Quando l'innovazione del pensiero è l'assunzione di responsabilità

Ecco perché un'evoluzione dei sistemi salvavita dovrebbe diventare un diritto-dovere dei legislatori: la... tragedia evitata dalla mia famiglia

innovazione del pensiero: circolare su strada è una responsabilità
Il senso di responsabilità dovrebbe manifestarsi nei momenti più difficili e la circolazione collettiva su strada è uno di questi

Nel 1977 ci fu un grave tamponamento a catena sull’Autostrada A21-Autovia Padana nei pressi di Brescia.

La mia famiglia ci capitò in mezzo, nella fase iniziale: mio padre dovette improvvisamente fermarsi in corsia di sorpasso, a causa delle prime macchine incidentale. Non fece in tempo a gridare “tutti fuori” che un camion con rimorchio salì sul cofano dell’Audi 100 per evitarci, passando a pochi centimetri dalla testa di mia sorella, che allora aveva 7 anni.

Mio padre, avendo intravisto il camion nello specchietto, d’istinto aveva irrigidito le braccia, piegando il volante di diversi centimetri. Mia madre si voltò verso di noi aspettandosi una scena dell’orrore, ma l’Audi aveva retto bene, anche se da berlina 3 volumi era ridotta a due.

Ricordo che piangevo dallo spavento e che attraversammo l’autostrada per miracolo. Mio padre rischiò anche la vita ponendo un triangolo catarifrangente in mezzo alle corsie ma fu del tutto inutile: mentre arrancavamo nei campi ricoperti di brina sentivamo il rumore dei veicoli che continuavano imperterriti ad arrivare in velocità, nonostante la visibilità fosse di pochi metri, a schiantarsi. Ci furono diversi morti.

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No, non è affatto colpa dell’atmosfera

Capirete quindi perché ogni volta che leggo notizie simili provo una qual certa arrabbiatura, soprattutto quando leggo decine di titoli tutti simili: “Tamponamento a catena causato dalla nebbia”. Dalla nebbia: la colpa è quindi della situazione meteorologica, non dagli incoscienti totali che ignorano volutamente il rapporto fra visibilità e velocità da mantenere. D’altronde il pensiero retrostante è affine alla idealizzazione di “Fleximan” (il tagliatore di Autovelox), ultimamente indicato da molti come supereroe.

Mi si risponderà che spesso i limiti di velocità e gli Autovelox sono voluti più per fare cassa nei Comuni, non per una reale sicurezza. Può darsi: d’altronde oggi la tecnologia ci permette di sapere la posizione di ogni Autovelox in tempo reale, quindi basterebbe che tutti i guidatori utilizzassero una App gratuita come Waze. Il che forse renderebbe anche più sicure le strade, visto che la stessa App segnala il traffico, gli ostacoli, i pericoli di varia natura.

Ma in un Paese come l’Italia dove, nonostante tutte le auto abbiano il bluetooth a bordo, le persone si ostinano a guidare con lo smartphone in mano, capisco che ciò sia una pretesa. La tecnologia c’è, ma non la adoperiamo. Anziché rispettare i limiti (anche quelli assurdi, magari solo nel punto dove si trova l’Autovelox) meglio tagliare, distruggere: meglio schiantarsi.

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Responsabilità, etica e intelligenza di specie

Tutto questo pur di non assumersi le proprie responsabilità, che a quanto pare è il gioco preferito non solamente delle ultime generazioni. Finché a guidare saremo noi e non le automobili, saremo noi a dover valutare i propri limiti e a regolarci di conseguenza. Saremo sempre noi a dover pensare prima di tutto alla nostra sicurezza e a quella degli altri, sapendo prevedere – ed evitare – anche le situazioni peggiori.

Ricordo ancora quale sforzo è occorso fare in Italia per convincere le persone a utilizzare le cinture di sicurezza, o il casco sul motorino; ma non ritengo sia un problema solo italiano, nonostante come popolo si tenda sempre a fustigarci. Mi viene in mente una citazione da un film di fantascienza, “Pianeta Rosso” (“Red Planet”): “L’uomo è un animale gaudente”: fino a che non sbatte personalmente il muso sul problema, tende a dimenticarselo, o a negarlo. Si riferiva in quel caso al problema climatico, che purtroppo poi da fantascienza è diventato scienza, nonostante i negazionismi. Il buon vecchio Isaac Asimov, diversi anni prima, aveva scritto un racconto breve e ficcante: “Razza di deficienti(“Silly Asses“).

L’etica, l’onestà intellettuale e la consapevolezza sono i fattori che portano al rispetto reale dei limiti, innanzitutto dei propri. Ma il pensiero dominante appare ben diverso: i modelli musicali dei miei alunni a scuola in molti casi scrivono testi inneggianti ai soldi facili, alle auto potenti, alla vita criminale, all’utilizzo della donna come oggetto sessuale. Senza che i ragazzi e le ragazze se ne accorgano, beninteso. Spesso “si limitano a seguire il ritmo”, ritmi sempre uguali, ossessivi, costruiti scopiazzando (male) l’Hip Hop e il Rap americano. Nel momento in cui lo faccio notare loro, nasce la perplessità: per fortuna, c’è ancora un po’ di speranza. E per fortuna non tutti seguono le mode.

L’intelligenza di specie appare ancora un obbiettivo lontano, eppure sono convinto che oggi non sia più irraggiungibile, magari proprio utilizzando in modo creativo quelle tecnologie che spaventano tanti di noi. Ma il cambiamento dev’essere innanzitutto di pensiero.

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La libertà oppure il “fai come ti pare”?

In “V for Vendetta”, capolavoro della letteratura fumettistica di Alan Moore disegnato da David Lloyd, il protagonista che afferma di chiamarsi V (un Edmond Dantes estremizzato, frutto di nuovi e terribili campi di concentramento) scardina le fondamenta della dittatura che domina la Gran Bretagna dopo una guerra atomica globale, ma quando Eve, la sua erede, figlia adottiva, le chiede “è questa l’anarchia?” risponde con molta chiarezza: “No, questa è solo la terra di ‘prendiarraffa’. Anarchia significa ‘senza capi’, non ‘senza ordine’…”.

“Con l’anarchia giunge l’età dell’ordnung, l’ordine vero, spontaneo. L’età dell’ordnung inizierà alla fine del folle ciclo di verwirrung, che stando a questi bollettini sembra concluso. Questa non è l’anarchia, Eve. Questo è il caos”.

Al di là delle considerazioni sociopolitiche, per le quali consiglio caldamente chi non l’avesse fatto di leggersi l’opera citata, il suddetto passaggio dovrebbe farci riflettere su alcune tematiche molto importanti e forti dell’attuale periodo post-post-qualunquecosa. Ciò a partire dalla confusione fra libertà responsabile e “fai come ti pare”, che si ricollega a chi pensa che gli Autovelox vadano abbattuti, le cinture non messe, gli smartphone utilizzati manualmente alla guida e i bambini tenuti in collo mentre si viaggia.

Tutto questo nonostante ogni anno nel nostro Paese i morti sulle strade superino le tremila unità, una piccola guerra che perdura nel tempo, a quanto pare ignorata dai più perché ormai “è normale”.

Rispettiamo la legge per paura delle conseguenze civili e penali, o rispettiamo la legge perché pensiamo sia giusto farlo? Continuiamo a credere che l’individualismo estremo sia una strategia di vita intelligente, o ci rendiamo conto una volta per tutte che il pensiero collaborativo e l’intelligenza sociale sono le strategie che portano ai migliori risultati? Il CERN, il World Wide Web e la Stazione Spaziale Internazionale bastano come esempi?

Per adesso l’ordnung di cui parla “V” appare assai lontano, anche leggendo la media dei commenti sui social: l’ordine vero, spontaneo, la libertà responsabile possono nascere solo dalla consapevolezza e da un ben sviluppato pensiero logico-critico.

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L’errore della tecnologia non utilizzata

La responsabilità di queste situazioni assurde, ovviamente, è condivisa con i legislatori, le lobby commerciali e tutti coloro che per interesse economico o inerzia rallentano l’adozione di soluzioni tecnologiche già esistenti e collaudate, che potrebbero salvare vite o evitare handicap fisici a tantissime persone.

In attesa della guida automatizzata che, come già dimostrato da diversi studi, ridurrà drasticamente il numero di incidenti, dotare tutti i veicoli circolanti perlomeno di sistemi di allarme anticollisione avrebbe un costo sociale sicuramente inferiore a quello dei feriti e dei morti, anche se potrebbe risultare non gradito a molti elettori.

E le verità scomode oggi sono tante, dal settore della produzione di energia alla sostenibilità reale, dal problema climatico a quello pandemico, dal sovra-utilizzo di antibiotici a quello dei pesticidi, sul quale proprio in questi giorni si svolge uno scontro che spesso sottende ignoranza del problema da entrambe le parti.

Sono tutte questioni in cui dovrebbe dominare la posizione scientifica, fattuale, comprovata da dati verificati; mentre invece domina la tifoseria, la dicotomia, le posizioni opposte ed inconciliabili. E, fin troppo spesso, l’avidità.
Così continuiamo a farci del male, a inquinare, a porre le basi per futuri disastri laddove potremmo evitarlo.

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La vera innovazione resta il coraggio

Innanzitutto il coraggio di affermare verità scomode, anche a rischio di inimicarsi la maggioranza, almeno inizialmente. Ma alla fine la verità vince. Basta guardare diversi esempi nella storia dell’informatica. Sono il Personal Computer che non avrebbe comprato nessuno (anche secondo un giovane Bill Gates), lo smartphone che senza tastiera non era funzionale, un “giocattolo che non prenderà piede” (l’iPhone), il tablet che “è solo uno smartphone più grosso” (l’iPad). Non sarei stupito se lo stesso destino toccasse anche allo “spacial computing” dell’Apple Vision Pro.

Le sensibilità piano piano mutano, ma spesso occorre una bella spinta iniziale. Ciò è successo per la sicurezza in automobile (ogni tanto compaiono dei meme sui social che mostrano pubblicità con bambini portati in auto su un’amaca appesa fra due portiere, cosa che qualsiasi genitore odierno dotato di buon senso non si sognerebbe mai di fare), per il fumo passivo, ora sta succedendo gradualmente per l’ambiente: le nuove generazioni sono più attente a certi temi, nonostante i negazionismi.

Ci sono e ci saranno sempre i nostalgici (spesso in realtà nostalgici della propria gioventù) che pensano che il mondo sia peggiorato a causa dell’innovazione tecnologica (e se ne lamentano utilizzando le stesse tecnologie che disprezzano) ma hanno una visione parziale e spesso pilotata da fonti di notizie non esattamente attendibili, o del tutto incomplete.

Tuttavia il vero coraggio non è solo quello rivolto verso l’esterno, nel convincere i contrari, i negazionisti, i nostalgici, o almeno i dubbiosi. Il coraggio dovrebbe essere innanzitutto interiore: il coraggio di mettere se stessi in discussione, il coraggio di considerare i propri comportamenti e le proprie convinzioni con occhio critico, il coraggio  di capire se ci siamo o meno cristallizzati in posizioni incancrenite e superabili. E va fatto ogni giorno, più volte al giorno.

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Il delicatissimo ruolo del giornalista oggi

E qui, infine, tocchiamo un ulteriore tasto dolente.

Il giornalista che sia un semplice “rider di notizie” non può aspettarsi una lunga carriera. Accade già oggi che un Modello di Linguaggio Esteso (LLM, Large Language Model, che vengono discutibilmente definiti “Intelligenze Artificiali”) può arrivare previo addestramento a svolgere lo stesso ruolo più rapidamente, senza alcun riposo notturno e senza chiedere ferie.

Allo stesso modo, adeguarsi al pensiero comune o dominante premia senz’altro sul breve periodo, ma prima o poi si paga sul medio o lungo periodo. Quindi costruirsi una carriera di onestà intellettuale, rischiando anche di sbagliare, siamo esseri umani dopotutto, e di inimicarsi qualcuno, dovrebbe risultare alla fine anche conveniente da un punto di vista “egoistico”.

Io sono personalmente convinto che di giornalisti così ce ne siano, e pure tanti. Ma è difficile che emergano in un sistema che sembra privilegiare sempre di più il “titolo acchiappa click” rispetto alla creazione della reputazione di una testata giornalistica; ciò magari per disperazione rispetto a un mondo che cambia troppo rapidamente per comprenderne appieno le dinamiche.

Sembra quasi che molti editori o caporedattori siano ormai rassegnati al fatto che non si possa rendere un magazine, cartaceo o digitale che sia, interessante e stimolante per i lettori senza lasciarsi tentare dalla via oscura, senza cedere al sensazionalismo o alla ricerca del facile effetto di richiamo dei lettori.

Eppure si può fare: e Innovando News ne è la conferma.

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