Pozzi e falde acquifere di Kappelen all’esame dei neolaureati
Quattro studenti del Master in Ingegneria Ambientale dell'ETH di Zurigo incaricati di mappare le acque sotterranee e individuarne la qualità
Due donne e due uomini. Si chiamano Carole, Gianna, Raffaele, Robyn. Si trovano nel bel mezzo di un immenso bosco; niente aula o laboratorio. Sono tutti e quattro laureati, studenti del Master in Ingegneria Ambientale, percorso di specializzazione post-laurea che offre l‘ETH, il Politecnico di Zurigo.
Questi quattro giovani sono accompagnati da Matthias Willmann, consulente ETH esterno che, da ben 15 anni, conosce bene quest’area boschiva. Il compito da svolgere è molto semplice: mappare, individuare, e analizzare le falde acquifere presenti in questa specifica zona.
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I quattro studenti hanno il compito di individuare, con tanto di mappa a disposizione, uno o più punti dove si trovano le falde acquifere in questione.
Per giungere a questo obiettivo, si avvalgono dell’uso di un misuratore speciale. Una specie di sonda che, al momento dell’impatto con il terreno, emette una serie di suoni abbastanza forti se non, addirittura, assordanti a seconda del modello di dispositivo usato.
Per far sì che l’uso di questa sonda porti ai risultati sperati, è necessario calarla, tramite un lungo avvolgicavo, dentro ciascun pozzo presente. E’ necessario arrivare a toccare la profondità massima del pozzo.
Grazie a questo tipo di lavoro, un lavoro di costante ricerca e analisi, questi quattro giovani testano le falde e la qualità di queste acque sotterranee.
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Pozzi e falde acquifere all’esame dei giovani del Politecnico Federale
Sono circa 20 gli studenti che frequentano questo modulo, parte importante del percorso formativo-professionale. Un modulo della durata di tre giorni. Una “full immersion” sul campo svolta da cinque gruppi composti di soli quattro giovani che si alternano per l’esplorazione di queste acque.
La zona, oggetto di perlustrazione e studio, si trova poco fuori il Comune di Kappelen, nel Cantone svizzero di Berna. I pozzi sotto osservazione e all’esame dei ragazzi sono ben 16. Hanno una profondità massima di circa 10-11 metri ciascuno. Se perlustrati bene, seguendo i criteri insegnati sia da Mattias Willmann che dal suo collaboratore e co-conduttore del modulo, Joaquin Jimenez-Martinez, si potrà comprendere qual è il punto di ingresso di queste acque e, soprattutto, il loro intero percorso di scorrimento.
Le rispettive sonde, dotate di misuratori d’avanguardia devono, però, essere calate nel pozzo in posizione verticale più che perfetta.
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Il primo compito di ciascun gruppo è misurare la profondità dei pozzi e individuare le rispettive falde acquifere. Il misuratore è collegato a un’asta metallica; una volta calato nel pozzo e giunto a destinazione, al primo impatto con l’acqua si mette in moto la corrente, si accende una spia e, in base al modello di dispositivo che si sta usando all’istante, si accende anche una piccola lampadina dotata di display.
Alcuni modelli, insieme all’accensione, emettono anche un suono. A questo punto, è possibile registrare la profondità di ciascun pozzo: profondità, però, che può variare.
Non è scontato che tutti i pozzi, cm per cm, abbiano proprio la stessa profondità. In fondo a ciascun pozzo si riesce a trovare una falda d’acqua. Individuato il punto preciso, registrati i primi dati, si passa a capire il livello dell’acqua. Appurato il livello, si comprende in quale direzione l’acqua scorre. Al pari dei fiumi, anche sottoterra le acque scorrono, solitamente, in discesa.
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Temperatura e composizione delle acque in rapporto alla profondità
Con il prezioso contributo dell’ingegnere, Joaquin Jimenez-Martinez, si passa a lavorare su un altro, altrettanto fondamentale, step: la misurazione della temperatura di queste acque. Temperatura e livello di conduttività sono gli altri due significativi parametri che non devono mai mancare all’appello.
Il livello di profondità di un pozzo ha un peso significativo sulla temperatura dell’acqua stessa. In genere, più il pozzo è profondo più registra una temperatura diversa rispetto alle falde individuate tramite l’analisi di altri pozzi.
Entrambi i docenti, prove documentali in mano, spiegano e dimostrano ai loro allievi che se si lavora su un pozzo molto profondo, esattamente tra i 10 e i 12 metri, in questi casi si può registrare una temperatura abbastanza fredda che oscilla, orientativamente, tra i 10 massimo 11 gradi Celsius.
Saper leggere e interpretare il livello di conducibilità, permette di capire la composizione di queste acque. In caso di lettura o di valori anomali, al di fuori della norma, questo farebbe pensare alla presenza di sostanze contaminanti.
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Analisi delle falde: la parola agli esperti Willmann e Jimenez-Martinez
A spiegare bene questo lavoro di ricerca sono i due esperti e docenti di questo Master, Matthias Willmann e Joaquin Jimenez-Martinez. Willmann sottolinea l’importanza di arrivare, con l’uso della sonda, a toccare il punto o i punti dove si trova l’acqua. Non appena l’asta tocca la falda, la corrente si mette in movimento, e la piccola lampada-display si accende.
Questo corso/modulo offre agli studenti un’idea di questo lavoro e della realtà che presenta quando ci si trova, direttamente, sul campo. Tutte le informazioni che si ricavano sono davvero utili agli studenti presenti.
Jimenez-Martinez, agganciandosi a quanto detto già dal suo collega, sottolinea come il percorso di insegnamento, svolto in fase iniziale, si riveli diverso quando si ha questa connessione diretta con la natura.
Come docenti, il loro compito è fare una breve introduzione dell’argomento o realtà da esaminare; poi, però, si fa un passo indietro in modo che siano gli studenti a proseguire il tutto, prendendo le misurazioni, facendo test, imparando così a lavorare in un certo modo e con un metodo ben preciso.
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Prima dei test sul campo, un’analisi dei vari strumenti da utilizzare
Prima di questa fase di test nel bosco, gli studenti incontrano Lucien Biolley. E’ un dipendente dell’Istituto di Ingegneria Ambientale dell’ETH. Biolley lavora insieme al collega Marius Floriancic; entrambi si accertano che tutti gli strumenti utilizzati mantengano il loro perfetto stato di funzionamento. Biolley e Floriancic sono i responsabili-addetti alla preparazione dell’attrezzatura necessaria per lavorare, appunto, su questo specifico modulo del corso.
I due dipendenti dell’Istituto sono operativi in località Hönggerberg nel Canton Zurigo e, durante l’intero anno solare lavorativo, a Kappelen vengono spediti i rispettivi strumenti, rigorosamente imballati per scongiurare eventuali urti o danneggiamenti in caso di brusche frenate dei furgoni o, peggio ancora, incidenti stradali.
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Misuratori e sensori per testare le falde dall’Istituto di Hönggerberg
Lucien Biolley si preoccupa, principalmente, di far capire agli allievi presenti come utilizzare bene un sensore a pressione per monitorare, costantemente, il livello della falda. All’interno dei tubi blu che passano dentro il pozzo ci sono cavi che trasmettono tutte le misurazioni, appena eseguite, a una scatola dati. Questa fase di raccolta e lettura dei dati la si può svolgere anche da remoto, direttamente dall’Istituto di Hönggerberg.
Altrettanto significativo e da non trascurare è un altro tassello: ciascun gruppo di studenti avrà la possibilità di analizzare i dati raccolti; dati che non riguardano, soltanto, il lavoro svolto al momento, ma che sono il frutto delle ricerche svolte negli ultimi cinque anni.
Nel frattempo, però, c’è una fase parallela, decisamente più immediata e da svolgere accuratamente. In questo contesto, viene usata una carriola per prendere un serbatoio che dovrà essere riempito con 1000 litri di acqua. Lo si posiziona accanto a uno dei pozzi e lo si riempie di acqua presa dal sotterraneo, utilizzando appunto una pompa. Raccolti questi 1000 litri di acqua, successivamente viene aggiunto del colorante che si usa, in genere, per dipingere con il pennello.
E’ proprio qui, come dichiara anche Lucien Biolley, che il lavoro dei ragazzi si rivela particolarmente intenso: un lavoro, decisamente, su larga scala.
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L’esperienza nel bosco: la parola va agli studenti del Master dell’ETH
Carole e Robyn, due dei quattro studenti interpellati, hanno conseguito una laurea in Scienze Ambientale prima di passare a questo specifico Master in Ingegneria ambientale. Carole, in primis, non nasconde tutto il suo entusiasmo per l’esperienza
fatta. E’ molto interessata ai problemi ambientali e alle soluzioni tecniche e possibili da trovare. Ha molto apprezzato questo approccio pratico. Robyn mette in evidenza quanto sia importante imparare dallo studio tradizionale, classico, ma altrettanto importante è quella conoscenza che si ottiene cimentandosi, da subito, negli aspetti pratici, tipici della professione di Ingegnere ambientale.
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Prove sperimentali: dov’è l’umidità maggiore fra differenti terreni?
L’insieme di test svolti da questi quattro giovani laureati, servono a capire quali sono i luoghi adatti per questo tipo di ricerche sperimentali. Raffaele, Robyn, Carole, e Gianna lavorano su questo insieme a Marius Floriancic.
Floriancic insegna loro come misurare la quantità di acqua che il terreno può trattenere. Per l’occasione vengono usati i tensiometri. Presi questi tensiometri, a forma di tubicini, ciascuno studente deve imparare a fissare il fondo con un tappo di ceramica. I tubicini, subito dopo, vengono riempiti d’acqua.
Più il terreno è secco, maggiore è la quantità di acqua che passa attraverso il tappo in ceramica e finisce nel terreno. Gli studenti inseriscono i tubi a diverse profondità. Quando è tempo di leggere i risultati, viene mostrata la curva di ritenzione idrica, esattamente si capisce la capacità o meno del suolo di assorbire acqua.
Un secondo strumento, paragonabile a una forca, misura l’umidità del suolo. Floriancic mette alla prova il gruppo di turno di studenti, chiedendo loro di spiegare, con tutti i dettagli del caso, dove pensano che l’umidità del suolo sarà più alta. E’ alta più nella foresta o nel prato? Questo il “nodo” da scogliere.
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Bosco oppure prato? Gli studenti rispondono, i docenti puntualizzano
La risposta data dai giovani è unanime: sono sicuri che il bosco sia il punto dove questo può accadere, con maggiore facilità. Floriancic applaude l’analisi studentesca, mettendo in luce alcuni particolari.
Quando piove le foglie, spesso di grosse dimensioni, i rami e rametti degli alberi nonché i loro detriti, impediscono a buona parte dell’acqua di penetrare nel terreno. Questo, indubbiamente, è l’aspetto negativo.
Tuttavia, andando a vedere il rovescio della medaglia, al tempo stesso dobbiamo constatare che gli alberi portano un livello di umidità maggiore rispetto all’erba.
Il suolo forestale risulta, così, più permeabile del suolo compatto dei prati; ciò comporta che, in condizioni climatiche normali e, aspetto più importante, in assenza di foglie, rami e detriti, l’acqua passa e filtra, decisamente, con maggiore semplicità e celerità.
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The water cycle of the forest is studied @waldlabor at the Zurich Hönggerberg. How does climate change affect the water balance of forests. Guided tour on 2 August, 18.15: https://t.co/IMdpJXQhoV #Arboretum @waldlabor pic.twitter.com/LA0qKwR1q6
— D-USYS@ETH (@usys_ethzh) July 28, 2022
Un colorante nell’acqua di falda: è Marius Floriancic a spiegare il perché
Marius Floriancic spiega, chiaramente, il perché si usa il colorante. Lo fa pronunciando, in primis, questo binomio: “Informatica e modellazione”. L’Ingegnere e ricercatore prosegue, poi, le spiegazioni di sorta, arrivando al punto e dicendo che cosa accade: al calare della sera, gli studenti fanno ritorno nel bosco, esattamente nel punto dove è stato lasciato il serbatoio, e il collega Biolley versa il colorante.
Quest’acqua scorre dal serbatoio, attraverso un tubo spesso, in uno dei pozzi dove si mescola con l’acqua presente sottoterra. Successivamente, quest’acqua viene raccolta e portata in superficie tramite l’ausilio di un altro pozzo vicino. Il tutto è monitorato grazie all’uso di uno specifico dispositivo. Finito quest’ultimo step, ci vorrà del tempo prima che la quantità d’acqua raccolta acquisisca il colore.
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Tecnologia e natura: un rapporto simbiotico e sempre più frequente
“Step, test, raccolta dati”. Dopo un po’, si hanno anche i primi risultati. Il controllo di tutti i dati, tramite laptop, è l’atto conclusivo della “full immersion”. Come definire questa esperienza? La maggior parte degli studenti partecipanti ha parlato di esperienza molto gratificante. Lavoro sul campo e d’ufficio convivono alla perfezione e, come affermato da una studentessa, vi è una perfetta combinazione tra tecnologia e natura.
Stando alle storie e alle testimonianze che, ogni giorno, vengono raccontate, non è la prima volta che tecnologia e natura giocano un ruolo significativo per il raggiungimento di quell’obiettivo chiamato sostenibilità. Quanto imparano gli studenti del Politecnico di Zurigo, in parte è già messo in pratica da aziende e liberi professionisti che lavorano per questo scopo preciso.
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Pensiamo alle diverse progettazioni di pavimentazioni stradali ecologiche, messe in piedi dall’azienda Terra Solida. Pavimentazioni fatte con materiali nuovi, non inquinanti, pensati e studiati appositamente per dare un sonoro calcio ai vecchi materiali, oggi inquinanti e dannosi.
Pensiamo, anche, all’architettura visionaria del belga, Vincent Callebaut, dove design e flora vegetale, insieme, possono contribuire allo sviluppo sostenibile di una città, un quartiere, oppure di un Paese.
Il bene, il rispetto della natura, di tutto l’ambiente che ci circonda è la base di ogni cosa. Tecnologia e natura, appunto. Un rapporto simbiotico che fa dell’Ingegneria Ambientale un mondo particolarmente attraente e apprezzato.
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