientro in Italia?

“Ora abito a Milano, sono rientrata a settembre e mi sto ancora ‘ambientando’. Sicuramente c’è un impatto interessante da un punto di vista culturale rispetto all’approccio al lavoro, poiché il modus operandi dei colleghi è differente rispetto a quello britannico. La sto vivendo come una esperienza interessante, osservando un modo parzialmente diverso di visione e gestione del lavoro”.

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Quali sono le principali differenze che ha rilevato?

“Il pro degli italiani è che spesso si è talmente appassionati di ciò che si fa da metterci tutto, e lo si tramette anche agli altri. Questo era uno dei miei punti di forza dentro FT. Di contro c’è che in Inghilterra il distacco tra vita privata e la vita lavorativa si fa sentire, c’è una forte educazione in tale senso, mentre in Italia spesso le cose vengono prese molto sul personale, tralasciando l’oggettività del dato, del feedback e delle decisioni prese. Che vengono tante volte interpretate come decisioni che colpiscono il personale, fatte contro la persona che rappresenta il progetto. Una sorta di identificazione che nel mondo anglosassone non c’è. Ovviamente l’adattamento è parte della sfida. Questo mi fa un po’ sorridere, perché ho in parte incamerato la visione anglosassone, anche se quando ero a FT venivo considerata ‘troppo italiana’ nei modi. Sono sempre stata diretta, espansiva, e da alcune persone veniva interpretato come eccessivo, anche se evidentemente a chi dovevo rendere conto risultava come un valore aggiunto, soprattutto in un ruolo commerciale”.

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Virginia Stagni: National Kick Off 2024
Virginia Stagni, nuovo Chief Marketing Officer, sul palco del National Kick Off 2024 di Adecco Group (Foto: Adecco Group)

Ha citato la Gen Z e gli under 30, che ormai da diverso tempo stanno attraversando una grande trasformazione nel mondo del lavoro, esterna ma anche interna. Molti giovani scelgono di cambiare una professione che non li soddisfa, si usano termini come “great resignation” per parlare di un fenomeno che ha visto moltissime persone dare le dimissioni da lavori considerati sicuri sopratutto a livello finanziario. Che cosa ne pensa?

“Si cambia lavoro perché non si è felici. Dirò un’ovvietà, ma è certamente vero che il COVID-19 ha portato moltissime persone a ripensare alla loro scala di valori e alle ambizioni, ed è innegabile la forte importanza che le nuove generazioni danno al bilanciamento tra vita privata e lavoro. Qualcosa che prescinde l’insoddisfazione legata al salario, e riguarda più la personalità, i desideri e le aspirazioni. Non mi sono trasferita in Italia perché desideravo cambiare vita, ma sono tornata perché c’era un’ottima opportunità di lavoro che andava a soddisfare diversi miei bisogni che non sono tangibili. Credo sia primario sentirsi realizzati in un disegno di visione che va al di là della mansione quotidiana, e i datori di lavoro o i gruppi che fanno il nostro mestiere come Adecco sono quelli che riescono a far vedere cosa c’è oltre la job description”.

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E che cosa c’è?

“Un match tra il proprio sistema di valori e quelli dell’ambiente in cui si sta andando a lavorare. In assenza è difficile che un lavoratore possa sentirsi soddisfatto a lungo termine ed è per questo che ci sono persone che hanno una certa posizione, o che vengono messe a ricoprire un ruolo che permette di cambiare quella determinata cultura. In azienda è importante far capire il disegno organizzativo, spiegare perché si fanno determinate cose e non farle cadere dall’alto: se non mi si spiega perché devo fare un lavoro o sto facendo qualcosa mi sento sostituibile, alla stregua di un’autonoma. Se capisco che non sono sostituibile e posso dare quel quid in più, cambia completamente la prospettiva”.

La tecnologia ha ricoperto un ruolo fondamentale nella sua carriera e nella sua esperienza lavorativa. Eppure molti ne hanno paura, ritenendo che possa andare a sostituire l’elemento umano.

“Chi faceva l’enciclopedia ha visto nella tecnologia chi gli rubava il lavoro, e alcuni non hanno saputo adattarsi a una versione diversa del nuovo mestiere, ma non per forza deve andare in questo modo. Significherebbe altrimenti che quando è arrivata la TV la radio doveva sparire, quando è arrivato Internet la TV doveva sparire: si pensa sempre che la versione nuova vada a sostituire il vecchio ma, come accade in archeologia, lo strato nuovo non erode lo strato precedente. La stessa cosa succede nell’ambito della trasformazione tecnologica. Parliamo sempre di strumenti, non di un totale ente indipendente che prende decisioni”.

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Virginia Stagni, nuovo Chief Marketing Officer, sul palco del National Kick Off 2024 di Adecco Group (Foto: Adecco Group)

Ultimamente si parla moltissimo del ruolo dell’intelligenza artificiale, e di come potrebbe mettere a rischio posti di lavoro.

“Anche questo è un preconcetto. In una recente ricerca che abbiamo fatto in Adecco è emerso che il 53 per cento dei lavoratori ha già richiesto ai propri datori di lavoro di avviare percorsi di formazione sull’intelligenza artificiale generativa. Per white e blue collar lo strumento tecnologico può essere un nuovo volano per l’upskilling. Per me è più interessante capire quali mansione vengono sostituite, e quanto diventa più elastica la nostra mente perché utilizza nuovi e maggiori strumenti. Per questo è importante avere nuove figure che si inseriscono e si intersecano in spazi che prima non c’erano. La vedo più come una questione di crescita professionale e mindset. Io, per esempio, non sono una coder e non posso parlare come una coder, ma so parlare con un coder, so comunicare con lui: è interessante dover adattare i diversi linguaggi alle persone che devi gestire e quelle che devi assumere”.

Ritiene che in questo senso in Italia vi siano poli di formazione adeguati?

“Esistono assolutamente poli per formare e percorsi di formazione che uniscono la parte tech & code. In Adecco per esempio abbiamo una sezione dedicata all’ingegneristica, abbiamo il nostro gruppo che fa solo formazione sul passaggio tecnologico e digitale, e poi ci sono eccellenze come la Bocconi, che inserisce percorsi per ingegneri per diventare manager, oltre ad altri poli che cercano di portare questo tipo di cultura politecnica e polivate. Ciò che mi fa più paura è quando le aziende non sono pronte: capita ancora spesso che, tirando fuori argomenti e progetti un po’ più tecnologici, si abbia una reazione di diffidenza o timore. Allo stesso tempo ci sono realtà che si stanno giustamente adeguando: stiamo portando avanti con varie sedi di Confindustria progetti che, per esempio, impiegano i gamer come future talent di alcuni territori, e stiamo riuscendo a far capire che i neet sono risorse. Mi piacerebbe rendere sempre più chiaro che Adecco ha una funzione di traghettatore, e riuscire a mettere diverse realtà contrastanti in collegamento: il neet che pensa che fare l’imprenditore sia da sfigato e viceversa. Farli dialogare e far capire che sono invece fatti della stessa sostanza, fanno parte della stessa comunità e possono avere una passione comune”.

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Un ritratto di Virginia Stagni, da settembre 2023 Chief Marketing Officer e membro del leadership team italiano in Adecco Group (Foto: Adecco Group)

Che consiglio darebbe a chi si affaccia adesso a un mondo del lavoro così variegato e sfaccettato, e desidera trovare il suo posto nel mondo?

“Non c’è la formula magica, ma quando uno ha ben centrato che cosa vuole essere o ha capito in che direzione vuole andare è già a metà dell’opera. Più autentico sei più vinci. Tanto per fare un esempio, se non sai fare qualcosa è bene dirlo, e non nasconderlo. Tante volte io sono stata messa in condizioni in cui avrei potuto non propormi per fare qualcosa perché non la sapevo fare, ma sapevo che se avessi studiato e chiesto di avere i giusti strumenti e la giusta formazione avrei potuto essere la persona giusta anche per quel ruolo. Molto spesso sono le donne, più concrete e pragmatiche, che non fanno il passo più lungo della gamba, ma in generale il consiglio è: se hai ben capito che cosa vorresti fare da grande o in che direzione vuoi andare come professionista, buttati, prova, sbaglia anche, cambia direzione. Ho cambiato moltissime volte idea su ciò che volevo fare e ho preso strade che sembravano condurmi lontano da dove volevo arrivare, ma sin dal liceo avevo chiari i valori che volevo toccassero il mio quotidiano: lavorare con team di persone interessanti, scegliere una professione incentrata su creatività e scoperta”.

E chi non ha ancora ben chiaro questi aspetti?

“In questo caso è fondamentale che prima faccia chiarezza in se stesso, evitando di dare la colpa all’azienda. Se sai che vuoi diventare un grande cuoco, ma non ti piace usare certi ingredienti e non li hai mai assaggiati, hai difficoltà anche soltanto a pensarti cuoco. Io ho fatto tanti ruoli junior che forse non avevano molto senso visti dall’esterno. Agli inizi facevo l’assistente dei manager, gestivo il catering per le aziende: sulla carta non aveva senso, ma per me aveva senso perché iniziavo un percorso manageriale all’interno di un sistema editoriale. Ho messo il piede dentro. Dunque un altro consiglio è non farsi bloccare dal fatto di non sapere ancora cosa si vuol fare e dall’inerzia. Troppo spesso sembra che se non si ha il sogno perfetto neanche ci si debba muovere. È un’idea molto sbagliata. Vedo troppe persone, anche più giovani di me, bloccate, perché non sanno articolare quello che vogliono fare. Quando faccio colloqui cerco sempre di iniziare chiedendo a chi ho davanti che cosa vorrebbe fare, e vedo spesso un completo scostamento dalla realtà. Il senso pratico invece è molto importante e lo testi in tanti modi. Bisogna buttarsi un po’ di più e tentare diverse strade, la prima non deve essere quella perfetta. Per me la prima è stata perfetta come ecosistema, ma avevo voglia di cambiare. E dunque arriviamo al consiglio forse più importante”.

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Ci dica.

“Freghiamocene un po’ tutti di che cosa pensano gli altri delle nostre scelte. Io, per esempio, sapevo che in un grande gruppo come questo avrei dovuto avere alcune skill che mi mancavano, ma l’azienda ha fatto una scommessa su di me. Ho detto subito che farò tantissimi errori, l’ho già messo in conto e l’ho comunicato a chi lavora con me. Se tutti pensassimo che siamo qui per realizzare una parte di noi resteremmo sempre bloccati. Non è Virginia persona che fa questo ruolo, io ci metto del mio, ma sto investendo e devo svolgere un ruolo che non è la mia persona. La più importante skill che dobbiamo sviluppare è l’adattamento”.

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