Natura e città, insieme: le idee e le innovazioni di Vincent Callebaut

Le aree urbane del futuro secondo l’architetto belga, in cui l’uomo è parte integrante di un ecosistema autosufficiente e sostenibile

Callebaut: Nautilus
L’eco-resort Nautilus, nelle Filippine (Foto: Vincent Callebaut Architectures)

Oscar Wilde una volta disse: “Se la natura fosse stata confortevole, l’umanità non avrebbe mai inventato l’architettura”. In effetti, per quanto il concetto di “vivere nella natura” abbia negli anni affascinato poeti e scrittori, attivisti e uomini comuni, i dati dicono altro. Attualmente, il 54 per cento della popolazione mondiale (4 miliardi di persone) vive in aree urbane, e questo dato è destinato a salire al 70 per cento entro il 2030. 

Dalle opportunità lavorative ai servizi, sono diversi i motivi che spingono le persone a scegliere di vivere in città. Questa scelta porta con sé un rovescio della medaglia: inquinamento, rumore e spazi congestionati sono soltanto alcuni degli svantaggi legati alla vita in aree urbane. E se esistesse un’altra strada? Se le città potessero essere progettate per accogliere la natura? È proprio qui che entra in gioco l’architetto belga Vincent Callebaut, classe 1977, con la sua visione di un futuro sostenibile per le città.

Attraverso le sue opere, Callebaut dimostra che questo futuro è possibile. I suoi eco-distretti includono l’uso di tecnologie sostenibili e innovative e l’integrazione di ampi spazi verdi all’interno degli edifici e della struttura urbana. In questo modo, le città possono diventare luoghi piacevoli e sani in cui vivere. Scopriamo alcune delle opere di Vincent. 

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Callebaut: Dragonfly
Il Dragonfly, progettato per ospitare una fattoria autosufficiente insieme a uffici e spazi residenziali (Foto: Vincent Callebaut Architectures)

Un castello nel cielo e un’ecocittà galleggiante

Si chiama “Dragonfly”, perché ricorda le ali piegate di una libellula ed è ispirato al film d’animazione giapponese “Laputa: Castello nel Cielo”. Il progetto si sviluppa su due torri verticali: al centro un grande giardino bioclimatico, mentre uffici e spazi residenziali si organizzano lungo la parte esterna di ciascuna “ala”. Le torri sono progettate per ospitare 28 diversi campi agricoli autosufficienti; la gestione sarebbe alimentata dall’energia solare ed eolica e l’acqua verrebbe riciclata all’interno dell’edificio.

Callebaut afferma che la sua visione del progetto è quella di permettere a una persona di “mangiare una mela appena raccolta da un frutteto collettivo al quarto piano, guardando New York dalla finestra e tornando al proprio ufficio al piano superiore”.

“Per evitare l’asfissia del pianeta e l’alimentazione dei suoi oltre 9 miliardi di abitanti entro il 2050, è necessario reinventare il tradizionale schema energetico tra città e campagna”, spiega Vincent. “La città ecologica mira a reintegrare la funzione agricola alla scala urbana, enfatizzando il ruolo dell’agricoltura urbana nell’uso e nel riutilizzo delle risorse naturali e dei rifiuti biodegradabili”.

Vincent Callebaut ha poi pensato a coloro che saranno inevitabilmente travolti dai cambiamenti climatici: i “climate refugees”, i rifugiati climatici. Per loro l’architetto visionario ha in mente un’ecocittà galleggiante completamente autosufficiente, chiamata “Lilypad”, che sembra uscita da un romanzo di Jules Verne. Una città anfibia, situata in mezzo al mare, in grado di ospitare 50.000 abitanti e che permetterà alla biodiversità di proliferare attorno a una laguna centrale di acqua dolce che raccoglie e purifica le acque piovane.

“Una delle principali sfide del secolo consisterà nell’inventare nuovi strumenti internazionali per accogliere i migranti ambientali, riconoscendo i loro diritti e doveri. Questa è una sfida politica e sociale che richiede una forte sinergia tra lo sviluppo sostenibile urbano e quello umano a livello globale”, spiega l’architetto.

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Callebaut: Lilypad
Lilypad, l’ecocittà galleggiante pensata per sostenere i futuri rifugiati climatici (Foto: Vincent Callebaut Architectures)

Dagli eco-resort ai parchi “virtuali” per la biodiversità

Le creature di Vincent Callebaut non hanno confini: complessi residenziali, stadi, fattorie urbane, centri culturali…nella visione innovativa del geniale architetto, tutto può diventare un eco-distretto. Ne è un esempio l’eco-resort “Nautilus”, a Cebu nelle Filippine. Un paese che ha conosciuto un turismo importante, non senza qualche rovescio della medaglia come pesca intensiva, inquinamento e perdita di biodiversità. Il turismo sostenibile è un’opportunità per il Paese asiatico di conciliare lo sviluppo economico e la tutela dell’ambiente.

“Nautilus” è un progetto corale, portato avanti con ricercatori, scienziati e popolazione locale, per un turismo veramente responsabile e sostenibile. Costruito con materiali 100 per cento riutilizzati e riciclati provenienti dall’arcipelago, il resort sarà autosufficiente dal punto di vista energetico e alimentare, soddisferà i suoi bisogni grazie alle energie rinnovabili e alla permacultura e, grazie a una politica a rifiuti zero, punterà a trasformare l’inquinamento in risorse.

Dall’altra parte del mondo, nella vecchia Europa, Callebaut ha lavorato con la Commissione Europea al progetto interattivo “Pollinator Park”, per sensibilizzare i cittadini sul declino degli insetti impollinatori, cruciali per la sopravvivenza umana. Uno strumento di realtà virtuale, fruibile da web o tramite Oculus, che mostra come sarebbe la nostra vita (compresa la spesa al supermercato) nel 2050, in un mondo senza api e altri insetti. Un’architettura virtuale quindi, che si spera rimanga tale, perché vederla concretizzarsi significherebbe aver fallito la missione di proteggere la biodiversità.

Secondo la Commissione Europea, “il Parco degli impollinatori di Vincent Callebaut mette in pratica molti dei principi promossi dal Green Deal Europeo. Dimostra come potrebbe essere la città di domani, combinando approcci di economia circolare, energia rinnovabile e migliori pratiche agricole e urbane volte a proteggere e ripristinare i nostri ecosistemi, come l’agroecologia”.

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Callebaut: Vincent Callebaut
Vincent Callebaut si è laureato all’Istituto Victor Horta nel 2000 e ha collaborato con gli architetti Odile Decq e Massimiliano Fuksas prima di fondare il suo studio (Foto: Vincent Callebaut Architectures)

Non soltanto edifici: spazio pure alla mobilità green

Vincent non si è limitato a progettare edifici. L’architetto, che ha il suo quartier generale a Parigi, ha recentemente lanciato una collaborazione con Renault per progettare cinque prototipi di veicoli green e condivisi: Timber eCAR (auto), eBIKE (bicicletta elettrica), eSHUTTLE (autobus), eVTOL (taxi volante) e eHYDROFOIL (traghetto).

In comune hanno architetture ergonomiche, alimentazione green attraverso energia pulita e materiali naturali (fibre vegetali da rifiuti agricoli, legno lamellare incrociato e bambù ingegnerizzato) e riciclati (alluminio riciclato e fibre composite).

Dagli uffici alle strutture ricettive, dalle case popolari stampate in 3D nell’Iraq martoriato dall’ISIS, fino ai mezzi di trasporto ecologici, Vincent Callebaut sta dimostrando che le possibilità di immaginare le città del futuro non conoscono limiti.

Una città che sia veramente inclusiva e sostenibile è possibile. Lo dimostra l’impegno di aziende come Terra Solida nel realizzare pavimentazioni ecologiche, le città che, lentamente ma inesorabilmente, si liberano dell’asfalto per fare spazio alla natura e le politiche istituzionali che si stanno muovendo in maniera decisiva verso un cambiamento reale e duraturo. 

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La Parigi fra natura e città immaginata nel 2050 da Vincent Callebaut

Callebaut: Pollinator Park
Pollinator Park, il progetto realizzato dalla Commissione Europea con Vincent Callebaut in occasione della Giornata Mondiale delle Api (Foto: Vincent Callebaut Architectures)